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Attualità

Prescrizione dell’azione risarcitoria per abusiva concessione di credito

28 Marzo 2023

Claudio Tatozzi, Equity partner, FIVELEX Studio Legale e Tributario

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza i principi della pronuncia della Cassazione Civile, 18 gennaio 2023, n. 1387, in materia di abusiva concessione di credito, soffermandosi sul tema della decorrenza del termine di prescrizione dell’azione nei confronti della banca finanziatrice.


Con la decisione n. 1387 del 18 gennaio 2023, la Suprema Corte di Cassazione torna nuovamente a pronunciarsi sul tema della responsabilità risarcitoria conseguente all’avvenuto accesso al credito bancario da parte di un’impresa già in stato di decozione. In particolare, la fattispecie qui al vaglio della Corte Regolatrice ha visto una curatela fallimentare agire in giudizio nei confronti di due istituti di credito, imputando agli stessi di avere (i) avallato nel decennio 1998-2008 la richiesta di sostegno bancario avanzato dagli amministratori di una società che, in ragione delle gravi perdite subite, doveva considerarsi in stato di dissesto già alla fine dell’anno 2000 e, in tal modo, (ii) concorso a protrarne illegittimamente l’attività, con conseguente maggiorazione del passivo e diminuzione dell’attivo.

La sentenza in questione ha confermato le decisioni delle Corti di merito che, sia in primo che in secondo grado, avevano riconosciuto la fondatezza della domanda del Fallimento e, di conseguenza, condannato le due banche convenute al risarcimento dei danni (quantificati – nel rispetto dei principi normativi in punto di rapporto causale tra evento e danno – mediante il ricorso al criterio dei cd. netti patrimoniali, vale a dire la differenza tra l’ammontare del patrimonio netto alla data di avvenuta perdita del merito creditizio da parte della società e quello alla data della dichiarazione di fallimento della stessa).

Nello scrutinare (e respingere) i vari motivi di gravame degli istituti bancari ricorrenti, la Corte di Cassazione ripercorre, e sostanzialmente conferma, l’orientamento espresso nei precedenti arresti che, negli ultimi anni, hanno ripetutamente affrontato i più rilevanti profili controversi della materia, contribuendo a definire un panorama interpretativo che (a differenza di quanto accadeva all’inizio degli anni 2000) può oggi contare su diversi punti fermi.

La decisione qui in esame richiama, anzitutto, le statuizioni di Cass. n. 18610 del 2021, laddove è stato riconosciuto che – accanto alla fattispecie di cui all’art. 218 l.f. (oggi art. 325 del CCII), che sanziona gli amministratori, i liquidatori, i direttori generali e gli imprenditori commerciali quando ricorrono o continuano a ricorrere al credito, dissimulando il dissesto – deve ritenersi “egualmente illecita la condotta di «concessione abusiva di credito», che individua l’agire del finanziatore che conceda, o continui a concedere incautamente, credito in favore dell’imprenditore che versi in stato di insolvenza o comunque di crisi conclamata”. Ciò in quanto, “sebbene nel nostro ordinamento non esista un generale dovere, a carico di ciascun consociato, di attivarsi al fine di impedire eventi di danno, tuttavia, con specifico riferimento alla normativa che regola il sistema bancario, il soggetto finanziatore, sulla base di questa, è invero tenuto all’obbligo di rispettare i principi di c.d. sana e corretta gestione, verificando, in particolare, il merito creditizio del cliente in forza di informazioni adeguate”.

A questa stregua, la Suprema Corte ribadisce che dalle summenzionate condotte illecite derivano ben precise conseguenze risarcitorie (non soltanto a carico degli amministratori, direttori generali e liquidatori che abbiano abusivamente ricorso al credito, ma) anche in capo alle banche finanziatrici, allorquando, “in conseguenza dell’illecito sostegno finanziario all’impresa per la concessione o la reiterata concessione del credito”, abbiano, “dolosamente o colposamente, mantenuto artificiosamente in vita un imprenditore in stato di dissesto, in tal modo arrecando al patrimonio del medesimo danni pari all’aggravamento del dissesto, nonché delle perdite generate dalle nuove operazioni così favorite”.

Nel tornare a pronunciarsi su detti argomenti, la Cassazione affronta anche quella che, per anni, è stata la principale vexata questio in materia, vale a dire quella della legittimazione attiva del curatore fallimentare ad agire nei confronti delle banche per i danni cagionati dalla avvenuta, abusiva, concessione di credito.

Anche in questo caso, la sentenza si allinea all’orientamento espresso dalla Cassazione nei precedenti succedutisi negli ultimi anni, superando l’indirizzo restrittivo registratosi inizialmente nella giurisprudenza di legittimità. Viene, in particolare, positivamente riconosciuta la legittimazione del curatore fallimentare a fare valere la pretesa risarcitoria per i danni cagionati alla società fallita e alla massa dei creditori della stessa, qualora venga dedotta la responsabilità del finanziatore verso il soggetto finanziato per il pregiudizio causato all’intero patrimonio di quest’ultimo dall’attività di finanziamento illegittimamente condotta, dovendosi invece escludere analoga legittimazione della curatela fallimentare in relazione al ristoro del pregiudizio subito direttamente dal patrimonio del singolo creditore (per l’abusiva concessione di credito).

L’attenzione degli interpreti, dunque, pare ora doversi maggiormente concentrare sull’approfondimento degli aspetti più direttamente afferenti il merito della richiesta di indennizzo risarcitorio azionabile nei confronti di un istituto di credito, ad iniziare da quello relativo all’individuazione dei criteri e parametri alla luce dei quali verificare in quali casi sia configurabile una violazione degli obblighi specifici sottesi al principio di sana e prudente gestione del credito e della normativa settoriale di vigilanza (argomenti rispetto ai quali la pronuncia qui commentata non contiene statuizioni di particolare significatività).

