SOMMARIO: Il dibattito sulla natura giuridica delle polizze linked si rileva ancora ad oggi attuale e ricco di spunti di riflessione. Il contributo, partendo dalla definizione generale del contratto di assicurazione sulla vita, analizza, in chiave critica, la categoria del rischio demografico. Le posizioni dottrinali e giurisprudenziali sul punto non sono sempre uniformi. Secondo la giurisprudenza europea, come ribadito recentemente dalla Corte di Giustizia, le polizze linked hanno natura assicurativa, sul presupposto che ai fini della qualificazione di un contratto in termini di assicurazione sulla vita sarebbe sufficiente la presenza del legame di corrispettività tra il premio versato dal contraente e la prestazione indennitaria al verificarsi dell’evento attinente alla vita umana. La giurisprudenza di legittimità, invece, richiede la presenza di un ulteriore elemento, il rischio demografico, la cui sussistenza va verificata nel caso concreto. Tuttavia, l’approccio ricostruttivo utilizzato non sempre sembra coerente rispetto alle peculiarità che connotano il contratto di assicurazione, anche alla luce della normativa di settore. Il fine del lavoro è quello di cercare di delineare i confini applicativi del rischio demografico, considerando anche l’incidenza sulla tematica del principio di adeguatezza.
ABSTRACT: The debate on the legal nature of linked policies is still topical and full of food for thought. The paper, starting from the general definition of the life insurance contract, critically analyses the category of demographic risk. The doctrinal and jurisprudential positions on this point are not always uniform. According to European jurisprudence, as recently reaffirmed by the Court of Justice, linked policies are insurance in nature, on the assumption that for the purposes of classifying a contract in terms of life insurance, the presence of the link of correspondence between the premium paid by the policyholder and the indemnity benefit upon the occurrence of the event pertaining to human life would be sufficient. The jurisprudence of legitimacy, on the other hand, requires the presence of a further element, demographic risk, the existence of which must be verified in the concrete case. However, the reconstructive approach used does not always appear to be consistent with the peculiarities that characterise the insurance contract, also in light of the sector regulations. The purpose of this work is to attempt to delineate the applicative boundaries of demographic risk, also considering the impact on the subject of the principle of adequacy.
1. La recente pronuncia della Corte di Giustizia, 24 febbraio 2022, (cause riunite C-143/20 e C-213/20)
La recente pronuncia della Corte di Giustizia offre lo spunto per svolgere alcune considerazioni sul tema, sempre attuale e controverso, relativo alla natura delle polizze linked.
Il caso oggetto della decisione prende le mosse dalla vicenda di taluni consumatori polacchi che, dopo aver aderito a contratti collettivi di assicurazione sulla vita a capitale variabile, collegati a fondi di investimento (prodotti c.d. unit-linked), gestiti da una società contraente terza, subivano perdite significative del capitale investito a seguito del decremento del controvalore delle quote collegate a tale prodotto. I risparmiatori chiedevano, a causa della significativa perdita di valore delle quote, il rimborso dei premi versati in forza dei contratti collettivi cui avevano aderito. Vedendosi restituire somme inferiori rispetto a quelle versate, agivano in giudizio nei confronti dei soggetti collocatari lamentando una carenza di informativa precontrattuale e sostenendo, in particolare, di non essere stati informati in maniera sufficientemente chiara sulle caratteristiche e sui rischi legati all’investimento. In tale contesto, la Corte di Giustizia Europea è stata chiamata a pronunciarsi sulla portata dell’obbligo di informativa precontrattuale previsto dalla direttiva sull’assicurazione sulla vita 2002/83, applicabile ratione temporis.
In via preliminare la pronuncia inquadra il rapporto tra impresa assicurativa e consumatori che hanno aderito ad un contratto collettivo unit linked nell’ambito della nozione di contratto di assicurazione sulla vita. Ne deriva che il consumatore che aderisce al contratto collettivo rientra nella nozione di contraente ai sensi della direttiva 2002/83. Conseguentemente l’aderente, prima della sua adesione ad un contratto collettivo unit linked, deve ricevere tutte le informazioni precontrattuali così da poter effettuare una scelta consapevole del prodotto. La Corte individua il soggetto tenuto a informare il contraente – aderente nell’intermediario assicurativo. La società assicuratrice, detentrice delle informazioni, deve comunicarle all’impresa, gestore del procedimento di adesione. L’impresa che conclude il contratto collettivo, agendo in qualità di intermediario assicurativo, trasmette a sua volta tali informazioni ad ogni consumatore che aderisce a detto contratto.
La Corte precisa altresì il contenuto dell’obbligo informativo. Se la finalità dell’informazione è consentire all’aderente di selezionare il prodotto più adatto alle proprie esigenze, i caratteri che la connotano non possono che essere quelli della chiarezza, precisione e adeguatezza. Se il prodotto assicurativo offerto ha connotati finanziari, il contraente deve ricevere informazioni adeguate anche riguardo agli investimenti sottostanti, per comprenderne i rischi.
Quanto infine alle conseguenze derivanti da un non corretto adempimento di tali obblighi, la Corte ne demanda la determinazione al diritto nazionale degli Stati membri, senza dunque prefigurare una nullità o invalidità del contratto, purché il rimedio previsto garantisca l’effettività del diritto e non dissuada l’aderente dal farlo valere.
La pronuncia, in punto di diritto, inter alia, riconduce il rapporto tra impresa di assicurazione e aderente ad un contratto di assicurazione unit linked. Il dibattito sulla qualificazione delle polizze linked si rivela ancora oggi attuale e ricco di spunti di riflessione, in conseguenza del mutamento del quadro normativo di riferimento e del susseguirsi di pronunce e di posizioni dottrinali non sempre uniformi, in apparente contrasto con la giurisprudenza comunitaria. La Corte di Giustizia , in conformità con i suoi precedenti orientamenti [1], ribadisce che, nella prospettiva europea, il sinallagma assicurativo è individuato nella corrispettività delle prestazioni: l’assicuratore si impegna, previo versamento del premio, a erogare all’assicurato la prestazione pattuita al verificarsi dell’evento assicurato attinente alla vita umana. La giurisprudenza comunitaria, dunque, sembra escludere la rilevanza, ai fini qualificatori, di valutazioni circa la sussistenza di una garanzia finanziaria e di un rischio demografico economicamente apprezzabile, individuando nell’evento attinente alla vita umana un mero termine di adempimento.
Il principio di diritto espresso in ordine alla portata degli obblighi informativi può aprire le porte ad una riflessione sulla direzione in cui viaggia il mercato assicurativo. La pronuncia, resa sulla base di un quadro normativo non più attuale, più che assumere carattere innovativo, può essere letta quale conferma dell’evoluzione di settore verso una forma di “assicurazione responsabile” [2]. Al di là dell’inquadramento giuridico dello specifico contratto, il minimo comune denominatore della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea e di quella nazionale è garantire protezione e tutela al cliente [3]. In tal senso, la sentenza della Corte sembra muoversi in simbiosi verso i principi, sposati dalla recente regolamentazione, che tendono alla corretta e consapevole informazione del cliente a prescindere dal canale di distribuzione [4].
2. Profili strutturali delle polizze linked. Differenze con il paradigma codicistico
Nel mercato assicurativo, nell’ambito dei prodotti vita, si sono affermati nuovi modelli “non tradizionali” in cui risulta più marcata la componente finanziaria, al punto da indurre gli operatori a chiedersi se i prodotti de quibus siano riconducibili al modello di assicurazione sulla vita delineato dall’art 1882 c.c.
Nel modello codicistico la principale prestazione dell’assicuratore consiste nel pagamento di un capitale o di una rendita in una misura fissa al verificarsi dell’evento dedotto nel contratto. L’impresa assicurativa, a prescindere dai risultati della gestione dei premi versati dall’assicurato, garantisce soltanto la prestazione prefissata.
Nel modello delle polizze linked l’ammontare della prestazione, dovuta alla scadenza del contratto o a seguito dell’esercizio del diritto di riscatto, non è prestabilita nel quantum, ma viene commisurata agli esiti delle operazioni di investimento [5].
