La Corte di Cassazione, Sezione I (Pres. Ferro, Rel. Fidanzia), con sentenza n. 3785 del 12 febbraio 2024, ha affrontato il tema di quali caratteristiche debbano avere le polizze unit linked – disciplinate dall’art. 2 c. 3 D.Lgs. n. 209/2005 – affinché possano essere classificate all’interno della categoria dei prodotti assicurativi previdenziali.
Tale classificazione rileva ai fini dell’applicazione dell’art. 1923 C.c., la cui applicazione è stata esclusa dalla sentenza impugnata.
Nel caso di specie la Corte d’appello infatti, aveva escluso la natura non previdenziale della polizza in oggetto, con una valutazione complessiva di una serie di elementi in virtù dei quali l’aveva assimilata ad un prodotto finanziario puro, considerando:
- la denominazione (“non previdenziale” già per denominazione dello stesso assicuratore)
- il pagamento del premio avvenuto in un’unica soluzione al momento della stipula
- l’assenza di un capitale minimo garantito e, quindi l’assunzione da parte dell’assicurato del rischio del suo azzeramento (essendo nel caso specifico la variazione dal 105% al 100,01 comunque “ancorata” al valore delle quote al momento del decesso).
Questo, quindi, sinteticamente, il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione, concordemente alla sentenza di merito impugnata:
Avuto riguardo all’accertamento in fatto svolto dal giudice di appello, che ha escluso nella polizza unit-linked di cui è causa, una qualsiasi componente previdenziale, pienamente coerente è la conclusione dello stesso giudice in ordine all’inapplicabilità delle tutele di cui all’art. 1923 C.c., che si giustificano, alla luce della sentenza delle S.U. n. 8271/2008, soltanto allorquando alla componente finanziaria si affianchi imprescindibilmente anche quella previdenziale, ma non quando la componente previdenziale sia del tutto esclusa, come nel caso di specie.