In materia di sanzioni amministrative a carico dei sindaci delle banche, l’errore sulla liceità della condotta assume rilievo, come causa di esclusione della responsabilità, solo quando esso risulti inevitabile – e a tal fine occorre un elemento positivo, estraneo all’autore dell’infrazione, idoneo ad ingenerare in lui la convinzione della predetta liceità, senza che possa ravvisarsi alcuna negligenza o imprudenza del medesimo autore –, ovvero alla condizione che quest’ultimo abbia fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso, così che l’errore sia stato incolpevole.
Esclusa la sussistenza dell’esimente della buona fede, devono trovare applicazione i principi operanti in tema di ripartizione dell’onere della prova nell’illecito amministrativo. E, quindi, pur non potendosi prescindere dalla presenza dell’elemento soggettivo quanto meno della colpa a carico dell’autore dell’illecito amministrativo, per ritenere dimostrata la sua sussistenza è sufficiente la prova della condotta (anche omissiva) in violazione di norme specifiche di legge o di precetti generali di comune prudenza, mentre incombe sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 l. n. 689 del 1981, la prova (nel caso di illecito omissivo) di aver tenuto la condotta attiva richiesta, ovvero della sussistenza di elementi tali da renderla inesigibile.
In tal senso rileva il ruolo specifico attributo nelle banche al collegio sindacale, così come declinato tanto dalle disposizioni civiliste quanto dalla normativa primaria e secondaria di settore, e ampiamente e specificatamente descritto dalla sentenza in oggetto, nei termini che, per chiarezza espositiva, pare opportuno riprendere di seguito per esteso.
Nelle banche il ruolo del collegio sindacale, per far parte del quale sono richiesti particolari requisiti di professionalità funzionali al contenuto del dovere di vigilanza che ad esso compete, svolto nell’interesse sia degli azionisti che degli investitori – impone anche e principalmente un controllo sulle procedure adottate dall’istituto di credito nella prestazione dei servizi. Il che è tanto più giustificato alla luce dei criteri della “sana e prudente gestione” (alla cui vigilanza è preposta la Banca d’Italia) e della “trasparenza e correttezza dei comportamenti” (la cui vigilanza è rimessa alla Consob) indicati dall’art. 5 t.u.f. e ai correlati obblighi di informativa alle autorità di vigilanza di atti o fatti di cui l’organo sindacale venga a conoscenza nell’esercizio dei propri compiti, e che possano costituire un’irregolarità nella gestione, ovvero una violazione delle norme che disciplinano l’attività di prestazione dei servizi e di investimento (obblighi di informativa stabiliti in capo al ridetto organo dall’art. 8 del t.u.f., commi 3 e 6, al fine di rafforzare il sistema di controllo degli enti creditizi).
Proprio al fine di conseguire una miglior conoscenza della gestione operativa dell’ente, il collegio sindacale si avvale, nello svolgimento delle proprie funzioni, di tutte le unità organizzative deputate all’attività di controllo interno, fra le quali l’Internal Audit e la Compliance, in una prospettiva di costante collaborazione tra l’organo sindacale e dette strutture, sì da consentire al primo di agire in modo puntuale in un contesto operativo in cui vengono perseguiti anche interessi generali, e per questo soggetto a un sistema di vigilanza pubblica.
Lungi dal comportare una supina presa d’atto dell’attività e delle informative provenienti dagli organi di controllo aziendale, ciò impone, al contrario, una sorveglianza di tipo sostanziale sugli atti di gestione, sui processi e sulle procedure, che passa anche attraverso la valutazione dell’efficienza e dell’idoneità del sistema dei controlli interni a identificare e monitorare eventuali disfunzioni, anomalie, o carenze nell’operatività della banca.
Difatti, al collegio sindacale è demandato non solo un controllo successivo che si esplica nel potere di impugnare le delibere consiliari e assembleari invalide, di agire in giudizio per far valere la responsabilità del management, nonché di ricorrere all’autorità giudiziaria ex art. 2409 c.c., ma sono attribuiti – in virtù di quanto dispone l’art. 2403 bis c.c. – poteri ispettivi e informativi, stante la facoltà dei sindaci di chiedere agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari. I sindaci sono altresì tenuti a partecipare alle riunioni del CdA, ex art. 2405 c.c., così da favorire il confronto con gli amministratori e consentire all’organo di vigilanza di percepire eventuali anomalie gestionali sin dal momento dell’assunzione delle relative decisioni, per prevenirle attraverso la manifestazione del dissenso.
L’Internal Audit, come pure la Compliance, forniscono, dunque, al collegio sindacale il supporto tecnico, ma rispetto alla prima l’organo sindacale ha una posizione sovraordinata. In altre parole, la Funzione di controllo interno rappresenta solo un ausilio del quale i sindaci possono avvalersi per l’adempimento dei doveri che loro competono, ma non esonera questi ultimi né dall’obbligo di controllare autonomamente l’attendibilità e la rispondenza dei dati provenienti dai flussi informativi, senza la necessità di una preventiva segnalazione da parte di detta Funzione di controllo interno, né dall’obbligo di vagliare la veridicità stessa e la completezza dei dati.