1. Il regime del patent box potrebbe avere, quale effetto collaterale, la riduzione del credito per le imposte assolte all’estero nelle ipotesi di concessione in licenza dei beni immateriali agevolabili a soggetti non residenti, con applicazione di ritenute alla fonte sulle relative royalties.
La norma di riferimento è rappresentata dall’art. 165, comma 10, del T.U.I.R., ai sensi del quale è previsto che “Nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente”.
La citata disposizione si applica, tipicamente, ai dividendi di fonte estera percepiti da società o enti commerciali, per i quali l’art. 89 del T.U.I.R. prevede espressamente che “non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito della società o dell’ente ricevente per il 95 per cento del loro ammontare”. In questo caso, le imposte pagate all’estero in via definitiva sui dividendi devono essere assunte, ai fini del calcolo del credito per le imposte estere, in misura pari al 5% del loro ammontare, ossia nella stessa percentuale con la quale i dividendi concorrono alla formazione del reddito imponibile.
Nel caso del reddito agevolabile da patent box, la formulazione letterale della norma contenuta nella Legge n. 190 del 23 dicembre 2014 è, in effetti, la medesima di quella prevista per i dividendi nell’art. 89 del T.U.I.R.. L’art. 1, comma 39, della citata legge stabilisce, infatti, che “I redditi dei soggetti indicati al comma 37 (che hanno esercitato l’opzione per il patent box, n.d.r.) derivanti dall’utilizzo di software protetto da copyright, da brevetti industriali, da disegni e modelli, nonché da processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili, non concorrono a formare il reddito complessivo in quanto esclusi per il 50 per cento del relativo ammontare”.
Sulla base di un’interpretazione letterale delle sopra richiamate disposizioni, sembrerebbe, quindi, che la riduzione del credito d’imposta estero prevista dal citato comma 10 dell’art. 165 del T.U.I.R. possa trovare applicazione anche per i redditi di fonte estera derivanti dall’utilizzo “indiretto” (i.e. concessione in uso) di un intangible agevolabile ai fini del patent box.
2. Una simile interpretazione penalizzerebbe, tuttavia, le imprese che licenziano intangible a soggetti esteri rispetto a quelle che operano con soggetti residenti, ponendosi in contrasto con la ratio sottesa al patent box, che – come evidenziato dalla Relazione illustrativa alla Legge n. 190/2014 – è quella di rendere “il mercato italiano maggiormente attrattivo per gli investimenti nazionali ed esteri di lungo termine” e “premiare le imprese che svolgono attività idonee ad accrescere il valore di un bene immateriale nel nostro paese (sostenendo i relativi costi)”. Più precisamente, la stessa Relazione illustrativa chiarisce che l’introduzione di un regime di tassazione agevolata dei redditi derivanti dall’utilizzazione dei beni immateriali consegue un “triplice obiettivo: (1) incentivare la collocazione in Italia dei beni immateriali attualmente detenuti all’estero da imprese italiane o estere; (2) incentivare il mantenimento dei beni immateriali in Italia (o meglio, evitarne la ricollocazione all’estero); (3) favorire l’investimento in attività di ricerca e sviluppo”.
La penalizzazione che subirebbero le imprese che licenziano gli intangible all’estero rischierebbe, quindi, di frustrare gli obiettivi perseguiti dal legislatore proprio con riferimento a quegli asset immateriali che godono di uno sfruttamento internazionale, per i quali il regime di patent box intende favorire la collocazione e il mantenimento in Italia[1].
3. La suddetta impostazione aprirebbe, inoltre, una serie di dubbi sulla “misura” della riduzione del credito d’imposta estero.
Un primo dubbio nasce dal fatto che, mentre nel caso dei dividendi di fonte estera l’importo corrisposto dal soggetto non residente coincide con quello sul quale si applica la percentuale di esclusione da tassazione ex art. 89 del T.U.I.R. (“95 per cento del loro ammontare”), nel caso del patent box il reddito agevolabile (che viene parzialmente escluso da tassazione) non coincide con l’ammontare delle royalties corrisposte dai licenziatari esteri, dovendo essere prima decurtato di tutti i costi diretti e indiretti afferenti l’intangible[2].
