Il presente contributo affronta il tema della polizze linked alla luce delle novità della seconda consultazione IVASS in materia.
Lo scorso 27 maggio si è conclusa la seconda pubblica consultazione relativa al Documento IVASS n. 2/2024 contenente “Disposizioni in materia di contratti di assicurazione di cui all’articolo 41, commi 1 e 2, del Codice delle Assicurazioni Private” (il “Documento”).
Come si ricorderà, l’elevato numero di commenti ricevuto dall’Autorità di Vigilanza con la prima consultazione (apertasi nel marzo 2022 e conclusasi nel mese di giugno dello stesso anno), aveva indotto IVASS a lanciare una seconda pubblica consultazione del Documento, nella quale sono confluite anche le osservazioni formulate dagli operatori in relazione al documento di discussione n. 1/2022, posto in consultazione in epoca coeva alla prima consultazione del Documento e recante alcune “Considerazioni prodromiche ai futuri interventi regolamentari dell’IVASS in materia di prodotti vita” (il “Documento di discussione”).
L’intervento riformatore che, per il tramite del Documento, l’Istituto intende realizzare, era fortemente atteso, dal momento che l’attuale disciplina in materia di polizze di assicurazione sulla vita collegate a fondi interni o a OICR risale al 2002[1] e, da allora, non ha di fatto subito alcuna modifica di carattere sostanziale, sebbene le evoluzioni registratesi, nel frattempo, nella legislazione e regolamentazione finanziaria e sul mercato.
Al cuore dell’iniziativa, l’intento dell’Autorità di Vigilanza di dare attuazione all’articolo 41, comma 5, del decreto legislativo del 7 settembre 2005, n. 209 (“Codice delle Assicurazioni Private”, il “Codice”) – introdotto per effetto dell’avvenuto recepimento in Italia della Direttiva n. 2009/138/EC (c.d. “Solvency II”) mediante il D. Lgs. 12 maggio 2015, n. 74 -, e di individuare un level playing field valido per tutti gli operatori, italiani e stranieri, che commercializzino in Italia i prodotti di assicurazione sulla vita di ramo III, includendo anche le osservazioni pervenute al Documento di discussione, riguardanti, in particolare il rischio demografico.
Il sopra richiamato articolo 41, comma 5, del Codice prevede che “L’IVASS, con regolamento, può limitare i tipi di attivi o i valori di riferimento cui possono essere collegate le prestazioni, nel caso in cui il rischio di investimento sia sopportato dall’assicurato che sia una persona fisica. Per i contratti di assicurazione le cui prestazioni sono direttamente collegate al valore delle quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio, le disposizioni stabilite dall’IVASS sono coerenti con quanto previsto dal decreto legislativo 16 aprile 2012, n. 47[2]”.
Dal tenore letterale della norma (che riproduce il testo dell’articolo 133, comma 3, di Solvency II[3]) traspare che il potere regolamentare di IVASS di limitare gli attivi o i valori di riferimento delle polizze cc.dd. linked riguarda unicamente le polizze in cui (i) sussista un rischio di investimento, (+) che (ii) sia sopportato dall’assicurato, (+) a condizione che (iii) quest’ultimo sia una persona fisica.
Le tre condizioni sopra indicate, che devono ricorrere cumulativamente per consentire a IVASS l’esercizio dei poteri regolamentari richiamati dal quinto comma dell’articolo 41 del Codice, lasciano di fatto prive di disciplina (o quanto meno della disciplina contenuta all’interno del Documento), le polizze assicurative di tipo linked che siano concluse da persone giuridiche o entità e/o che, stipulate anche da persone fisiche, prevedano una garanzia di risultato dell’investimento o qualsiasi altra prestazione garantita; queste ultime, infatti, finirebbero per ricadere nell’ambito di applicazione del comma 4, del predetto articolo 41[4].
Inoltre, il Documento non troverebbe applicazione, per indicazione della stessa IVASS[5], nei confronti delle polizze di tipo unit linked che prevedono un fondo interno dedicato (i.e. un fondo nel quale è investito il premio di un solo contraente), per il richiamo, operato dall’articolo 133, comma 3, di Solvency II e dall’articolo 41, comma 5, ai fondi comuni di investimento nei quali la gestione delle risorse è collettiva (o in monte).
Sebbene quanto sopra sembrerebbe restringere di molto il futuro ambito di applicazione del Documento (che, di fatto, troverebbe principalmente applicazione nei confronti delle polizze linked rivolte ad una clientela che ricerca una gestione collettiva del premio investito, senza cioè personalizzazioni), ciò nondimeno non deve far sottacere alcuni passaggi del Documento, indubbiamente innovativi e in controtendenza rispetto alla prassi affermatasi in altri paesi europei, che stanno sollevando alcune perplessità[6].
