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Attualità

Polizza D&O e nuove responsabilità degli amministratori

21 Aprile 2023

Angelo Bonetta, Partner, Focus Team Assicurazioni, BonelliErede

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza il tema della Polizza D&O alla luce delle recenti riforme connesse alla crisi dell’impresa che paiono aver ampliato i confini della responsabilità degli amministratori.


La riforma societaria del 2003, che ormai sembra lontanissima, in tema di responsabilità degli amministratori aveva inteso ben demarcare il ruolo ed i rischi degli amministratori operativi o delegati, rispetto a quelli privi di deleghe, per i quali prima era frequente paventare un difetto di diligenza in ogni caso di c.d. “omessa vigilanza”.

La nozione di “omessa vigilanza” era stata tanto dilatata da rendere labile, quando non effimero, il confine fra la responsabilità dell’amministratore operativo, certamente informato, consapevole e probabilmente ampiamente remunerato, e quella dell’amministratore non operativo, certamente meno informato e meno remunerato. Attraverso l’addebito di un’omessa vigilanza sugli atti di mala gestio eventualmente commessi dai primi, si finiva per affermare troppo frequentemente una responsabilità – praticamente assoluta, e non solo presunta ex art. 1218 c.c. – anche dei secondi, col paradosso che questi, proprio perché ignavi, si trovavano anche patrimonialmente più esposti, a differenza dei malfattori che, consapevoli del rischio a cui si erano esposti, avevano già messo al riparo i propri averi dalle azioni di condanna per responsabilità.

Il dubbio col quale ci si confronta ora è se le recenti riforme, peraltro ispirate dal mero intento di prevenire la crisi dell’azienda ed evitare discontinuità traumatiche nei rapporti dell’imprenditore con i terzi, non comportino un ampliamento delle responsabilità degli amministratori, reintroducendo una latente colpa da omessa vigilanza come prima del 2003, con immediate ricadute per le compagnie assicurative che accendano polizze “Directors & Officers” (note come “Polizza D&O”), vale a dire coperture per le conseguenze risarcitorie derivanti dalle azioni ex artt. 2393, 2394, 2395 e 2476 c.c.. Con l’aggravante che sono numericamente molto più frequenti i casi nei quali dette azioni risarcitorie vengano promosse dai pubblici ufficiali, prima “curatori fallimentari”, ora rinominati “curatori della liquidazione giudiziale” dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII).

Il problema non sorge certamente dalla formulazione dell’art. 2392 c.c., rimasta immutata, secondo la quale: “Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Essi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori. / In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell’articolo 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. / La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale”.

risultano mutati i pilastri della diligenza e degli obblighi informativi fissati dall’art. 2381 c.c. che onera il consiglio – quindi con il coinvolgimento necessario anche dei non-delegati – di valutare “l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione”.

Il diavolo si annida nei dettagli (come pure amava ripetere uno degli ispiratori della riforma del 2003) e non per nulla diventa suggestivo quel riferimento alla “adeguatezza dell’assetto organizzativo” che compare nell’art. 2086 c.c., sottoposto a recente maquillage ad opera del legislatore che ha introdotto il Codice della Crisi. Infatti, il secondo comma dell’art. 2086 c.c. prescrive all’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, di “istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

Come anzidetto, l’adeguatezza dell’assetto organizzativo e contabile rientra certamente nelle competenze anche degli amministratori non delegati che – pur privi di un potere di indagine all’interno dell’azienda e condizionati dal flusso informativo somministrato dagli organi delegati o eventualmente sollecitato dal presidente – potrebbero essere chiamati a rispondere per difetto di diligenza (anche in questo caso, avuto riguardo al livello di complessità ed importanza dell’impresa in parola). È infatti intuitivo che, come è presuntivamente difettoso ogni prodotto che si rompa, così – nella prospettazione dei curatori – apparirà presuntivamente inadeguato ogni assetto dell’impresa che sia stata sottoposta a liquidazione giudiziale o ad altre procedure concorsuali, quanto meno ove la causa della crisi non sia manifestamente attribuibile in via esclusiva ad un evento esterno, accidentale e non prevedibile (in termini assicurativi, sembra una situazione provocatoriamente assonante con i casi di forza maggiore…). Con un ulteriore corollario dettato dall’art. 2486, co. 3, c.c.: “Quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura.” È stato recepito normativamente un meccanismo di pre-liquidazione del danno ovviamente sfavorevole al danneggiante, di creazione pretoria ed alquanto criticato in passato quando sbrigativamente utilizzato dai giudici.

