Il Tribunale UE, con la sentenza del 13 settembre 2013, nella causa T‑525/08, ha annullato la decisione 2009/178/CE della Commissione relativa all’ “aiuto di Stato cui l’Italia ha dato esecuzione per remunerare i conti correnti di Poste Italiane presso la Tesoreria dello Stato [C 42/06 (ex NN52/06)]1 (G.U. 2009, L64, p.4).
Come è noto, Poste Italiane S.p.a., impresa controllata dallo Stato italiano, fornisce il servizio di postale universale di interesse economico generale (SIEG). Non solo. Attraverso BancoPosta, che è una divisione completamente integrata dell’impresa, esercita anche attività bancarie sul territorio nazionale legate, in particolare, all’offerta di un servizio di conto corrente postale, con caratteristiche non dissimili rispetto ad un conto corrente bancario.
Così, la principale attività della SIEG, in ragione della natura del servizio reso e della missione esplicita che riveste, non è, evidentemente, soggetta ad alcun controllo relativo agli aiuti di stato. Per converso, l’accessoria attività di BancoPosta non è esente da controlli antitrust, in quanto Poste Italiane è impresa non solo partecipata, ma addirittura controllata dallo Stato Italiano e dal momento che la gestione del servizio di conto corrente è regolata ai sensi di disposizioni di natura legislativa o regolamentare.
Si rende necessaria qualche nota introduttiva, prima di passare al merito della sentenza. La disciplina che regola l’istituto2 (artt. da 107 a 109 TFUE) è del tutto peculiare nell’ambito del panorama del diritto della concorrenza e costituisce uno dei pilastri del funzionamento del mercato interno, contribuendo ad una allocazione più efficiente delle risorse statali e garantendo una parità di trattamento delle imprese pubbliche, partecipate o controllate, rispetto alle imprese private (cd. level playing field). D’altro canto, la regolamentazione degli aiuti è strumentale all’apertura – progressiva e non troppo brusca – di determinati settori e mercati nazionali al regime concorrenziale, ad esempio, per compensare le esternalità negative connesse alla natura del servizio reso. Per tale ragione, a livello comunitario, si è adottato un modello che impone una stretta sorveglianza su tutti gli aiuti, statuendo un divieto generale e corredandolo con ampie deroghe. La Commissione è la principale titolare dei poteri di sorveglianza sulla concessione di sostegni finanziari pubblici conferiti sotto qualsiasi forma, attività che esercita con penetranti poteri istruttori.
La nozione di aiuti di Stato, all’esito dell’elaborazione giurisprudenziale dei principi del Trattato, consta di quattro requisiti: “in primo luogo, deve trattarsi di un intervento dello Stato ovvero effettuato mediante risorse statali, in secondo luogo, detto intervento deve essere tale da incidere sugli scambi tra gli Stati membri, in terzo luogo, deve concedere un vantaggio al suo beneficiario3 e, in quarto luogo, deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza”4.
Veniamo al merito della vicenda. Il servizio di conti correnti postali in Italia era essenzialmente disciplinato dalla una normativa risalente (legge 219/1917, modificata da decreto luogotenenziale 822/1945), ai sensi della quale l’impresa era tenuta al versamento delle liquidità raccolte tramite i conti correnti postali su un conto corrente fruttifero (cd. vincolo d’impiego) presso la Cassa depositi e prestiti e, dalla legge finanziaria 20065, presso la Tesoreria dello Stato. La legge finanziaria 2006, dotata di effetto retroattivo al 1°gennaio 2005, prevedeva altresì la ridefinizione dei parametri di mercato e le modalità dei tassi di remunerazione attraverso una Convenzione tra il Ministero e Poste italiane S.p.a, siglata il 23.2.066. Successivamente, è intervenuta la legge 296/20067, che ha mantenuto il vincolo d’impiego esclusivamente per i conti correnti postali appartenenti all’amministrazione (pari al 25-30% del totale), destinando la liquidità proveniente dalla raccolta presso la clientela privata all’investimento in titoli di Stato dell’area Euro. Tali disposizioni hanno privato l’impresa beneficiaria della discrezionalità di impiego della liquidità proveniente dai conti correnti postali a fronte di una remunerazione normativamente stabilita.