Ci si chiede, pertanto, se la riduzione del credito d’imposta estero debba essere parametrata alla percentuale “nominale” di esclusione da tassazione del reddito agevolabile ai fini del patent box (ossia 30% per il 2015, 40% per il 2016 e 50% per i periodi d’imposta successivi), oppure se tale riduzione debba essere calcolata tenendo in considerazione anche i costi relativi all’intangible che, come detto, riducono l’importo del reddito agevolabile (diminuendo, in questo modo, la percentuale “effettiva” di esclusione delle royalties estere dal reddito imponibile).
In questa seconda ipotesi, si porrebbe l’ulteriore tema di come correlare i costi afferenti l’intangible alle royalties di fonte estera. Si pensi, ad esempio, al caso in cui il bene immateriale venga concesso in licenza ad un soggetto residente e ad un soggetto non residente. In tal caso, si tratterebbe di definire un criterio che permetta di attribuire i costi afferenti l’intangible alle royalties corrisposte, rispettivamente, dal licenziatario italiano e da quello estero. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di ripartire tali costi in proporzione al “peso” che le royalties, italiane o estere, hanno sul totale dei ricavi derivanti dall’utilizzo indiretto dell’intangible.
Va poi ulteriormente osservato che in taluni casi il reddito agevolabile ai fini del patent box può subire un’ulteriore riduzione per effetto del meccanismo del nexus ratio (ad esempio, quando la società licenziante acquista o prende in licenza l’intangible da altri soggetti)[3]. In tali circostanze, non è l’intero importo del reddito derivante dallo sfruttamento dell’intangible ad essere parzialmente escluso da tassazione (in misura pari – lo si ribadisce – al 30% per il 2015, al 40% per il 2016 e al 50% per i periodi d’imposta successivi), ma solo una quota dello stesso.
Non solo il sostenimento di costi relativi all’intangible, ma anche il meccanismo del nexus ratio può dunque contribuire a ridurre l’entità del reddito agevolabile ai fini del patent box, in questo modo diminuendo ulteriormente la percentuale “effettiva” di esclusione delle royalties estere dal reddito imponibile.
4. In conclusione, per non frustrare la ratio dell’introduzione del patent box, si dovrebbe ritenere non operante la disposizione di cui all’art. 165, comma 10, del T.U.I.R. sulle royalties di fonte estera che concorrono alla formazione del reddito agevolabile ai fini del patent box, in questo modo evitando di penalizzare le imprese che concedono in licenza gli intangible a soggetti esteri.
Qualora dovesse invece prevalere l’orientamento opposto – secondo cui l’applicazione del patent box determini una riduzione del credito d’imposta estero – detta riduzione non dovrebbe essere parametrata alla percentuale “nominale” di esclusione del reddito agevolabile, bensì alla percentuale “effettiva” di esclusione delle royalties estere da tassazione, in considerazione del fatto che il reddito agevolabile ai fini del patent box: (i) non coincide con l’entità delle royalties corrisposte dai licenziatari esteri, dovendo essere prima decurtato di tutti i costi afferenti l’intangible; e (ii) potrebbe subire un’ulteriore riduzione per effetto del meccanismo del nexus ratio.
[1] Nello stesso senso, cfr. G.M. Committeri, M. Sebastianelli, “Patent box: la riduzione del foreign tax credit può far perdere appeal all’incentivo”, in Corriere Tributario n. 20/2017, p. 1571 ss..
[2] Cfr. art. 7, comma 2, del D.M. del 28 novembre 2017.
[3] Cfr. art. 1, comma 42, della Legge n. 190/2014 e art. 9 del D.M. del 28 novembre 2017.