Questi nuovi modelli, frutto di un cambio di rotta nell’offerta dei prodotti dei gruppi assicurativi, si sono affermati nel mercato per contrastare il fenomeno inflattivo [6] e permettere la sopravvivenza del settore [7]. I prodotti tradizionali vita non apparivano più in grado di conservare il valore reale dei capitali, versati dagli assicurati sotto forma di premio. La prestazione dell’assicuratore, generalmente predeterminata nel suo ammontare (o crescente ma in forma fissa sulla base di una percentuale predefinita), non consentiva una copertura adeguata a fronte dei pregiudizi derivanti dalla svalutazione monetaria, risultando inidonea al soddisfacimento dei bisogni della vita dell’assicurato. La vicenda delle polizze linked rappresenta, in tal senso, un esempio di quel fenomeno che la dottrina definisce come “finanziarizzazione” [8] dell’attività assicurativa. L’introduzione di queste nuove fattispecie contrattuali ha rappresentato un tentativo da parte delle imprese di cercare di soddisfare i bisogni degli assicurati offrendo un servizio che guardasse alle opportunità del mercato dei valori mobiliari.
L’impresa assicurativa non offre alcuna garanzia in merito alla restituzione del premio versato; l’eventuale guadagno e le perdite vengono parametrate in base al buon esito delle operazioni di investimento, dipendendo da un valore di riferimento suscettibile di variazione tra il momento di conclusione del contratto e quello di erogazione [9]. Differentemente dal modello tradizionale, l’intero rischio dell’investimento del capitale [10] è a carico dell’assicurato.
A livello normativo nazionale, queste polizze furono introdotte e disciplinate dalla L. del 22 ottobre 1986 n. 742, in attuazione della direttiva comunitaria n. 79/267/CEE, e successivamente con il d.lgs. n. 174/1995 (attuativo della direttiva 92/96/ CEE). Le polizze linked trovano ad oggi [11] la propria sede di disciplina nell’art. 2 Codice delle Assicurazioni Private (D.lgs. 7 settembre 2005 n. 209), e sono ivi definite come assicurazioni sulla vita «di cui al ramo I e ramo II [12], le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni ovvero a indici o altri valori di riferimento ».
La prassi conosce due tipologie di polizze linked: le index linked e le unit linked. Nelle prime, le prestazioni delle parti sono legate all’andamento di un indice azionario o di un altro valore di riferimento. Nelle seconde, invece, il valore del capitale è ancorato all’andamento del valore delle quote di fondi di investimento (unit)[13]. Esaminando le caratteristiche dei due modelli, risulta evidente come la componente finanziaria rappresenti l’elemento di discrasia rispetto alla tradizionale configurazione dell’assicurazione sulla vita [14], determinando una inversa allocazione del rischio e incidendo sul piano delle obbligazioni gravanti sulle parti.
Le peculiarità evidenziate hanno indotto la dottrina a interrogarsi circa l’ammissibilità delle due tipologie di polizze e, in particolare, a dubitare della relativa natura assicurativa. La dottrina, a seconda della diversa articolazione del rischio finanziario, suole distinguere le polizze linked in pure, a capitale garantito e a capitale parzialmente garantito. Nelle polizze linked a capitale garantito (guaranteed linked) è prevista la restituzione del premio investito ed eventualmente anche di un rendimento aggiuntivo; in quelle parzialmente garantite (partial guaranteed linked) la restituzione è parziale. Nelle polizze linked c.d. pure, la prestazione dell’assicuratore viene in toto agganciata ad uno strumento finanziario: al verificarsi dell’evento non viene garantita la restituzione del capitale e il rischio finanziario dell’operazione ricade interamente sul contraente [15]. Quest’ultima tipologia è quella che ha maggiormente alimentato il dibattito dottrinale e destato maggiori problemi. Nelle polizze linked c.d. pure diviene incerto non solo il quantum della prestazione ma lo stesso an. Le diverse ricostruzioni prospettate tendono alla individuazione dei caratteri indefettibili del tipo assicurativo e alla successiva verifica della conciliabilità degli elementi essenziali, come individuati, con i prodotti c.d. misti assicurativo- finanziari.
Secondo una prima impostazione dottrinale [16], rientrerebbero nell’alveo del contratto di assicurazione solo le polizze c.d. guaranteed linked. In assenza di una garanzia di restituzione dell’intero premio versato o di una parte consistente di esso, l’assicurato, al verificarsi dell’evento dedotto in polizza, potrebbe ritrovarsi senza alcuna garanzia per far fronte alle esigenze da cui voleva tutelarsi concludendo il contratto [17]. In questa prospettiva, si reputa che la funzione assicurativa può ricorrere soltanto se il contratto viene predisposto in modo tale da permettere all’assicurato di soddisfare l’interesse leso dall’evento dedotto in contratto. In altre parole, una parte della prestazione dovuta dall’assicuratore deve essere svincolata da parametri esterni e risultare certa [18]. Da ciò deriverebbe l’esclusione dal tipo assicurativo delle altre tipologie di polizze (linked pura e partial guaranteed linked), ove l’unico obiettivo perseguito dal contraente è quello di massimizzare il ritorno economico e dunque il bisogno da soddisfare risulta essere puramente speculativo e di puro investimento.
Secondo una diversa e minoritaria ricostruzione, tutte le polizze linked, indipendentemente dall’allocazione del rischio di investimento e dalla previsione di restituzione del capitale, sarebbero qualificabili quali contratti assicurativi. La prima argomentazione addotta per sostenere tale impostazione fa leva sulla disciplina del margine di solvibilità e delle riserve tecniche dell’impresa assicurativa [19]. Ulteriori argomentazioni richiamano profili storici: a tal proposito si evidenzia che la dottrina che esclude la natura assicurativa delle polizze linked accoglie una lettura anacronistica della disciplina codicistica dell’assicurazione sulla vita. All’indomani dell’emanazione del codice civile l’unica tipologia di assicurazione sulla vita presente nel mercato sarebbe stata infatti quella legata ad un evento attinente alla vita umana e caratterizzata da prestazioni predeterminate [20]. Tuttavia, considerato il mutamento del mercato assicurativo, si reputa che queste disposizioni devono essere rilette alla luce dell’evoluzione che ha interessato la materia e valorizzando l’autonomia dei contraenti. Secondo tale impostazione, che risente degli influssi di un approccio liberale, la determinazione della funzione del contratto, così come la misura e la modalità della prestazione sarebbero lasciate all’autonomia dei privati. Il contratto di assicurazione sulla vita si presterebbe a soddisfare i più diversi bisogni e interessi che le parti, nell’esercizio della propria autonomia, intendono perseguire. La funzione previdenziale, in tal senso, non costituisce la causa del contratto ma solo una delle funzioni che astrattamente le parti potrebbero voler conseguire con il contratto. Diventa perciò necessario reinterpretare la disciplina codicistica. La nozione di cui all’art 1882 c.c. è «neutra» [21], nel senso che la funzione previdenziale è solo una delle funzioni che le parti possono prevedere nel regolamento contrattuale. L’art. 1882 c.c. è riconducibile a una funzione assicurativa latu sensu che non si esaurisce in quella previdenziale. Di conseguenza, il tipo contrattuale potrebbe essere utilizzato anche per il perseguimento di bisogni non per forza connessi alla durata della vita dell’assicurato. Dunque, né il rischio demografico né la restituzione del capitale sarebbero requisiti essenziali dell’assicurazione sulla vita, sicché le parti ben potrebbero costituire un rapporto assicurativo dal contenuto multiforme, come nelle polizze linked, ancorando la prestazione dell’assicuratore a indici o quote esterne, prescindendo dalla valutazione del rischio demografico, senza che tale rapporto fuoriesca, per dette caratteristiche, dal modello legale dell’assicurazione sulla vita.