In data 30.12.2005, l’ABI, ravvisando come aiuto di Stato il differenziale positivo tra il tasso d’interesse passivo (vale a dire il tasso di interesse dell’1% con il quale BancoPosta remunerava i conti correnti) ed il tasso di interesse attivo (la Tesoreria di Stato remunerava i depositi con un tasso di interesse del 4%), ha presentato denuncia alla Commissione.
La Commissione ha comunicato, dunque, alla Repubblica italiana l’avvio del procedimento all’art. 88 TCE (ora 108 TFUE), par.2, conclusosi con la decisione 2009/178/CE del 16.7.2008, che ha accertato l’incompatibilità con il mercato comune dell’aiuto di Stato C42/2006 (ex NN 52/2006) concesso, ai sensi della legge 266/2005 e della Convenzione tra l’azienda e il Ministero dell’Economia e Finanze del 2006, dalle autorità italiane a favore di Poste Italiane-BancoPosta in violazione dell’art. 88 TCE (ora 108 TFUE), par. 38, ordinandone la soppressione ed il recupero (per l’ammontare di 484 milioni di euro9). Per converso, la Commissione ha concluso che la legge finanziaria 2007, che sancisce il reinvestimento in titoli di Stato dell’area Euro in luogo del vincolo di impiego, non comporta aiuti di Stato10.
L’esistenza di un vantaggio ex art. 87 TCE (ora 107 TFUE), par.1, è stata acclarata dalla Commissione essenzialmente sulla base del confronto tra il tasso della Convenzione (versato dal Ministero a favore di Poste Italiane) ed il tasso che un “mutuatario diligente in un’economia di mercato, in condizioni comparabili” avrebbe corrisposto. Quest’ultimo tasso è stato elaborato sulla base di 4 parametri: la massa delle somme depositate, la loro stabilità, la durata del deposito ed i rischi finanziari connessi. La Commissione ha concluso: “poiché i benchmark impiegati nella Convenzione [avevano] durate più lunghe rispetto ai benchmark “di mercato”, e quindi rendimenti superiori nel periodo interessato, e la suddivisione del rischio [era] a favore [della ricorrente] più di quanto [sarebbe accaduto] se [si fosse assunto] il rischio sulle liquidità depositate, il tasso [della Convenzione] confer[iva] un vantaggio [alla ricorrente]”11.
L’indagine della Commissione non si è arrestata a questo punto: “per motivi di completezza e da un punto di vista teleologico” ha sottoposto al vaglio gli argomenti dedotti dalle autorità italiane nell’ambito del processo amministrativo, volti a dimostrare che “in assenza di un vincolo di impiego, gli investimenti alternativi che la ricorrente avrebbe potuto effettuare avrebbero offerto un rendimento simile, o anche superiore, al tasso della Convenzione”12: in primis, la ricorrente avrebbe potuto investire le somme derivanti dalla liquidità nei servizi assicurativi gestiti dalla controllata Poste Vita (Postapiù), aventi una remunerazione simile al tasso della Convenzione, come dimostrato dalle lettere degli intermediari finanziari, che sono state prodotte. In secundis, Poste Italiane avrebbe potutodiversificare il portafoglio d’investimento sulla base del rischio di credito, optando, a titolo esemplificativo, per titoli aventi un rating elevato. In tertiis, la ricorrente avrebbe potuto adottare unamodalità di gestione attiva dei propri fondi,recante una remunerazione più vantaggiosa rispetto al tasso della Convenzione, come si evincedallo “studio sulla gestione alternativa” prodotto.In ultimo, la ricorrente ha dimostrato che il differenziale positivo tra il tasso di interesse passivo ed il tasso di interesse attivo sarebbe inferiore a quello riscontrato nell’ambito di talune banche private, le quali (in particolare quelle che impieghino i loro fondi nel settore pubblico) si troverebbero in condizioni del tutto equiparabili a Poste Italiane a seguito del confronto della trasformazione delle scadenze.