Innanzitutto, l’intervento di IVASS si fonderebbe su una lettura non del tutto condivisa, a livello comunitario, del concetto di interesse generale nel settore delle assicurazioni, come rappresentato nella Comunicazione Interpretativa della Commissione Europea sulla libera prestazione di servizi[7], in base al quale IVASS si sentirebbe legittimata a intervenire in un settore (quello delle polizze linked aventi le caratteristiche sopra indicate) non armonizzato, secondo l’Autorità.
In virtù di questa conclusione, IVASS intenderebbe attribuire al Documento, una volta pubblicato in forma di regolamento, la natura di norma di interesse generale, come tale applicabile a tutte le imprese di assicurazione vita autorizzate a svolgere attività nel ramo III in Italia, incluse quelle comunitarie operanti in regime di stabilimento o di libera prestazione di servizi. Ne discenderebbe, anche per queste ultime, l’obbligo di conformarsi, tra l’altro, alle indicazioni dell’Autorità di Vigilanza assicurativa italiana quanto agli attivi impiegabili come sottostanti di tali polizze e ai relativi limiti di concentrazione e di investimento.
Quest’ultimo passaggio sarebbe in netto contrasto con la prassi affermatasi fin qui, nel vigore della Circolare ISVAP n. 474/2002, e con il disposto dell’articolo 193, comma 1, del Codice[8], in base al quale la potestà regolamentare e la vigilanza finanziaria sui sottostanti di polizza di tipo linked compete allo stato membro di origine dell’impresa (cioè, allo stato che ha rilasciato l’autorizzazione a operare nel ramo III), piuttosto che allo stato ospite, nel quale sono commercializzate le polizze dell’operatore.
Ma v’è di più. Sempre in base all’assunto che il settore non sarebbe armonizzato, IVASS intenderebbe qualificare come norma di interesse generale anche l’articolo 5, comma 1, del Documento, riguardante il c.d. rischio demografico[9], la cui presenza, “[..] opportunamente calibrata sulla base del fabbisogno di copertura assicurativa del contraente[..]” sarebbe necessaria alla quantificazione della prestazione assicurativa da parte dell’impresa.
La previsione, nella sua attuale formulazione e qualificazione di norma di interesse generale, sembrerebbe saldarsi con le più recenti pronunce giurisprudenziali[10], in base alle quali sarebbero qualificabili come polizze di assicurazione sulla vita unicamente quelle polizze linked che prevedono l’assunzione da parte della compagnia di assicurazione di un rischio demografico.
Quanto sopra si baserebbe su di una lettura orientata dell’articolo 41 del Codice, che, in realtà, non prevede il rischio demografico tra gli elementi qualificanti una polizza linked come polizza di assicurazione sulla vita[11]; nè tale elemento sarebbe previsto dalle disposizioni di Solvency II o verrebbe richiamato dalla giurisprudenza comunitaria in materia.
Alla luce di quanto sopra, sembrerebbe ancora più singolare la posizione assunta, per il tramite del Documento, da IVASS.
Infatti, da un lato l’Istituto intenderebbe qualificare la disposizione come norma di interesse generale e, come tale, applicabile a tutti gli operatori presenti in Italia sul mercato delle polizze linked. Tuttavia, l’effettiva presenza, nella polizza, del rischio demografico dipenderebbe dalla valutazione, fatta di volta in volta dall’impresa, del fabbisogno concreto di copertura del contraente. Elementi, già solo, questi ultimi (esigenza di fabbisogno di copertura del contraente e valutazione della stessa da parte dell’impresa) sufficientemente incerti, quanto alla loro presenza, da non consentire di considerare il rischio demografico come centrale rispetto ad una previsione che si vorrebbe qualificare di interesse generale.
Per tacere, poi, delle previsioni di cui ai commi da 2 a 4 dello stesso articolo 5 del Documento, che indicherebbero, solo per le imprese domestiche e non anche per quelle comunitarie, i criteri alla stregua dei quali effettuare una valutazione di congruità del rischio demografico rispetto alle caratteristiche del prodotto e del mercato di riferimento, rendendo di fatto le sopra indicate disposizioni discriminatorie nei confronti delle imprese di assicurazione vita italiane, in netto contrasto con l’intento asseritamente conseguito dall’Istituto di creare un level playing field valido per tutti gli operatori anche in quest’ambito.