3. Evoluzione giurisprudenziale: rischio demografico quale causa concreta delle polizze linked
Alle posizioni dottrinali si affiancano diverse interpretazioni giurisprudenziali, frutto del contenzioso sorto per effetto delle perdite patrimoniali subite dai sottoscrittori di tali prodotti. Nella maggioranza dei casi, la giurisprudenza ha affrontato la questione della qualificazione delle polizze linked e della conseguente disciplina applicabile al fine di individuare gli obblighi informativi gravanti sull’assicuratore nei confronti dell’assicurato [22].
All’interno della Corte di legittimità [23] si è consolidato l’orientamento per cui occorre di volta in volta, al di là del nomen iuris, interpretare il contratto al fine di verificare l’effettiva sussistenza, nel complessivo regolamento negoziale, della componente assicurativa. Le polizze linked avrebbero natura mista, finanziaria e assicurativa. In tale logica, anche nelle ipotesi in cui la causa assicurativa non fosse prevalente rispetto a quella finanziaria, questa costituirebbe un elemento del negozio e dunque dovrebbe essere conforme non solo alle disposizioni di matrice europea e alla normativa regolamentare, ma anche a quella codicistica. Ad avviso dell’orientamento maggioritario, la componente finanziaria presente nelle polizze linked non eliderebbe la necessità di una verifica circa l’effettiva sussistenza del rischio demografico, in quanto il contratto di assicurazione sulla vita, ai sensi dell’art 1882 c.c., è caratterizzato dall’assunzione dell’obbligo in capo all’assicuratore di pagare un capitale o una rendita al verificarsi di «un evento attinente alla vita umana». Tale verifica sarebbe volta a comprendere se il rischio demografico sia stato effettivamente e non solo formalmente contemplato dalle parti e andrebbe effettuata in concreto, avuto riguardo all’entità del premio versato dal contraente, all’orizzonte temporale e alla tipologia dell’investimento. Solo in tal modo queste tipologie di polizze manterrebbero una «funzione assicurativa, individuabile quale causa concreta del contratto».
La Corte di Cassazione sembra in questi termini superare l’orientamento per cui il contratto di assicurazione sulla vita è tale solo ove prevista la garanzia della restituzione del capitale, in mancanza della quale sarebbe da considerare mero investimento finanziario, con tutte le conseguenze di disciplina. Anche in presenza di una garanzia solo parziale di conservazione del capitale, le polizze sarebbero qualificabili come contratti assicurativi. Il rischio demografico sembra perciò diventare elemento necessario e sufficiente ai fini della qualificazione di un contratto di assicurazione sulla vita.
Tuttavia, la Corte di Cassazione non individua una soglia al di sotto della quale possa affermarsi con certezza l’insussistenza di un rischio demografico effettivo, limitandosi ad affermare che il regolamento non deve essere tale «da vanificare completamente l’equilibrio delle prestazioni». In assenza di una precisa indicazione al riguardo, l’interprete riveste un ruolo centrale poiché è chiamato a verificare caso per caso l’effettiva sussistenza del rischio demografico.
4. Critica. Rischio demografico e funzione previdenziale
L’orientamento della Corte di legittimità, pur avendo il pregio di restituire uno spazio di autonomia applicativa alla disciplina codicistica, non è esente da critiche [24]. Le polizze linked, come già precedentemente evidenziato, non mirano all’accumulo del capitale ma hanno come obiettivo la massimizzazione del ritorno economico, addossando il rischio di perdite, in caso di cattivo andamento del mercato, sul contraente. La somma che il beneficiario riceve al verificarsi dell’evento legato alla durata della vita umana dedotto in polizza dipende dall’andamento del valore delle quote investite in fondi interni o esterni o dall’indice di borsa. Le compagnie assicurative, nella prassi, strutturano il prodotto prevedendo all’interno del contratto una maggiorazione del valore complessivo del capitale secondo percentuali che variano in base all’età dell’assicurato e a ulteriori condizioni previste. L’autorità giudiziaria deve verificare, al fine di qualificare una polizza che presenti contenuto finanziario come contratto assicurativo, che i meccanismi adottati siano, sia in astratto sia in concreto, idonei a perseguire la finalità previdenziale assicurando il trasferimento del rischio demografico in capo all’impresa assicurativa.
Il modus operandi della giurisprudenza non è sempre coerente con questa premessa. La lettura delle pronunce di merito e legittimità evidenzia una pressoché costante coincidenza tra l’esito positivo della verifica causale e il riconoscimento della proporzione tra premio versato e quantum restituito. Non può non rilevarsi come questo approccio ricostruttivo aggira solamente l’ostacolo della qualificazione senza risolverlo. Il risvolto problematico risiede nel fatto che l’indagine sulla causa molto spesso si risolve in un espediente utile al fine di individuare soluzioni cucite su misura, in un’ottica di tutela del contraente – risparmiatore. L’indagine sull’elemento causalistico, dall’analisi delle pronunce, appare la strada più breve, nonché la più familiare, per risolvere il conflitto tra i diversi interessi in gioco ed arrivare a decisioni che altrimenti richiederebbero analisi più impegnative alla luce di una ricostruzione teorica incerta e della varietà dei modelli contrattuali.
Nondimeno, l’indagine sulla effettiva assunzione da parte dell’impresa assicurativa del rischio demografico non può essere effettuata guardando soltanto alla controprestazione effettivamente erogata, considerato che quest’ultima è soltanto uno degli indici utili ai fini dell’individuazione della effettiva ricorrenza del rischio assicurativo, ma non l’unico. Segnatamente, il rischio demografico in molti casi viene ritenuto inesistente perché il controvalore erogato non è in grado di soddisfare i bisogni dell’assicurato o dei beneficiari in caso di morte. Nell’affermare ciò non si tiene conto che la somma erogata non può essere corrispondente al premio, altrimenti tutta l’operazione sarebbe inutile. Del resto se il contratto stipulato ha una durata nel tempo è normale che la percentuale di capitale aggiuntivo erogato vari a seconda del variare dell’età dell’assicurato. È di tutta evidenza che il rischio demografico, che l’impresa assicurativa assume ed è chiamata a gestire, è differente a seconda che il contraente sia un soggetto giovane o anziano.
L’ampia tutela riservata alla funzione previdenziale non esclude tuttavia che l’assicurato, nell’esercizio dell’autonomia negoziale, possa utilizzare il tipo contrattuale per perseguire la funzione previdenziale nel modo che ritiene più adatto alle proprie esigenze; ben può perseguirla anche utilizzando un prodotto assicurativo che presenta profili finanziari. È sì vero che aderendo alla ricostruzione maggioritaria il contratto di assicurazione sulla vita persegue una funzione previdenziale [25], ma ben può essere stipulato per qualsiasi somma che il contraente ritenga adeguata e che voglia investire e accantonare per conseguire tale finalità.
Se è vero che è la componente finanziaria a distinguere le polizze linked dai modelli tradizionali, non è corretto d’altro canto far dipendere da questa peculiarità la fuoriuscita automatica di questo modello dal tipo legislativo del contratto di assicurazione sulla vita [26]. L’evoluzione contenutistica delle polizze vita trova giustificazione nelle esigenze del mercato e risulta ottimale proprio alla funzione di copertura del rischio demografico.