La Commissione ha negato la significatività e la rilevanza13 delle suddette argomentazioni14, concludendo che “le possibilità di investimento alternative in assenza di vincolo di impiego [prospettate dalle autorità italiane] non avrebbero permesso [alla ricorrente] di conseguire, nel periodo di riferimento, rendimenti simili o superiori a quelli della Convenzione, in una prospettiva rischio/rendimento” (punto 36), escludendo la rilevanza del confronto tra il tasso della Convenzione ed il costo del debito a medio e lungo termine.
Ricorreva, dunque, la Repubblica italiana dinnanzi al Tribunale UE impugnando la decisione in forza dell’errore manifesto in cui sarebbe incorsa la Commissione acclarando l’esistenza del vantaggio concorrenziale15. Circa l’ampiezza del sindacato devoluto al Tribunale sulle decisioni della Commissione, si consideri che il Giudice dell’Unione ètitolare di un cd. “controllo ristretto”, in ragione del quale si limita a verificare l’osservanza delle regole procedurali e di motivazione, l’esattezza materiale dei fatti,l’attendibilità e la coerenza degli elementi di prova addotti, nonché l’assenza di errori manifesti che potrebbero inficiare lo svolgimento del controllo completo ex art. 87 CE (oggi 107 TFUE), par.1, anche basato su valutazioni di ordine economico, appannaggio della Commissione.
Nel caso di specie, Poste italiane lamenta l’errore manifesto di valutazione del calcolo del tasso del mutuatario privato, che è il principale parametro di riferimento per il tasso della convenzione16.
Inoltre, Poste italiane con la sua seconda censura lamenta che l’omissione della valutazione dell’incidenza del vincolo d’impiego non consenta di escludere la possibilità di ottenere un rendimento superiore al tasso della Convenzione. La replica della Commissione a tale censura si basa sull’averlo preso in considerazione nel calcolo del tasso del mutuatario privato giacché, in difetto di tale vincolo, “un mutuatario razionale avrebbe remunerato tale deposito come una qualsiasi banca remunera un deposito a vista”17, in applicazione del criterio dell’operatore privato diligente.
Nella valutazione degli effetti della remunerazione dei conti correnti, quindi, la sussistenza di un differenziale positivo è da considerarsi alla stregua di un mero “indizio dell’esistenza di un vantaggio a favore della ricorrente ma, tenuto conto delle circostanze nel caso di specie non è sufficiente per affermarne l’esistenza” (punto 64). L’analisi del vantaggio, in altri termini, deve soggiacere ad un’analisi cumulativa di tutte le conseguenze nella valutazione degli effetti sul mercato. Ecco l’errore manifesto in cui è incorsa la Commissione.
Considerando, quindi,che l’onere della prova dell’aiuto incombe sulla resistente, quest’ultima “non poteva concludere nel senso dell’esistenza di un aiuto di Stato in favore della ricorrente senza impegnarsi attivamente a dimostrare che, nell’ipotesi in cui quest’ultima non fosse stata più soggetta al vincolo d’impiego, essa non avrebbe potuto ragionevolmente ottenere sul mercato un tasso superiore a quello previsto dalla Convenzione attraverso una gestione prudente delle somme gravate da tale vincolo” dal momento che la Commissione dispone di appositi poteri d’indagine18 e avrebbe altresì dovuto “prendere in considerazione gli investimenti alternativi indicati dalle autorità italiane” (punto 68).
Il Tribunale UE si è, poi, spinto sino a valutare se l’influenza di tale errore sia stata determinante sull’esito dell’esame dell’aiuto (ha vagliato, quindi, la legittimità di concludere nel senso dell’esistenza del vantaggio sulla mera base dell’analisi di due rendimenti alternativi senza vincolo di impiego19, senza prendere in considerazione gli altri addotti dalla ricorrente20) ed ha censurato l’incompletezza dell’indagine condotta in via ultronea dalla Commissione (le riserve espresse sulla comparabilità dei dati alla base del vaglio di distorsione della concorrenza, infatti, non tenevano conto di parametri dirimenti21), annullando la decisione 2009/178/CE, con relativa condanna alle spese.