Non è mancato chi ha acutamente osservato la latitudine della nozione di “assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa” che sembra abbracciare non solo il piano dei controlli sul corretto operato degli amministratori delegati e sulla legittimità delle decisioni gestorie e della rendicontazione contabile, bensì, a monte, anche ciò che sarebbe – di regola – sottratto al sindacato del giudice e cioè il rischio d’impresa (c.d. “business judgment rule”). L’inidoneità di un assetto organizzativo, per come enunciato dalla norma, può derivare anche dalla sottovalutazione dei normali rischi del mercato, posto che la legge vuole evitare le crisi d’impresa come situazioni oggettive e non solamente i fatti soggettivamente imputabili a titolo di responsabilità.

Un brutale sillogismo diventa estremamente facile: in caso di liquidazione giudiziale, assumendo in premessa l’inidoneità dell’assetto organizzativo, ogni amministratore diventerebbe col proprio patrimonio o con la propria polizza assicurativa D&O (ove non operi alcuna delle limitazioni che si scoprono sempre troppo tardi) presuntivamente assicuratore dei debiti derivanti dall’attività d’impresa e insinuati al passivo. In sostanza – estremizzando il discorso – poiché l’inidoneità dell’assetto potrebbe derivare anche da scelte d’impresa troppo arrischiate, la polizza D&O rischia di essere estesa all’insolvenza commerciale dell’imprenditore, anziché limitarsi ai casi di difetto di diligenza contestabili all’amministratore non diligente.

In tutta evidenza, non era questo lo scopo (dichiarato) del legislatore, ma il rischio di contaminazione del controllo di legittimità sull’operato degli amministratori con un più invasivo controllo di merito non è neppure troppo lontano, forse in continuità filosofica con una sempre maggior tendenza del giudice italiano ad ingerirsi nelle valutazioni sull’equità del contratto, attraverso una dilatazione degli obblighi di buona fede. Ancora in tema di diavolo, pare che sia specializzato nella produzione di pentole, lasciando all’utilizzatore l’apporto dei coperchi, sicché occorre confrontarsi con l’eventualità che l’operatore del mercato giuridico faccia leva sulle nuove norme per proporne letture funzionali a certi risultati di affermata equità, che poi coinciderebbero con il fine pratico di alleviare la posizione economica sfavorevole dei creditori ammessi al passivo dell’imprenditore decotto. Il fine nobile di apportare sollievo ad un disagio, attraverso l’abusato concetto di solidarietà nazionale di promanazione (o profanazione?) costituzionale potrebbe condurre alla chiamata in causa della compagnia assicurativa, in quanto, secondo la vulgata, certamente ricca e speculatrice sui mali altrui