Alla luce di tutto quanto sopra riportato, vanno senz’altro salutate positivamente le iniziative che, anche in altri paesi europei, si stanno approntando per sottolineare le contraddizioni del Documento, anche rispetto al quadro normativo europeo di riferimento.
[1] La Circolare ISVAP n. 474/2002 sui prodotti assicurativi collegati a fondi interni o OICR è ancora in vigore. Essa sarà abrogata, ai sensi dell’articolo 39 del Documento, con l’entrata in vigore dello stesso. Tale abrogazione, tuttavia, non dovrebbe riguardare le polizze di assicurazione sulla vita di ramo III, le quali, alla data di entrata in vigore del Documento, siano parte di un portafoglio chiuso di polizze (i.e. non più oggetto di commercializzazione da parte della compagnia di assicurazione), per le quali continuerà a trovare applicazione la predetta Circolare.
[2] Attuazione della direttiva 2009/65/CE, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM).
[3] L’articolo 133 di Solvency II (“Libertà di investimento”) stabilisce il principio della libertà di invetsimento delle imprese di assicurazione, prevedendo che “1. Gli Stati membri non impongono alle imprese di assicurazione e di riassicurazione di investire in determinate categorie di attività. 2. Gli Stati membri non sottopongono le decisioni di investimento dell’impresa di assicurazione e di riassicurazione ovvero del suo gestore di investimenti ad alcun obbligo di approvazione preventiva o di notifica sistematica.”. Tuttavia, il comma 3 del medesimo articolo, stabilisce inoltre quanto segue: “3. Il presente articolo non pregiudica i requisiti stabiliti dagli Stati membri per limitare i tipi di attività o i valori di riferimento a cui possono essere collegate le prestazioni. Tutte queste norme si applicano soltanto nel caso in cui il rischio di investimento sia sopportato da un contraente che sia una persona fisica e non sono più restrittive di quelle stabilite dalla direttiva 85/611/CEE.”
[4] L’articolo 41, comma 4, del Codice stabilisce che “4. Agli attivi detenuti a copertura delle riserve tecniche relative ai contratti di cui ai commi 1 e 2 che comprendano una garanzia di risultato dell’investimento o qualsiasi altra prestazione garantita, si applicano gli articoli 37 ter e 38”, cioè gli articoli che prevedono il c.d. “Principio della persona prudente” e la “Copertura delle riserve tecniche e localizzazione delle attività”.
[5] Si veda la risposta al quesito n. 10 fornita da IVASS negli esiti alla prima consultazione del Documento, rinvenibile nel link qui di seguito indicato Esiti_Pubblica_Consultazione_documento_n._3_2022.pdf (ivass.it).
[6] In questi giorni si registra una prima reazione da parte di un’associazione di categoria rappresentativa delle imprese di assicurazione di un altro paese dell’Unione Europea, che intenderebbe richiedere l’intervento della propria autorità di vigilanza, del Parlamento e della Commissione Europei, nonchè di EIOPA per rivedere i contenuti del Documento.
[7] Rinvenibile al seguente link EUR-Lex – 32000Y0216(01) – EN – EUR-Lex (europa.eu).
[8] L’articolo 193, comma 1, del Codice (“Imprese di assicurazione di altri stati membri”) prevede quanto segue: “1. Le imprese di assicurazione che hanno la sede legale in altri Stati membri sono soggette alla vigilanza prudenziale dell’autorità dello Stato membro d’origine anche per l’attività svolta, in regime di stabilimento od in regime di libertà di prestazione di servizi, nel territorio della Repubblica.”
[9] “[..] I contratti unit linked e index linked, diversi dai contratti di tipo previdenziale, prevedono l’assunzione da parte dell’impresa di un effettivo impegno a stabilire e liquidare prestazioni, per il caso di sopravvivenza, per il caso di morte o per entrambi, il cui valore sia dipendente da una valutazione del rischio demografico opportunamente calibrata sulla base del fabbisogno di copertura assicurativa del contraente.”
[10] Si veda, in particolare, la recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 3785 del 12 febbraio scorso.
[11] L’articolo 41 (“Contratti direttamente collegati ad indici o a quote di organismi di investimento collettivo del risparmio”), comma 1, in particolare del Codice prevede infatti quanto segue: “1. Qualora le prestazioni previste in un contratto siano direttamente collegate al valore delle quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio oppure al valore di attivi contenuti in un fondo interno detenuto dall’impresa di assicurazione, le riserve tecniche relative a tali contratti sono rappresentate con la massima approssimazione possibile dalle quote dell’organismo di investimento collettivo del risparmio oppure da quelle del fondo interno, se è suddiviso in quote definite, oppure dagli attivi contenuti nel fondo stesso.[..]”