La sentenza oggetto del presente commento offre il fianco a molteplici considerazioni.
Sulla posizione di competitor che Bancoposta riveste nell’ambito dell’offerta di conto corrente, si deve rilevare che l’equiparazione del circuito postale al campo dell’intermediazione finanziaria privata è il leitmotiv di tutte le regolamentazioni che hanno interessato l’ampliamento e l’evoluzione delle attività espletate da Poste Italiane particolarmente significativa negli ultimi 15 anni. In quest’ottica deve anche collocarsi il superamento degli ostacoli di natura tecnica che erano connaturati al sistema dei pagamenti. Infatti, l’assimilazione normativa degli strumenti di pagamento postali a quelli bancari ha consentito di superare gran parte delle difficoltà legate alla mobilitazione delle somme depositate sul conto ed all’integrazione ed interoperabilità tra i due circuiti.
Ciò considerato, le lesioni ravvisabili al tessuto concorrenziale potrebbero essere supportate da caratteristiche strutturali. Infatti, gli altri intermediari finanziari lamentavano che la remunerazione dei conti correnti regolata da disposizione normativa (e quindi avulsa dalle regole di mercato) potesse generare extra ricavi, tali da consentire l’offerta del servizio a prezzi ridotti.
Non solo. Si consideri che l’accredito della prestazione pensionistica su libretto postale, da parte dei principali enti previdenziali, avvantaggia Poste Italiane esulandola dal dispendio di energie pubblicitarie per attrarre la clientela, che è, viceversa, costantemente incentivata alla sottoscrizione di conto corrente postale e dei servizi collegati.
Così la pronuncia si innesta nell’alveo delle polemiche sollevate dai competitors privati in relazione alla separazione societaria e non solo funzionale di BancoPosta da Poste Italiane. Come è noto, infatti, il primo, dotato di autonomo assetto societario, è un patrimonio destinato di Poste Italiane S.p.A., che è anche socio unico, abilitato all’erogazione di taluni servizi di natura finanziaria e, quindi, soggetto alla vigilanza della Consob e della Banca d’Italia. BancoPosta rappresenta, infatti, l’ultimo passaggio dell’iter della privatizzazione di Poste Italiane, già sancita dalla trasformazione dell’Amministrazione postale in ente pubblico economico e poi in S.p.A.
Resta aperta la polemica sulla necessità e sulle modalità per garantire l’indipendenza di BancoPosta da Poste italiane, giacché considerata foriera di una maggiore equità in ambito concorrenziale. In effetti la creazione di un patrimonio destinato ex lege22 è un passaggio significativo, ma per molti versi non ancora sufficiente. Sul punto si rinvia alla “segnalazione ai sensi degli artt. 21 e 22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 in merito a proposte di riforma concorrenziale ai fini della Legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2013” dell’AGCM, ove nel paragrafo “cosa resta da fare” si legge “la separazione di BancoPosta”, infatti, “al fine di aumentare ilgrado di concorrenza nel settore bancario e di garantire maggior trasparenza nel settore postale tradizionale, l’Autorità ritiene necessaria la separazione societaria dell’attività di BancoPosta dalle attività postali tradizionali”)23.
C’è da chiedersi se l’espansione di Poste Italiane nell’ambito dell’attività di intermediazione finanziaria, seppur evitando ogni forma di assunzione del rischio e con l’assoggettamento alla disciplina ed alla vigilanza ratione materiae, consenta l’esercizio di attività finanziarie in maniera paritetica rispetto agli intermediari finanziari privati, al fine di superare il retaggio – che non pare suffragato da sufficienti ragioni economiche – che si ravvisa anche nella risalente legge delega al governo per la regolamentazione dei servizi Bancoposta, ove si legge “fatti salvi i principi che governano il risparmio postale nelle sue peculiari caratteristiche”24, non meglio precisate.