Per contrastare la creazione in via ermeneutica di una sorta di assicurazione della responsabilità da circolazione imprenditoriale (sulla falsariga della assicurazione obbligatoria della circolazione automobilistica), in assenza – come è ovvio – di pronunce nomofilattiche della Suprema Corte, sono interessanti gli spunti di riflessione contenuti nella relazione n. 87/2022 del 15.9.2022 dell’Ufficio del Massimario. Intanto, assume un valore di premessa generale la stessa definizione di crisi, vale a dire la situazione che l’adeguato assetto dovrebbe prevenire. Si parla di: “stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”. L’amministratore deve curare un assetto che sarà di regola adeguato quando non emerga il rischio di insufficienza di mezzi finanziari per almeno un anno. Tuttavia: posto che l’indebitamento deriva da scelte degli organi delegati che devono per legge riferire ai non-delegati con ritardo non superiore al semestre, già si profila un corto circuito potenziale ove il consiglio di amministrazione fosse informato di scelte adottate un semestre prima. Al contempo, se tutte le scelte implicanti un rischio di tensione finanziaria dipendessero dal consiglio, verrebbe snaturato il concetto stesso di delega gestionale, che pure è prevista e regolata dal Codice. L’assurdità della conclusione (l’impossibilità di snaturare la delega) suggerisce di considerare invalida la premessa che muove da un’interpretazione troppo lata del controllo sul merito gestionale da parte degli amministratori non operativi. In tutta evidenza, la responsabilità di questi deve restare legata al presupposto dell’avvenuta conoscenza dei fatti rilevanti, nell’ambito delle informazioni ricevute nel corso delle adunanze del consiglio e nei limiti delle scelte concretamente praticabili, in un dato momento storico, anche con riferimento ai mezzi economici dell’impresa. Poiché anche l’adeguatezza dell’assetto presuppone consapevolezza, il giudizio sulla colpa dei consiglieri non potrebbe essere sbrigativamente ragguagliato al miglior modello organizzativo in astratto praticabile per quel tipo di azienda, bensì dovrebbe restare riferito al modello che appariva ex ante adeguato, avuto riguardo alle informazioni ed alle scelte di volta in volta ragionevolmente nella disponibilità degli amministratori (con tutte le eccezioni già ampiamente previste dalla giurisprudenza in punto di rilevanza di altre informazioni che i non delegati abbiano acquisito autonomamente o possano e debbano richiedere in presenza di anomalie che richiamino la loro attenzione, c.d. segnali d’allarme).

Non per nulla, la citata Relazione del Massimario riporta a pag. 384 che: “l’obbligo per l’impresa di dotarsi di “adeguati assetti” rappresenta un perno centrale del sistema di early warnings, destinato a favorire l’emersione tempestiva della crisi di impresa, sul presupposto che affrontare tardivamente tale situazione, quando ormai si è verificata la perdita della continuità aziendale, rappresenta un danno per l’intero sistema economico e per gli stessi creditori, che vedono in tal modo azzerarsi il residuo valore dell’azienda, oltre che le stesse opportunità occupazionali e di fare impresa, anche a causa della perdita di credibilità sul mercato”. Ma lo pone in immediato collegamento con l’art. 25 CCII secondo il quale: “l’organo di controllo societario segnala, per iscritto, all’organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza” di accesso alla composizione negoziata”. Peraltro secondo gli art. 25 novies e decies CCII, rispettivamente, i principali creditori istituzionali (fisco ed enti gestori dei contributi previdenziali ed assistenziali) possono svolgere un importante ruolo di individuazione dei prodromi della crisi di impresa, sollecitando l’organo di controllo e le imprese ad adottare in modo più tempestivo strumenti di prevenzione e soluzione, mentre “le banche e gli altri intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del testo unico bancario, nel momento in cui comunicano al cliente variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti, ne danno notizia anche agli organi di controllo societari, se esistenti”. La segnalazione è destinata all’organo di controllo. La Relazione si spinge a ravvisare un successivo stringente obbligo di segnalazione dettagliata da parte dell’organo di controllo, iniziale recettore degli early warnings, al consiglio di amministrazione e a ritenere che “La risposta a tale sollecitazione da parte dell’organo gestorio deve essere fornita entro un termine fissato dagli stessi sindaci nella propria segnalazione, termine che comunque non può eccedere i trenta giorni”. Questa conclusione cui giunge la Relazione anche quanto ai termini della risposta non trova espresso appiglio normativo, ma è fortemente indiziaria di un approccio sistematico da parte dell’Ufficio del Massimario che pare condivisibile per salvare la logica di sistema:

  • gli amministratori dispongono di informazioni diverse, in funzione del ruolo che rivestono; la loro responsabilità continua ad essere circoscritta al grado di ragionevole consapevolezza anche sull’andamento degli affari;
  • solo l’organo di controllo dispone di un potere di indagine autonoma; ad esso pervengono i segnali anche iniziali della crisi;
  • dall’emersione della notizia – anche ad opera dell’organo di controllo – che l’assetto organizzativo potrebbe non essere adeguato scatta uno stringente obbligo di attivazione anche degli amministratori non-delegati per informarsi, capire, promuovere reazioni;
  • la responsabilità dei non operativi deriva presuntivamente dall’iniziale omessa adozione dell’assetto organizzativo, riferita al quadro informativo ed ai mezzi economici e aziendali concretamente disponibili, ma anche dalla loro inerzia di fronte a circostanze di aggravamento del rischio a loro noto.