La decorrenza del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria per abusiva concessione di credito

In un contesto di sostanziale continuità con i più recenti precedenti, la sentenza che stiamo analizzando merita di essere segnalata per avere affrontato un tema fino ad oggi rimasto scarsamente esplorato (per lo meno con riferimento alla specifica tipologia di azione risarcitoria qui considerata), ovverosia quello dell’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine quinquennale di prescrizione dell’azione nei confronti della banca responsabile dell’abusiva concessione di credito.

Al riguardo, la Suprema Corte ha ritenuto di poter rispondere all’interrogativo facendo semplice e diretta applicazione dei medesimi principi – ormai sostanzialmente consolidati – elaborati in tema di azione di responsabilità dei creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l.f. In questa prospettiva, la Cassazione osserva che:

  1. l’azione di responsabilità prevista dall’art. 2394 c.c. èsoggetta a prescrizione quinquennale decorrente dal momento in cui i creditori sono oggettivamente in grado di venire a conoscenza dell’insufficienza del patrimonio sociale per l’inidoneità dell’attivo – raffrontato alle passività – a soddisfare i loro crediti”;
  2. la nozione di insufficienza patrimoniale si ricollega alla garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c., costituita dal patrimonio della società, ed essa rappresenta un mero fatto contabile, che si verifica quando il patrimonio della società presenti un’eccedenza delle passività sulle attività”;
  3. ai fini dell’individuazione del momento in cui la predetta insufficienza patrimoniale si sia palesata in modo oggettivamente percepibile dalla generalità del ceto creditorio, non occorre porsi in una prospettiva disoggettivismo psicologico, ma della valutazione di astratta conoscibilità: non già mero fatto soggettivo di conoscenza del danno da parte del titolare dell’azione, bensì rilievo del dato oggettivo della sua conoscibilità da parte dei terzi creditori, posti così nella condizione di poter esercitare il proprio diritto”;
  4. coerentemente, tale “momento coincide, in via di presunzione semplice fondata sull’id quod plerumque accidit, con la dichiarazione di fallimento … anche se tale presunzione non esclude come, in concreto, il deficit si sia manifestato in un momento anteriore, gravando tuttavia il relativo onere probatorio su chi allega la circostanza e fonda su di essa un più favorevole inizio del decorso della prescrizione”.

La presa di posizione della Corte Regolatrice sul tema de quo appare, in termini generali, condivisibile, ma difetta dello sforzo ermeneutico utile ad adattare i criteri elaborati con riguardo all’azione ai sensi dell’art. 2394 c.c. alle caratteristiche peculiari di quella per abusiva concessione di credito.

Non è chi non veda, infatti, che – mentre relativamente alla prima fattispecie vengono in considerazione gli indici rivelatori dell’insufficienza patrimoniale (rispetto alla capacità di fare fronte al rimborso dei debiti della società) – nel secondo caso ciò che deve essere percepibile dalla generalità del ceto creditorio, ai fini dell’inizio del decorso del termine prescrizionale dell’azione, è lo stato di insolvenza. In un caso, quindi, la valutazione deve essere compiuta in una prospettiva squisitamente patrimoniale (verificando se, contabilmente, le passività reali superino il valore dell’attivo), laddove invece nel secondo l’analisi non può che essere condotta in chiave squisitamente finanziaria (verificando la sussistenza o meno di indicatori attestanti la sopravvenuta incapacità dell’impresa di fare fronte regolarmente alle proprie obbligazioni).

E’ chiaro, pertanto, che diversi sono, e non possono che essere, i parametri di rilevazione delle due situazioni, così come differenti sono i profili di complessità della relativa analisi. Ed invero – a fronte della sostanziale linearità e semplicità di percezione del dato concernente l’emersione dell’insufficienza patrimoniale (che, se da accertare in chiave meramente contabile, nei fatti impone solo di rilevare l’esistenza o meno di un patrimonio netto positivo) – meno immediata e di agevole comprensione è l’esistenza degli indicatori di una situazione di insolvenza. Quest’ultima – salvo casi che, di norma, ricorrono piuttosto raramente (si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui nella nota integrativa e/o nella relazione sulla gestione allegata al bilancio di esercizio si dia conto dell’esistenza di debiti scaduti di non trascurabile ammontare e di conseguenti iniziative di recupero coattivo da parte dei relativi creditori) – presuppone un’indagine approfondita delle risultanze del fascicolo di bilancio e l’estrapolazione dallo stesso di indici e parametri che ben difficilmente sono nella disponibilità cognitiva del creditore “medio” (essendo al profilo soggettivo di quest’ultimo che occorre fare riferimento per definire la percepibilità dell’esistenza di uno stato di decozione da parte della generalità indistinta del ceto creditorio dell’impresa finanziata).

Le considerazioni che precedono portano all’inevitabile conclusione che, rispetto alla prescrizione dell’azione risarcitoria per abusiva concessione di credito, una corretta applicazione dei principi delineati dalla sentenza in commento rende ben più residuale (rispetto a quanto accade nella casistica dell’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2394 c.c.) l’eventualità che l’istituto bancario, convenuto in giudizio da una curatela fallimentare, sia in condizione di superare la presunzione iuris tantum di coincidenza del dies a quo del relativo termine quinquennale di prescrizione con la data della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza dell’impresa finanziata.

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