La recente sentenza, quindi, è la riprova della disomogeneità dell’istituto considerando che la mens legis pare, oggi, orientata all’equiparazione dell’istituto agli intermediari privati, ma senza rimuovere gli effetti distorsivi del mercato strutturali e derivanti dal collegamento a Poste Italiane, i quali, nel caso di specie, non sono stati considerati dal Tribunale dell’UE come elementi costitutivi di un aiuto di Stato.
1
Tribunale UE (VI Sez) sentenza del 13.9.2013 nella causa T-525/08 Poste Italiane S.p.A./ Commissione Europea.
2
Frignani A.-Bariatti S., Disciplina della concorrenza nella UE, in Trattato di diritto commercialedi diritto pubblico dell’economia, 2013,Cedam.
3
“Per quanto riguarda la terza condizione di cui all’articolo 87, paragrafo 1, CE, relativa all’esistenza di un vantaggio a favore del beneficiario dell’aiuto, va ricordato che da una giurisprudenza costante emerge che vengono considerati aiuti di Stato gli interventi che, sotto qualsiasi forma, sono atti a favorire direttamente o indirettamente determinate imprese o che devono essere considerati come un vantaggio economico che l’impresa beneficiaria non avrebbe ottenuto in condizioni normali di mercato (v. sentenza Commissione/Deutsche Post, cit. supra al punto 46, punto 40, e giurisprudenza ivi citata)” (punto 59).
4
Come si legge al punto 46 della sentenza che rinvia a quella della Corte del 2 settembre 2010, Commissione/Deutsche Post, C399/08 P, Racc. pag. I7831, punti 38 e 39, e giurisprudenza ivi citata
5
Legge 23 dicembre 2005, n.206 GURI m. 302 del 29 dicembre 2005 – supplemento ordinario della GURI n. 211
6
“La Convenzione definiva le modalità di calcolo dei tassi di remunerazione dei conti correnti postali depositati presso la Tesoreria dello Stato fino al 4 aprile 2009. La remunerazione annua era calcolata essenzialmente come media ponderata dei rendimenti medi annui dei Buoni del Tesoro Poliennali (in prosieguo: i «BTP») a 30 anni (per l’80% del deposito) e a 10 anni (per il 10% del deposito) e dei Buoni Ordinari del Tesoro (in prosieguo: i «BOT») a 12 mesi (per il 10% del deposito). I rendimenti medi annui dei titoli di Stato previsti nella Convenzione erano ottenuti calcolando la media aritmetica semplice dei tassi di rendimento rilevati il 1° e il 15 di ogni mese. L’attualizzazione dei parametri effettuata ogni 15 giorni rendeva fluttuanti i rendimenti” (punto 7).
8
(punto 258 C 42/06 (ex NN 52/06)”Articolo 1 “Il regime di aiuti di Stato relativo alla remunerazione dei conti correnti di Poste Italiane presso la Tesoreria dello Stato, stabilito della legge 23 dicembre 2005, n. 266 e dalla convenzione tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Poste Italiane del 23 febbraio 2006, al quale l’Italia ha dato illegalmente esecuzione in violazione dell’articolo 88, paragrafo 3, del trattato, è incompatibile con il mercato comune.
Articolo 2
L’Italia sopprime il regime di cui all’articolo 1 con effetto alla data di adozione della presente decisione.
9
(punto 258 C 42/06 (ex NN 52/06) ”Articolo 3
1. L’Italia procede al recupero presso il beneficiario dell’aiuto incompatibile concesso nel quadro del regime di cui all’articolo 1.
L’importo da recuperare è uguale alla differenza tra la remunerazione annua dei conti correnti di Poste Italiane presso la Tesoreria dello Stato corrisposta in base alla convenzione di cui all’articolo 1 e l’importo derivante dall’applicazione del criterio del mutuatario diligente operante in un’economia di mercato, quale risulta dalla tabella 6a della presente decisione.
2. Le somme da recuperare comprendono gli interessi che decorrono dalla data in cui sono state poste a disposizione del beneficiario fino a quella del loro effettivo recupero.
3. Gli interessi sono calcolati su base composta conformemente al capitolo V del regolamento (CE) n. 794/2004 e al regolamento (CE) n. 271/2008 che modifica il regolamento (CE) n. 794/2004.
