Un cliente citava in giudizio la propria banca, chiedendo il risarcimento del danno subito a causa di un investimento in obbligazioni Cirio, e lamentando la violazione degli obblighi informativi previsti in combinato disposto dal TUF e dal regolamento intermediari 11522/1998 (vigente ratione temporis). Il giudice di primo grado accoglieva la domanda. La decisione veniva riformata in appello; la corte territoriale riteneva non provato il nesso causale tra l’inadempimento degli obblighi informativi ed il danno, considerata la propensione al rischio del cliente, e la sua decisione di non disinvestire anche a fronte degli avvertimenti, provenienti dall’intermediario, circa il mutamento delle condizioni di mercato e la mancanza di rating che caratterizzava i titoli già acquistati.
La Suprema Corte accoglie il ricorso del cliente. Dopo aver ribadito il consolidato principio di diritto secondo cui l’intermediario ha l’obbligo di fornire un’informazione “su misura” per ogni singolo investimento (vedi, tra le più recenti sul punto, Cass. 8619/2017, est. Acierno), il giudice del diritto chiarisce rilevanti tratti di disciplina della responsabilità risarcitoria nella prestazione dei servizi di investimento. A questo riguardo, osserva, in via preliminare, che i contratti di intermediazione finanziaria sono governati da una rete di norme imperative di settore, che ne conformano la disciplina in chiave di protezione dell’investitore; il regime dell’onere probatorio in sede risarcitoria costituisce un fondamentale nodo di tale rete. In forza di tale inderogabile regime, l’investitore è tenuto ad allegare la violazione degli obblighi informativi, ed a fornire la prova del danno subito a causa dell’operazione; l’onere della prova circa l’adempimento di tali obblighi è a carico dell’intermediario, ed è assolto dalla prova positiva della diligenza richiesta dall’art. 21 TUF, come specificata dal regolamento intermediari. Al riscontro dell’inadempimento – dipendente dalla mancanza, o dall’insufficienza della prova fornita dall’intermediario – consegue dunque l’accertamento in via presuntiva del nesso causale tra detto inadempimento ed il danno patito dall’investitore. Appare consolidarsi, dunque, l’orientamento già espresso, da ultimo, in Cass. 3914/2018, est. Dolmetta (la sentenza, accompagnata da ulteriori riferimenti di giurisprudenza, è reperibile su questo sito).
La Corte, poi, precisa la sua statuizione avuto riguardo alle circostanze del caso concreto. In primo luogo, chiarisce che il descritto nesso causale, sussistente in via presuntiva in forza della disciplina di settore, non è interrotto – come erroneamente ritenuto dal giudice d’appello – da alcun giudizio di carattere controfattuale fondato sulla propensione al rischio del cliente: l’intermediario non può cioè esonerarsi da responsabilità provando l’ininfluenza del deficit informativo rispetto alla scelta d’investimento. Si tratta della posizione espressa in Cass. 25335/2017, est. Falabella, da cui la Corte ritiene dunque di discostarsi. In secondo luogo, afferma che, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi, non è configurabile alcun concorso di colpa dell’investitore non professionale nella produzione del danno (conformi Cass. 3676/2018, est. Terrusi; Cass. 26064/2017, est. Bisogni; Cass. 9892/2016, est. Valitutti e Cass. 8394/2016, est. Bernabai). In particolare, non costituisce concorso colposo ex art. 1227 c.c. la condotta del cliente che, come nel caso di specie, non accoglie i suggerimenti di disinvestimento, atteso che tale condotta non comporta un’esposizione volontaria ad un rischio, né viola alcuna regola di comune prudenza (così già Cass. 17333/2015, est. Acierno).