Ai fini di una analisi adeguata del fenomeno delle polizze linked, occorre riflettere in maniera più approfondita sull’incidenza nella definizione del tipo contrattuale «dell’evento attinente alla vita umana». Se appaiono condivisibili le impostazioni giurisprudenziali e dottrinali che ravvisano la cifra indefettibile dell’assicurazione nel rischio demografico [27] occorre offrirne una lettura che permetta di individuare il corretto perimetro in cui opera tale indice ed entro cui lo stesso diviene condicio sine qua non per qualificare un contratto come assicurazione sulla vita, senza andare alla ricerca di costruzioni di nuovi tipi contrattuali [28] e senza scomodare categorie quali il contratto misto. Il rischio demografico è legato all’incertezza di un evento attinente alla vita del contraente, e viene definito come lo «scostamento tra ipotesi demografica posta a base del calcolo del premio e andamento demografico delle popolazione demografica» [29]; in altre parole, come scostamento tra le tavole di mortalità utilizzate nel calcolo del premio e quanto si verifica nella realtà. L’evento attinente alla vita umana opera in modo peculiare sul rapporto contrattuale [30] sicché sembra erroneo ricostruirlo quale mero termine di adempimento della prestazione. L’incidenza del rischio demografico, ai fini della qualificazione del contratto, deve essere condotta, in primo luogo, con riferimento alle prestazioni delle parti [31]. L’evento futuro e incerto incide sul contenuto della prestazione dell’impresa assicurativa. La prestazione dell’assicuratore non può essere ravvisata solo nel mero pagamento dell’indennizzo a fronte del premio, ma piuttosto nell’assunzione di un rischio, che nell’assicurazione sulla vita è il rischio demografico. L’impresa assicurativa, attraverso un meccanismo di calcolo attuariale, sulla base sia del coefficiente di rischio assunto sia della probabilità di verificazione dell’evento, determina il premio dovuto dall’assicurato. In base all’evento dedotto in polizza (sopravvivenza dell’assicurato ad una data o morte durante l’esecuzione del contratto), all’età del contraente, alla probabilità di accadimento, l’impresa determina la percentuale di maggiorazione rispetto al capitale, dovuta in caso di verificazione dell’evento; percentuale che verosimilmente varia nel corso del rapporto contrattuale al variare dei parametri di riferimento.
Quanto rappresentato non deve portare all’apodittica conclusione che il rischio demografico può dirsi presente tutte le volte che il premio versato risulti poi proporzionale al capitale garantito. Nel condurre il procedimento di qualificazione si deve valutare la riconducibilità o meno del singolo contratto nell’alveo dell’assicurazione della vita. Occorre verificare non che a valle il contratto si sia rivelato funzionale al perseguimento di obiettivi di previdenza, ma che a monte l’evento attinente alla vita umana abbia effettivamente inciso sul meccanismo aleatorio. È il rischio del verificarsi di un siffatto evento che deve essere considerato dalle parti quale elemento essenziale. Dunque, nell’accertamento dell’effettiva assunzione nel caso concreto del rischio demografico, ciò che conta non è la proporzione tra capitale erogato e premio ma il complessivo assetto degli interessi delle parti come espresso nel regolamento contrattuale. Conseguentemente, nelle assicurazioni miste (che prevedono un pagamento al beneficiario di un capitale sia in caso di sopravvivenza dell’assicurato alla scadenza del contratto, sia in caso di decesso nel corso della durata), occorre verificare se la controprestazione dell’assicurazione varia a seconda dell’evento dedotto in polizza; se l’indice di percentuale sulla base del quale calcolare il capitale aggiuntivo varia secondo l’età dell’assicurato; se la durata del contratto dipende dal verificarsi di un evento collegato alla vita umana; se ancora il contraente conserva nella durata del contratto diritti quali la possibilità di riscattare la polizza, totalmente o parzialmente, o la possibilità di modificare il beneficiario.
5. Documenti consultazione Ivass n. 1/2022 e 3/2022: una mancata occasione
A sostegno della rilevanza del rischio demografico quale elemento essenziale ai fini della qualificazione, devono essere richiamati il regolamento[32] ISVAP, 16 marzo 2009, n. 29 e il regolamento [33] ISVAP, 11 giugno 2009, n. 32, che prevedono, rispettivamente all’art. 6 e all’art. 9, l’assunzione del rischio demografico dell’assicuratore quale requisito indefettibile del contratto di assicurazione [34].
Nel marzo 2022 sono stati sottoposti in pubblica consultazione, due bozze di regolamento dall’IVASS (1/2022 e 3/2022) [35], riguardanti futuri interventi in materia di prodotti assicurativi vita, con l’obiettivo di dettare nuove regole in materia di contratti index e unit linked e di adeguare la vetusta normativa agli interventi di matrice europea[36].
L’intervento dell’Autorità, seppure con dei limiti, riveste particolare importanza, tenuto conto che la regolamentazione sulle polizze unit linked risale al 2002 (circolare n. 474) [37], e quella sulle index al 2009 (Regolamento n. 32).
Per quanto interessa ai fini della trattazione, nelle bozze di regolamento in consultazione, IVASS ha confermato, come già previsto nella precedente regolamentazione, la necessaria sussistenza del rischio demografico. Le imprese devono impegnarsi nel liquidare prestazioni il cui valore sia dipendente dalla valutazione del rischio demografico. Da questo punto di vista le bozze di regolamento hanno mancato l’obiettivo, in quanto l’IVASS non ha apportato alcuna modifica a quanto già previsto nei precedenti regolamenti. L’Autorità si è limitata a ribadire la necessaria sussistenza del rischio demografico, senza indicare quanto rischio dovrebbero assumere le imprese assicurative al fine di poter affermare con certezza la sussistenza della componente assicurativa nelle polizze unit e index linked.
L’Autorità ha disatteso le aspettative degli operatori del mercato che vedevano nella revisione dei regolamenti la giusta occasione per porre fine alla diatriba sulla qualificazione delle polizze linked. Gli attori del mercato auspicavano l’indicazione per le imprese di una soglia quantitativa minima di percentuale di rischio demografico da assumere al fine di inquadrare pacificamente tali prodotti all’interno della categoria contratti assicurativi e scongiurarne una riqualificazione giudiziale.
In mancanza di una indicazione puntuale [38], le imprese modulano autonomamente la percentuale di copertura del rischio con la conseguenza che, come spesso accade, i contratti portati all’attenzione della giurisprudenza presentano percentuali molto esigue e che prescindono totalmente dall’importo del premio versato.
Al di là dell’auspicata indicazione di una percentuale minima da parte dell’Autorità, l’approccio conservatore adottato conferma e rafforza, in chiave integrativa, la disciplina codicistica e la necessaria presenza del rischio demografico quale unico elemento connotante lo schema tipico dell’assicurazione sulla vita. Non può negarsi che questo mancato intervento lascia perplessi. È alquanto singolare che in un settore regolamentato come quello assicurativo non sia stata introdotta una previsione regolamentare che individui ex ante, in modo oggettivo, valori minimi cui le società debbano attenersi nella strutturazione dei prodotti.
6. La disciplina europea
Il dibattito sulla natura delle polizze linked è radicalmente mutato a seguito dell’intervento del legislatore europeo. L’obiettivo perseguito dalla normazione sovranazionale è l’avvicinamento della disciplina assicurativa e finanziaria.
La Direttiva sulla distribuzione assicurativa (Direttiva 2016/97/UE), c.d. IDD, introduce regole unitarie valide per tutti i prodotti assicurativi a prescindere dal canale distributivo, salvo poi prevedere regole aggiuntive per gli IBIPS. L’acronimo IBIPS sta per Insurance Based Investment Products, ossia sta a indicare la categoria di prodotti di investimento assicurativi «che presentano una scadenza o un valore di riscatto e in cui tale scadenza o valore di riscatto è esposto in tutto o in parte, in modo diretto o indiretto, alle fluttuazioni del mercato». Rientrano pertanto in questa categoria le polizze linked. IBIPs e PRIPs (Packaged Retail and Insurance- based Investment Products) insieme costituiscono i PRIIPS, una macrocategoria di prodotti finanziari pre assemblati sensibili alle fluttuazioni dei mercati finanziari. Il legislatore nazione è intervenuto, in attuazione della Direttiva IDD, con il D.lgs. 68/2018, che ha modificato il CAP e il TUF, chiarendo altresì il nuovo riparto di competenze. La vigilanza spetta alla CONSOB per la distribuzione dei prodotti di investimento effettuata da banche e intermediari finanziari regolati dal TUB; ad IVASS per la distribuzione effettuata da agenti e broker assicurativi. I prodotti di investimento assicurativi, nonostante siano caratterizzati da una componente finanziaria, vengono definiti prodotti assicurativi, assoggettati alla relativa disciplina. La normazione relativa a tali prodotti non menziona il rischio demografico quale componente rilevante ai fini qualificatori.