Questa ipotesi di lavoro potrebbe consentire non solo di restringere i rischi degli amministratori, ma anche di riflettere sul tipo di informazioni che la compagnia assicurativa debba e possa ragionevolmente pretendere dal contraente della polizza D&O per ponderare un nuovo rischio. Una massa troppo ampia ed eterogenea di dati sulla gestione finirebbe per frustrare l’esatta e tempestiva percezione di quanto serva all’assicuratore; invece, il criterio di selezione potrebbe anche restare semplice e gravitare sull’interesse a conoscere quantomeno: (i) se l’organo di controllo sia ragionevolmente qualificato e indipendente (ovvero non sia troppo intimo, per durata e criteri di nomina, con gli organi delegati), (ii) in quali forme e con quale cadenza gli organi delegati riferiscano agli altri amministratori, e (iii) se siano emersi indicatori (fra cui segnalazioni qualificate di terzi) del rischio che l’impresa non sappia fronteggiare i propri impegni di spesa per almeno dodici mesi. Beninteso, questo terzo argomento potrebbe essere scandagliato con (pochi) quesiti di maggior dettaglio e presidiato con l’obbligo di tempestiva segnalazione, da parte non solo della società contraente, ma anche dei beneficiari, di dare notizia di apprezzabili situazioni di tensione finanziaria o di segnalazioni qualificate da parte di terzi.

Per vero, non infrequente nella pratica che gli amministratori si rammentino della polizza D&O solo se e quando personalmente colpiti da un’azione di responsabilità, magari quando cessati dalla carica: non solo non ne conoscono i contenuti di dettaglio o conservano copia delle condizioni di polizza, ma tanto meno hanno curato i contenuti delle notizie fornite alla compagnia, che immediatamente eccepisce una carenza informativa, talvolta opponendo addirittura l’annullamento dello stesso contratto assicurativo.

D’altro canto, lato assicuratore, l’informazione necessaria è un riflesso degli eventi che possano incidere sul rischio di apertura del sinistro, cioè sulla possibilità di una condanna pecuniaria dell’amministratore, che è maggiore ove si verifichi uno stato di dissesto  non preceduto  dall’adozione di assetti adeguati o di reazioni tempestive a fronte di sviluppi inattesi. Quindi, banalmente, una prima tutela per gli amministratori non delegati (e per i loro assicuratori) passa anche per la disponibilità di una memoria storica dei fatti e di un corredo probatorio delle informazioni loro pervenute tempo per tempo. La responsabilità degli amministratori ex artt. 2393 o 2476 c.c. è di tipo contrattuale, infatti, con onere dell’incolpato di fornire la prova che l’inadempimento non è dipeso da un suo difetto di diligenza. La partita si gioca sovente sulla prova liberatoria e capita assai frequentemente che gli amministratori non operativi non conservino i materiali illustrativi trasmessi, né copia dei verbali delle adunanze, o addirittura neppure si siano peritati di lasciare traccia nei verbali delle loro domande, delle loro riserve e della discussione per come realmente sviluppatasi. Tuttavia, è raro che una polizza D&O indichi come onere specifico, del contraente o dell’assicurato, la conservazione dei documenti utili alla difesa in giudizio. E a poco vale la laconica frase di rito riportata nei verbali “dopo ampia ed esaustiva discussione, il CdA delibera: …”, frequentemente contestata con “non risulta un atteggiamento critico ed indipendente dell’amministratore rispetto ai temi sottoposti alla sua attenzione”. Il precetto secondo il quale il forte dubita prima, il debole dubita dopo continua a valere anche per gli amministratori.

Più in generale, sembra potersi concludere che anche la miglior gestione dei nuovi rischi presupponga, tanto per gli amministratori, quanto per gli assicuratori, la miglior gestione delle informazioni.

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