4. L’Italia annulla tutti i pagamenti in essere dell’aiuto a norma del regime di cui all’articolo 1 con effetto alla data di adozione della presente decisione.
Articolo 4
1. Il recupero dell’aiuto di cui all’articolo 1 è immediato ed effettivo.
2. L’Italia garantisce l’esecuzione della presente decisione entro quattro mesi dalla data della sua notifica.
Articolo 5
1.Entro due mesi dalla notifica della presente decisione, l’Italia trasmette le seguenti informazioni alla Commissione:
a) l’importo complessivo (capitale e interessi) da recuperare presso il beneficiario;
b) una descrizione dettagliata delle misure già adottate e previste per conformarsi alla presente decisione;
c) i documenti attestanti che al beneficiario è stato imposto di rimborsare l’aiuto.
10
Sulla legge finanziaria del 2007, la decisione impugnata si esprime come segue: “la legge finanziaria 2007 non figura ovviamente nella decisione di avviare il procedimento. La sua valutazione alla luce delle norme sugli aiuti di Stato non comporta tuttavia difficoltà” (punto 254) e “a norma della legge finanziaria 2007 «i fondi provenienti dalla raccolta effettuata da Poste Italiane S.p.A. per attività di bancoposta presso la clientela privata (…) sono investiti in titoli governativi dell’area euro a cura di Poste Italiane S.p.A.». Gli interessi corrisposti su tali titoli non configurano aiuto di Stato in quanto non comportano vantaggio selettivo” (punto 255) e conclude “la legge finanziaria 2007 non comporta aiuti di Stato”.
11
Come si legge al punto 21 della sentenza del Tribunale, in relazione ai dati indicati nella tabella 6a della decisione della Commissione oggetto dell’annullamento.
13
In particolare:
i. (punti 190-191 della decisione impugnata) in linea teorica la Commissione ha negato la comparabilità con i prodotti assicurativi ed in linea pratica (punti da 192 a 199), in via ultronea, all’esito del confronto con “Postapiù” ha concluso che tale confronto non dimostrasse l’insorgenza di alcun vantaggio a favore della ricorrente basato sulla Convenzione,
ii. (punti da 200 a 204) la Commissione ha negato la rilevanza del confronto tra le strategie alternative di investimento diversificate e la Convenzione,
iii. (punti da 205 a 209) la Commissione ha respinto la pertinenza del confronto tra il tasso della Convenzione con la remunerazione ottenuta nel 2005 da Efiposte, i rendimenti derivati dalla gestione attiva di fondi del tipo “trading system” definite dalle autorità italiane in base allo studio sulla gestione alternativa, (punti da 201 a 225) la Commissione ha contestato la pertinenza del differenziale positivo (tasso interesse passivo / tasso interesse attivo) all’esito del raffronto con quello praticato da altre banche private, nonché le trasformazioni delle scadenze e altri operatori specializzati nel settore pubblico.
14
“Durante il periodo della Convenzione (cioè il periodo che va dal 2005 al 2007), il tasso della Convenzione, nonché il tasso del mutuatario privato, erano stati più elevati dei rendimenti derivanti dalla gestione attiva dei fondi illustrata dal suddetto studio (v. punto 208, iv), della decisione impugnata). La Commissione ha anche fatto osservare che il rendimento implicito ottenuto dalla ricorrente nel 2007, nell’ambito della sua gestione attiva delle somme derivanti dai conti correnti postali, fatta eccezione per i guadagni in conto capitale, era inferiore al tasso della Convenzione e al tasso del mutuatario privato [v. punto 208, v), della decisione impugnata]” (punto 34).