Rafforza la divergenza la posizione adottata dalla giurisprudenza sovranazionale. Già nel 2011 la Corte, dovendosi pronunciare, in via pregiudiziale, in merito all’ambito di applicazione della Direttiva 85/577/CE, sulla tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, che all’art. 3 esclude dal suo ambito i contratti di assicurazione, affermò che i contratti unit linked sono contratti assicurativi sulla vita in quanto qualificati come tali dalla direttiva 2002/83/CE [39]. Ancora, con la sentenza “Länsförsäkringar” (causa C- 542/2016 del 31 maggio 2018) [40], la Corte è stata chiara nell’affermare che le polizze linked sono contratti sulla vita se risulta presente il binomio premio – prestazione, indipendentemente dalla previsione di restituzione del premio o dalla sussistenza di una copertura del rischio demografico. In continuità con i precedenti, anche la recente pronuncia si pone sulla stessa scia, confermando l’inquadramento delle polizze linked nella categoria del contratto di assicurazione.
Sorge dunque spontanea la domanda di come conciliare il dato normativo europeo con quello nazionale con riferimento a ciò che è assicurazione sulla vita. Non a caso alcune pronunce [41] della giurisprudenza di merito, sulla base dei referenti normativi e giurisprudenziali sovranazionali, si discostano apertamente dall’orientamento di legittimità, ritenendo non necessari, ai fini della qualificazione delle polizze linked come prodotti assicurativi, né l’assunzione di un rischio demografico, né la presenza della garanzia di restituzione del capitale.
Le aree di interferenza tra normativa nazionale ed europea devono essere tenute distinte da quelle in cui invece il quadro normativo nazionale conserva la propria autonomia. In caso di antinomie tra normativa interna ed europea è quest’ultima a dover prevalere attraverso lo strumento della disapplicazione della norma in contrasto; tuttavia «tale affermazione va correttamente intesa allorquando si tratti di questioni classificatorie. Le categorie concettuali elaborate nel diritto UE sono infatti autonome, riferibili allo specifico ambito applicativo cui si riferiscono, e non esportabili sic et simpliciter nel diritto nazionale» [42]. È vero che in ambito europeo l’assenza o meno del rischio demografico o di una causa previdenziale è irrilevante e non porta con sé la conseguenza di escludere le polizze linked dalla categoria dei prodotti assicurativi, ma è bene sottolineare che la riconducibilità di tali prodotti alla categoria fa sì che trovino applicazione specifiche regole a presidio del cliente [43]. Lo scopo principale perseguito dai regolamenti e dalla direttive che sono intervenute in materia di contratto assicurativo vita è la protezione degli utenti dei servizi assicurativi dall’asimmetria informativa che caratterizza tali tipologie contrattuali [44]. Se dunque è vero che, ai fini applicativi per cui è stata chiamata a pronunciarsi la Corte, le polizze linked sono state ricondotte nella categoria “contratto di assicurazione”, ciò tuttavia non può portare alla conclusione che si debba ignorare la disciplina codicistica e la nozione di contratto di assicurazione sulla vita [45]. Se ai fini dell’applicazione della normativa europea le polizze linked sono incluse nella nozione di contratto di assicurazione sulla vita, ai fini dell’applicazione delle disposizioni del codice civile occorre che sussistano tutti gli elementi ritenuti essenziali e connotanti il tipo contrattuale, id est il rischio demografico.
7. Conclusioni: prospettive future e note critiche
In conclusione, da quanto osservato emerge che il diritto delle assicurazioni è stata ed è una materia interessata da molteplici interventi legislativi, soprattutto dietro l’impulso del legislatore comunitario. Da ultimo, il recepimento della direttiva c.d. IDD ha determinato un’inversione di rotta nella distribuzione assicurativa. Innegabile è la tendenza di assicurare tutela ai clienti assicurativi che, nell’aderire a prodotti presenti nel mercato, caratterizzati da elevati profili di complessità e rischiosità (come le polizze linked), si trovino esposti al rischio di perdite patrimoniali ingenti.
Dall’analisi della casistica giurisprudenziale emerge che il tema della natura delle polizze linked è stato affrontato molto spesso in riferimento a controversie incentrate sull’individuazione della disciplina sugli obblighi informativi applicabile a tale tipologia di prodotto. In particolare, la regolamentazione finanziaria e quella assicurativa divergevano in punto di prescrizioni concernenti i doveri informativi posti a carico dell’impresa. La distanza esistente sul piano delle tecniche di tutela tra disciplina assicurativa e finanziaria si può ritenere superata. Il processo di armonizzazione della disciplina finanziaria e assicurativa ha preso forma con l’introduzione della categoria del prodotto di investimento assicurativo [46]. Dallo statuto derivante dai recenti interventi legislativi la posizione dell’assicurato appare rafforzata: il legislatore ha incrementato le regole che devono essere osservate nella relazione tra distributore e cliente. Se il problema relativo agli obblighi informativi può dirsi ad oggi attenuato in virtù dell’evoluzione della regolamentazione, l’individuazione di un criterio distintivo tra contratti di assicurazione sulla vita e contratti finanziari rimane essenziale al fine dell’applicazione delle ulteriori norme. Qualificare un contratto come assicurativo ha importanti ricadute applicative sul trattamento fiscale nonché sul regime di esenzione dalle azioni esecutive dei creditori. Gli interventi normativi, di cui si è fatta menzione, si sono occupati di specifici profili, quali quelli della disciplina dell’impresa assicurativa, della distribuzione, ma, dal punto di vista contrattuale, nell’individuazione degli elementi essenziali del contratto di assicurazione sulla vita non può prescindersi dal dato normativo. Dalle disposizioni codicistiche, del resto non smentite, come visto, dalla normazione secondaria, emerge che il contratto di assicurazione sulla vita è caratterizzato dall’assunzione di un rischio demografico. Fintanto che non vi siano interventi del legislatore volti a dare un assetto organico della materia, ai fini della qualificazione di un contratto come assicurativo non si può prescindere dal dato normativo richiamato e dalla lettura sistematica che a esso deve essere assegnata.
Tuttavia, anche aderendo alla ricostruzione prospettata il problema non si esaurisce. Il cliente può decidere di sottoscrivere una polizza linked perché ritiene che sia il prodotto più adatto per soddisfare le proprie esigenze, ma ciò non è sempre vero. Data la complessità dei prodotti presenti sul mercato, sia assicurativi che finanziari, al di là della qualificazione dei prodotti, assume rilevanza il tema della effettiva adeguatezza degli stessi. È proprio per tutelare la posizione del cliente che il legislatore ha rafforzato le regole di condotta degli intermediari nella fase precontrattuale. Il distributore, prima della conclusione del contratto, deve acquisire dal contraente ogni informazione utile ad identificare le richieste e le esigenze dello stesso, al fine di valutare la conformità del contratto prescelto. Nell’intento del legislatore, l’intervento sulle regole applicabili alla distribuzione dei prodotti dovrebbe contribuire alla creazione di rapporti più equilibrati che espongano i clienti a rischi minori, così da conferire all’intero mercato maggiore stabilità [47]. La valutazione di adeguatezza influisce sulla scelta del tipo contrattuale da concludere e « in essa si scorge un punto di incontro tra il carattere seriale e massificato della produzione e distribuzione di prodotti assicurativi sul mercato e la necessità che esso sia ritagliato sugli interessi manifestati dal cliente all’assicuratore in fase precontrattuale[48]». Con la conseguenza che per l’interprete il problema sembra spostarsi dall’accertamento della natura delle polizze linked ad una verifica dell’adeguatezza del prodotto [49]. Se il contratto di assicurazione sulla vita deve essere valutato in termini di adeguatezza, anche se a contenuto finanziario, e, se la normativa si dirige sempre più verso la protezione sostanziale del cliente a prescindere dal canale di distribuzione, ci si chiede quale sia il discrimen nell’offerta e quale sia il requisito sulla base del quale la stipula di una polizza linked risulti “più adeguata” rispetto ad un prodotto finanziario.
[1] Corte di Giustizia, sentenza del 31 maggio 2018, C-542/16, cd. sentenza “Länsförsäkringar”; sentenza, 1 marzo 2012, C- 166/11, c.d. sentenza “Gonzales Alfonso”, in www.curia.europea.eu. La sentenza ha ribadito che la portata dei termini «contratto di assicurazione» «deve trovare una interpretazione autonoma e uniforme in tutta l’Unione Europea» e pertanto «i contratti detti unit linked oppure collegati ad un fondo di investimento, come quello concluso nella fattispecie di cui è causa, sebbene non prevedano la garanzia della conservazione del capitale, sono normali in diritto delle assicurazioni. Difatti, il legislatore dell’Unione ha ritenuto che questi tipo di contratti rientri in un ramo dell’assicurazione sulla vita».
[2] M. Hazan, L’assicurazione “responsabile” e la responsabilità dell’assicuratore: quali prospettive dopo IDD?, in Danno e Resp, 2017, V. Si parla di «assicurazione responsabile» in quanto la reclamata vocazione sociale della moderna assicurazione privata postula che la stessa sia esercitata in termini di autentico servizio di garanzia, al riparo da finalità meramente speculative e nel rispetto dei superiori interessi di coloro i quali – gli aventi diritto alle prestazioni assicurative – vi si siano affidati ”, 631.
[3] Sul “cliente” quale figura di mercato autonoma rispetto alle categorie del consumatore e del professionista, V. Roppo, Diritto dei contratti e regolazione del mercato: dalla protezione del consumatore alla protezione del cliente? In Id., Il contratto del duemila, 2011, Torino. La ragione di tutela della figura del cliente attiene alla posizione che riveste rispetto alla prestazione tipica del contratto. Il cliente si pone quale outsider privo delle conoscenze specifiche che gli consentano il controllo della prestazione. In tal senso, deve esserne assicurata la tutela rispetto alla impresa fornitrice, c.d. insider.
[4] La Direttiva 2016/97/CE, Insurance Distribution Directive (c.d. IDD), rappresenta un ulteriore passo avanti nella tutela del cliente nel settore assicurativo. Già, P. Corrias, Le aree di interferenza delle attività bancaria ed assicurativa tra tutela dell’utente e esigenze di armonizzazione del mercato finanziario, in Giust. Civ., 2015, III, notava che «in una prospettiva realistica, si potrebbe, però, incidere sensibilmente sul terzo punto, intervenendo sulla disciplina delle operazioni finanziarie su due piani differenti. Da un lato prevedendo per tutte le singole figure negoziali una propria e definita regolamentazione che prescinda dai caratteri del soggetto abilitato che stipula con l’utente; dall’altro individuando un blocco comune di regole generali sul contratto e sugli obblighi precontrattuali, tramite un’opera di selezione, unificazione ed armonizzazione di quelle già esistenti e disseminate nei tre testi normativi fondamentali del mercato finanziario (TUB, TUF e cod. ass.)».
[5] Parte della dottrina ritiene che in queste operazioni la prestazione dell’assicurato non possa essere qualificata in senso tecnico di premio. G. Volpe Putzolu, Le polizze linked tra norme comunitarie, Tuf e codice civile, Ass., 2012, III, sottolinea come «è innegabile che per premio gli autori del codice civile intendessero una controprestazione calcolata su basi probabilistiche»; e aggiunge che «la variabilità della funzione del premio che ne consegue, a seconda del contratto di volta in volta considerato, non è che la conseguenza della naturale capacità dell’assicurazione sulla vita ad evolversi verso forme negoziali nelle quali il profilo finanziario assume un valore dominante, ma nello stesso tempo, si risolve nella modificazione del concetto di premio».
[6] Per una più puntuale ricostruzione E. Piras, Le polizze variabili nell’ordinamento italiano, Milano, 2011, 2 ss.
Per far fronte agli effetti negativi derivanti dal contesto economico le imprese assicurative iniziarono a proporre forme assicurative rivalutabili in modo che «l’assicurato viene cointeressato ai risultati degli investimenti finanziari» e «a suo carico viene posto il rischio della redditività delle riserve». Accanto alle polizze rivalutabili «nella prassi si sono diffuse le polizze cc.dd. variabili che, per la loro provenienza dagli ordinamenti di common law, vengono denominate polizze unit linked e index linked».
[7] G. Fanelli, Assicurazione sulla vita e intermediazione finanziaria, in Ass., 1986, 181 ss.
[8] Per “finanziarizzazione” dell’attività assicurativa si intende il graduale avvicinamento dei tre blocchi di cui si compone il mercato finanziario inteso in senso ampio. Sul punto R. Natoli, Il contratto “adeguato” (La protezione del cliente nei servizi di credito, di investimento e di assicurazione), Milano, 2012.
[9] G. Marino, Il contratto di investimento assicurativo all’intersezione tra ordinamento assicurativo e finanziario, in Jus civile, 2020, VI, 1603. A differenza del modello tradizionale, le somme pagate dall’assicurato al momento della stipula del contratto non rappresentano «un profilo estraneo e irrilevante nel rapporto assicurativo, avente a che vedere esclusivamente con il piano dell’attività dell’assicuratore e con la correlativa assunzione del rischio di impresa».
[10] A. Albanese, L’assicurazione sulla vita, in Franzoni (a cura di), Diritto delle assicurazioni, Bologna, 2016, 95. Quanto al rischio dedotto « mentre nel contratto d’assicurazione vita esso è assunto dall’assicuratore, il cui margine di profitto è direttamente proporzionale alla frazione di tempo intercorrente tra la stipula del contratto e l’evento della vita in esso dedotto, nello strumento finanziario, invece, l’assicurato si accolla il rischio di investimento relativo alla somma versata a titolo di premio: tale rischio, inerente la performance del prodotto, è infatti a suo carico ed è slegato dal fattore tempo, giacché dipende dalle dinamiche dei mercati mobiliari, dal rendimento del titolo e dalla solvibilità dell’emittente».
[11] Le polizze linked sono state interessate da diversi interventi normativi. In sintesi, la Legge Sulla Tutela del Risparmio del 28 dicembre 2005, n. 262 ha abrogato la lett. f) dell’art. 100 del T.u.f. (d.lgs. 24 febbraio 1998 n.54) che escludeva i prodotti assicurativi dall’ambito di operatività delle norme sulla sollecitazione all’investimento di valori mobiliari.
Successivamente il legislatore e ha introdotto l’art. 25 bis, con il quale è stata estesa ai prodotti finanziari emessi dalle imprese di assicurazione l’applicazione delle norme previste per l’emissione di prodotti finanziari.
L’art. 25 ter del T.u.f., introdotto dal D.lgs. del 3 agosto 2017, n. 129, ha confermato la soluzione adottata dal legislatore riproducendo essenzialmente il contenuto dell’art 25 bis.
Si segnala che, con l’introduzione della categoria dei “prodotti di investimento assicurativi”, in attuazione della direttiva c.d. IDD sulla distribuzione assicurativa, è stato modificato l’art. 23 ter T.u.f., il quale specifica che la distribuzione dei prodotti di investimento assicurativi è disciplinata dal CAP (Codice delle Assicurazioni private) e dalla normativa europea direttamente applicabile.
Per un più approfondita analisi dell’iter normativo in materia A.M. Pancallo, Le polizze linked e le esigenze di tutela degli investitori, Quale futuro per le polizze linked? Una riflessione alla luce della sentenza n. 6319/2019 della Corte di Cassazione, Riv. Trim. Dir. Econ., 2019.
[12] I rami assicurativi sono un raggruppamento di rischi similari in una unica categoria da cui discendono diverse modalità di gestione. La legge del 22 ottobre 1986 n. 742, attuativa della c.d. prima direttiva vita, distingue all’interno dell’assicurazione sulla vita le seguenti tipologie contrattuali:
- Ramo I – le assicurazioni sulla durata della vita umana;
- Ramo II – le assicurazioni di nuzialità e di natalità;
- Ramo III – le assicurazioni ramo I e II connesse con fondi di investimento;
- Ramo IV – assicurazioni sulla malattia;
- Ramo V – operazioni di capitalizzazione;
- Ramo VI – operazioni di gestione di fondi collettivi costituiti per l’erogazione di prestazioni in caso di morte, di vita o in caso di cessazione o riduzione dell’attività lavorativa.