15
Si precisa che: “A sostegno del proprio ricorso, la ricorrente deduce quattro motivi, relativi, in sostanza, il primo, ad una violazione dell’obbligo di motivazione; il secondo, ad un errore manifesto di valutazione in merito alla fissazione del tasso del mutuatario privato, all’esistenza di un vantaggio e alla valutazione degli investimenti alternativi; il terzo, ad una violazione degli articoli 12 CE e 87 CE, per il fatto che la Commissione non ha valutato se l’intervento statale controverso abbia conferito un vantaggio alla ricorrente o se esso sia stato idoneo a falsare la concorrenza nel contesto dell’onere di servizio universale gravante su di essa; ed infine, il quarto, ad una violazione dei principi generali di legittimo affidamento, certezza del diritto e proporzionalità derivante dall’ordine di recupero dell’aiuto da parte della Commissione. Tuttavia, in occasione dell’udienza, la ricorrente ha rinunciato al suo terzo motivo” (punto 44).
16
“A sostegno di tale censura essa deduce, in sostanza, tre argomenti. In primo luogo, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, non esisterebbe uno specifico rischio di liquidità gravante sul Tesoro, che debba riflettersi sul tasso della Convenzione. In secondo luogo, a proposito del metodo di fissazione del tasso del mutuatario privato, la ricorrente contesta l’affermazione della Commissione secondo la quale un mutuatario privato avrebbe basato la remunerazione della componente stabile della raccolta (90%) sul rendimento dei BTP a cinque anni (anziché a 30 o a 10 anni). Infatti, la Commissione non poteva ignorare il contesto normativo esistente e fissare il tasso del mutuatario privato indipendentemente dal vincolo d’impiego. Inoltre, la Commissione avrebbe tratto conclusioni erronee da uno studio fornito dalle autorità italiane in merito alla durata della raccolta nell’ambito di una gestione attiva. Peraltro, anche il metodo di fissazione del tasso del mutuatario privato nella parte relativa all’investimento della componente volatile della raccolta postale sarebbe viziato da errore. In terzo luogo, la ricorrente sostiene che l’applicazione del criterio dell’operatore privato necessita, per definizione, di un elemento di confronto sul mercato. La Commissione avrebbe applicato invece un suo proprio tasso del mutuatario privato, fondato su criteri estremamente rigidi, senza indicare alcun operatore di riferimento, senza affidarsi alla valutazione di un esperto (anzi, rigettando gli elementi di confronto acquisiti dalle autorità italiane) e senza avere riguardo alle caratteristiche specifiche del caso di specie” (punto 54).
18
In base al regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’articolo [88 CE] (GU L 83, pag. 1).
19
I due rendimenti alternativi considerati per concludere che “le possibilità di investimento alternative in assenza di vincolo di impiego non avrebbero permesso [alla ricorrente] di conseguire, nel periodo di riferimento, rendimenti simili o superiori a quello della Convenzione in una prospettiva rischio/rendimento” sono :
1. i rendimenti dei prodotti assicurativi Poste più e Poste Valore;
2. i rendimenti generati nell’ambito della gestione attiva dei fondi indicati nello studio sulla gestione alternativa).
20
In particolare, il Tribunale ha rilevato che alcuni elementi addotti dalle autorità italiane non siano stati presi in debita considerazione dalla Commissione, la quale ne avrebbe escluso la rilevanza: tali elementi da “considerare con grande prudenza” (in relazione alle lettere di diverse banche ed allo studio sulla gestione alternativa di cui al punto 73) non equivale a considerarle come produttive di conclusioni “erronee o distorti”. Inoltre la Commissione non ha indicato parametri di riferimento alternativi dai quali emergesse il vantaggio concorrenziale rispetto ai rendimenti di mercato (punto 74).
21
Quali: la durata dei rendimenti secondo un periodo che potesse essere rappresentativo (10 anni in luogo di 3); l’inattendibilità del paragone delle valutazioni ex ante–ex post alla base delle previsioni dei guadagni o delle perdite in conto capitale; nonché l’esclusione del fattore di remunerazione dall’analisi della gestione attiva condotta.
22
Disciplinata dal D.P.R. 14 marzo 2001, n. 144, e successive modifiche, costituito ai sensi dell’art. 2, commi 17-octies e ss. del Decreto Legge 29 dicembre 2010 n. 225, convertito con modificazioni nella Legge 26 febbraio 2011 n. 10.
23
Reperibile on line all’indirizzo http://www.agcm.it/trasp-statistiche/doc_download/3332-as988.html