[13] La distinzione tra polizze unit linked e index linked risulta dall’art. 41 del Codice delle assicurazioni private. L’art 41, comma 1, disciplina il caso in cui le prestazioni previste in un contratto siano collegate al valore di un OICR (organismo di investimento collettivo del risparmio) oppure al valore di attivi contenuti in un fondo interno detenuto dall’impresa di assicurazione. In questo caso le riserve tecniche sono rappresentate dalle quote dell’OICR o da quelle del fondo interno ovvero dagli attivi contenuti nel fondo.
Con riferimento alle polizze index l’art 41, comma 2, dispone che «le riserve tecniche relative a tali contratti sono rappresentate con la massima approssimazione possibile dalle quote rappresentanti il valore di riferimento oppure, qualora le quote non siano definite, da attivi di adeguata sicurezza e negoziabilità che corrispondano il più possibile a quelli su cui si basa il valore di riferimento particolare».
[14] È stato osservato come il rapporto che sorge tra contraente e impresa assicurativa si atteggia «non tanto e non solo in termini restitutori, ma piuttosto in termini gestori» ed, in tali casi, l’obbligazione dell’impresa assicurativa «di restituire un importo pari o parametrato a quello ricevuto sostanzialmente scompare, divenendo accessoria e in concreto solo eventuale, in quanto sostituita dalla diversa obbligazione si eseguire un mandato (più o meno generico) di gestione del danaro investito», così M. Stella Richter Jr., Obbligo di restituire e obbligo di gestire nell’attività finanziaria: alla ricerca di una disciplina degli “ibridi” bancari e assicurativi, Banca, impresa, soc., 2002, III, 500.
[15] G. Alpa, I prodotti assicurativi finanziari, in Amorosino e Desiderio (a cura di), Il nuovo codice delle assicurazioni, 2006, 77 ss.
[16] Senza alcuna pretesa di esaustività, v. ex multis; M. Rossetti, Polizze “linked” e tutela dell’assicurato, 223 ss.; P. CORRIAS, La natura delle polizze linked tra previdenza, risparmio ed investimento nei contratti di assicurazione sulla vita, Ass., 2016, II, 225 ss;
- Pirilli, Le polizze unit linked (ancora) al vaglio della giurisprudenza, in Resp. civ prev 2017, 577 ss.
Si segnala nella giurisprudenza di legittimità Cass., 30 aprile 2018, n. 10333 annotata da G. Berti de Marinis, La natura delle polizze assicurative a carattere finanziario e la tutela dell’assicurato- investitore, in resp. civ. prev., 2018, V;
da F. La Fata, La qualificazione giuridica delle polizze c.d. “linked” “pure” alla luce della funzione previdenziale dei contratti di assicurazione sulla vita, Dir. Merc. Ass. fin., 2018, I.
In senso critico sulla necessarietà del presupposto della restituzione del capitale, ai fini della qualificazione delle polizze linked in termini di contratto assicurativo, A. Candian, La Corte di legittimità e la qualificazione delle polizze vita, Danno e resp., 2018, VI: «è da osservare che l’Ordinanza suddetta merita anzitutto di essere considerata come un precedente giurisprudenziale ed in tale più preciso contesto si evidenzia che la cassazione ha unicamente stabilito, in conformità con la precedente decisione 6061/2012, che è possibile per il giudice di merito qualificare come operazione di investimento finanziario e di conseguenza sottoporre alla disciplina relativa alla formazione del contratto, un contratto formalmente confezionato come polizza assicurativa vita di ramo III, mentre nulla ha statuito circa i presupposti necessari per pervenire a tale risultato».
- Capriglione, Le polizze “Unit Linked”: prodotti assicurativi con finalità di investimento, in Nuova Giur. Civ. comm., 2004, 428 ss.
[17] P. Corrias, ult. op. cit., 230. L’inversione del rischio non solo rende improbabile il soddisfacimento del bisogno dell’assicurato ma fa sì che tale soddisfacimento, semmai, non avvenga a costo parziale ma a costo pieno.
[18] Secondo P. Corrias, Contratto di capitalizzazione e attività assicurativa, Milano, 2011, la polizza ha natura assicurativa anche quando la prestazione dell’impresa assicurativa sia maggiore del capitale versato.
[19] Sul punto G. Volpe Putzolu, Le polizze Unit Linked ed Index Linked (ai confini dell’assicurazione sulla vita), Ass., 2000, I, 236 ss. ove si afferma che la disciplina del margine di solvibilità contempla sia l’ipotesi in cui l’impresa assicurativa offra una garanzia di capitale, sia quella in cui tale garanzia non venga offerta, individuando per i due casi due differenti parametri di calcolo. Anche nelle norme in tema di costruzione delle riserve matematiche il legislatore fa espresso riferimento alle ipotesi di rischio di investimento sopportato dagli assicuratori.
[20] G. Volpe Putzolu, Le polizze linked tra norme comunitarie, Tuf e codice civile, Ass., 2012, III, 413.
[21] Così G. Volpe Putzolu, Le polizze linked tra norme comunitarie, Tuf e codice civile, Ass., 2012, III, 407: «la nozione del codice civile è neutra per quanto riguarda la finalità del contraente»;
Sotto questo profilo anche la disposizione dell’art. 1923 c.c. risulterebbe neutra. Come rileva A. Candian, ult. op. cit., «anche se l’origine del disposto dell’art. 1923 è tradizionale, si tratta di una scelta di policy posta in essere dal legislatore che dà luogo alla produzione di una regola positivamente valida sino a quando non viene revocata o modificata dalla medesima fonte».
[22] La qualificazione di suddetti contratti ha un impatto non di poco conto in punto di disciplina applicabile. La questione maggiormente dibattuta in giurisprudenza ha riguardato il perimetro applicativo dell’art. 1923 c.c. in tema di impignorabilità. La disciplina incide altresì sul regime tributario applicabile, infatti i redditi inclusi nelle polizze sono tassabili esclusivamente in caso di riscatto/rimborso.
Con riferimento alle polizze linked stipulate prima dell’entrata in vigore delle riforme del biennio 2005- 2006, l’inquadramento delle suddette polizze nella categoria contratti di investimento comporta l’applicazione ratione temporis della normativa prevista per gli strumenti finanziari e in particolare degli artt. 21 e 23 TUF.
[23] Cass., 5 marzo 2019, n. 6319, annota da E. Lucchini Guastalla, La polizza unit linked tra causa finanziaria e causa assicurativa, La nuova giur. civ. comm., 2019, V; S. Landini, Sulla validità/invalidità delle polizze linked, Giur. it., 2019, V.
[24] A. C. Nazzaro, La causa delle polizze unit e index linked, in Diritto del mercato assicurativo e finanziario, 2016, I.
[25] Secondo la ricostruzione maggioritaria sulla causa del contratto di assicurazione, la specificità dell’assicurazione sulla vita, rispetto a quella danni, è il perseguimento di una funzione previdenziale. Il referente normativo è individuato nel disposto dell’art. 1923 c.c. L’impignorabilità e l’insequestrabilità delle somme dovute all’assicuratore sono considerate norme di favore e si giustificherebbero proprio alla luce della causa previdenziale perseguita dal contratto di assicurazione sulla vita. La quale causa trova protezione anche a livello costituzionale. L’art. 38 Cost. tutela, accanto al sistema pensionistico pubblico, la previdenza privata di cui è espressione l’assicurazione sulla vita.
Sulla funzione del contratto di assicurazione sulla vita L. Buttaro, voce Assicurazione, in Enc. dir., Milano, 1958, III. T. Ascarelli, Sul concetto unitario del contratto di assicurazione, in Studi in tema di contratti, Milano 1954. G. Volpe Putzolu e A. Donati, Manuale di diritto delle assicurazioni, Milano, 2019, 98 ss.
L’impostazione tradizionale fa discendere dall’unitarietà della definizione di cui all’art 1882 c.c., l’unitarietà della funzione. I sostenitori della c.d. teoria indennitaria individuano il minimo comune denominatore di ogni contratto assicurativo nell’interesse al risarcimento del danno. L’elemento indennitario è unificante e mette in evidenza il fine per cui l’assicurazione è sorta: tutelare l’assicurato dai danni subiti al verificarsi di un evento sfavorevole. Per un’analisi delle diverse posizioni L. Lepiane, La natura controversa del contratto di assicurazione, in V. Ferrari, Nuovi profili di diritto delle assicurazioni, Milano, 2003.
[26] G. Alpa, Introduzione, in Alpa (a cura di), Le Assicurazioni private, Torino, 2006.
[27] E. Lucchini Guastalla, ult. op. cit., 586, ove rileva che «resta ferma, in ogni caso, quella sorta di minimo comune denominatore dei prodotti assicurativi (indipendentemente dalla complessità degli stessi in termini finanziari e della concreta entità della prestazione erogata dall’assicuratore) costituito dal riferimento al rischio demografico e dal collegamento economico tra le prestazioni delle parti».
[28] Sul punto G. Marino, Il contratto di investimento assicurativo all’intersezione tra ordinamento assicurativo e finanziario, Juscivile, 2020, VI, 1618 ss. Secondo l’autore «lo scioglimento di alcuni nodi problematici posti dalle polizze linked trova, per certi versi, un nuovo e più rassicurante approdo nella raffigurata regolamentazione dei prodotti di investimento assicurativo. Invero, nell’intervento del legislatore europeo e interno si può scorgere un’opera – seppure incompleta – di tipizzazione del contratto di investimento assicurativo»: in tali termini si assiste all’enucleazione di un tipo legale nuovo. Tuttavia, preso atto della incompletezza del dato normativo «non perde di senso, sia speculativo sia pragmatico, l’operazione ermeneutica di accostamento del contratto di investimento assicurativo a tipi contrattuali finitimi che gli si avvicinano per struttura e funzione».
[29] G. Volpe Putzolu, Le assicurazioni. Produzione e distribuzione, Bologna, 1992, 170 ss.
[30] Cfr. A. Gambino, L’assicurazione nella teoria dei contratti aleatori, Milano, 1964,47.
[31] A.C. Nazzaro, Rapporto tra rischio demografico e funzione speculativa nelle polizze linked, in Diritto del mercato assicurativo e finanziario, 2023, I.
[32] Il regolamento ISVAP, 16.3.2009, recante istruzioni applicative sulla classificazione dei rischi nei singoli rami, specifica all’art. 6 che i contratti nel ramo III «sono caratterizzati dalla presenza di un effettivo impegno da parte dell’impresa a liquidare, per il caso di sopravvivenza, per il caso di morte o per entrambi, prestazioni assicurate il cui valore, o quello dei corrispondenti premi, sia dipendente dalla valutazione del rischio demografico».
[33] Il regolamento ISVAP, 11.06.2009, riferito alle polizze unit, all’art. 9, comma 2, specifica che «le imprese nella determinazione delle coperture assicurative in caso di decesso tengono conto, ai fini del rispetto del principio di cui al comma 1, dell’ammontare del premio versato dal contraente».
[34] I sostenitori dell’opinione interpretativa secondo cui le polizze linked hanno sempre causa assicurativa per il sol fatto di essere emesse e gestite da una impresa assicurativa, questi regolamenti non si pongono in contrasto con la disciplina comunitaria e «la connotazione demografica caratterizza, dunque, le polizze di ramo III nel senso che quantomeno l’obbligo di restituzione deve essere collegato ad un evento attinente alla vita umana».
Cfr. A. Vicari, Dalle gestioni separate al private insurance: alcune riflessioni sulla causa dei prodotti di investimento assicurativo, Giur. comm., 2020, III, 510.
[35] L’Istituto per la Vigilanza sulle assicurazioni.
[36] Tra gli interventi succedutosi nel tempo può annoverarsi la Direttiva Solvency II, la Direttiva UCITS (Direttiva 2009/65/CE in materia di OICVM trasposta dal D.lgs. 47/2012), la Direttiva sulla distribuzione assicurativa (IDD) e i Regolamenti delegati 2017 n 2358 e n 2359, il Regolamento c.d. Priips.
[37] La Circolare ISVAP n. 474 del 21 febbraio 2002 è stata aggiornata con la Circolare ISVAP n. 551/D dell’1 marzo 2005 recante Disposizioni in materia di trasparenza dei contratti di assicurazione sulla vita.
[38] Il documento di consultazione n. 3/2022 prevede che le imprese si dotino di un processo «interno sufficientemente strutturato e adeguato, cui sono chiamate a contribuire le funzioni fondamentali secondo le rispettive competenze, ai fini della valutazione e determinazione del rischio demografico. In coerenza con le disposizioni primarie e secondarie in tema di Product Oversight and Governance».
[39] Annotata da E. Piras, Le polizze unit linked al vaglio della Corte di Giustizia UE, Resp. civ. prev., 2012, VI.
[40] Annotata da M. Frigessi Di Rattalma, La qualificazione delle polizze linked nel diritto dell’Unione Europea, Ass., 2013, I.
[41] Trib. Roma, 28 maggio 2021, n. 9836 e n. 9838. Le c.d. “sentenze gemelle” richiamano la giurisprudenza comunitaria e la sent. n. 2426/2019 del Trib. di Bergamo, specificando come il Tribunale di Roma «già ha affermato di condividere in occasione di numerose analoghe controversie che le polizze del tipo index linked rientrano nelle tipologie di prodotti non finanziari bensì assicurativi»; Comm. Trib. reg. Lombardia. n. 1864/2021; Trib. Bergamo, 6 dicembre 2021, n. 2271, con commento di S. Landini, Regole di condotta nella distribuzione delle polizze linked tra forma e sostanza, Pactum, 2022, III.
[42] Cfr. I. Riva, La natura delle polizze vita c.d. linked, tra diritto interno e diritto sovranazionale, Ass., 2020, 194, I.
[43] Sul punto, E. Guffanti, Le polizze unit linked: un contratto a causa mista, Le società, 2019, 1402 ss., «in ambito comunitario, dunque, la presenza della componente finanziaria (ed il connesso rischio in capo al beneficiario) non vale a fare uscire le unit linked dall’insieme dei “prodotti assicurativi”, ma giustifica l’applicazione di specifiche regole distributive (previste nella Direttiva IDD) e informative (previste nel Regolamento UE n. 1286/2014) utili a tutelare contraente».
[44] Si distingue il piano dell’applicazione della disciplina civilistica da quello della distribuzione «individuato dalla normativa di settore secondo una classificazione di derivazione europea che guarda alla complessità del contenuto e della funzione e della necessità di tutela del cliente da un punto di vista principalmente di asimmetria informativa e di difficoltà nella comprensione del contenuto contrattuale». Cfr. S. Landini, ult. op. cit., 425 ss.
[45] Cfr. G. Marino, Il contratto di investimento assicurativo all’intersezione tra ordinamento assicurativo e finanziario, Jus civile, 2020, VI,1618.
[46] La distribuzione di prodotti che presentino tali caratteristiche è disciplinata dal Codice delle Assicurazioni, dal Regolamento IVASS n. 41 del 2018 e dal Regolamento n. 45 del 2020 (Regolamento recante disposizioni in materia di requisiti di governo e controllo (POG) dei prodotti di investimento assicurativi).
[47] Sul rapporto tra mercato e contratti regolati G. Berti de Marinis, Contratti dei mercati regolamentati: norme imperative e conformazione, Napoli, 2019.
[48] Cfr. G. Marino, ult. op. cit, 1608.
[49] Sulle possibili interferenze fra inadeguatezza del prodotto e sindacato di meritevolezza A. Tucci, Il contratto inadeguato e il contratto immeritevole, in Contr. Impr., 2017.