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Giurisprudenza

Presunzione su prelevamenti e versamenti bancari e onere della prova dei relativi costi

13 Febbraio 2017

Mario Grandinetti

Cassazione Civile, Sez. V, 28 dicembre 2016, n. 27125

Con la sentenza n. 27125 del 28 dicembre 2016, la Corte di Cassazione (Sez. V civile) è tornata ad esprimersi sulla presunzione legale di cui all’articolo 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ed in specie sull’onere della prova in merito ai costi connessi ai presunti ricavi.

Tale norma prevede (al comma 1, n. 2) una presunzione legale secondo cui si considerano ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, e trova applicazione – in sintesi – se il contribuente non prova che i versamenti sono stati registrati in contabilità, e che i prelevamenti sono stati effettuati al fine di essere corrisposti a determinati beneficiari..

È significativo osservare come questa norma sia stata nel recente passato oggetto anche di una pronuncia di incostituzionalità parziale (limitatamente all’estensione della stessa ai lavoratori autonomi) da parte della Corte Costituzionale. Infatti tale norma, originariamente applicabile solo con riferimento agli esercenti attività d’impresa, è stata in seguito estesa dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311 ai lavoratori autonomi, mediante l’inserimento dell’inciso “o compensi” a fianco del termine “ricavi”; tuttavia, tale estensione è stata giudicata illegittima dalla Corte Costituzionale, la quale con sentenza n. 228 del 6 ottobre 2014 l’ha dichiarata contraria ai principi di ragionevolezza e di capacità contributiva, poiché sarebbe arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati effettuati da un lavoratore autonomo “siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”.

Con riferimento, invece, ai soggetti imprenditori, stante la legittimità di una siffatta presunzione, nella sentenza in commento la questione maggiormente interessante verteva su quale fosse il soggetto tenuto a fornire l’onere della prova in relazione ad eventuali componenti negativi deducibili. Il contribuente ha infatti sostenuto che tale presunzione fosse stata applicata in maniera illegittima, poiché l’amministrazione finanziaria (e le successive sentenze di merito) aveva considerato ricavi i versamenti senza accertare induttivamente anche i costi, e senza scorporare l’IVA da tali versamenti.

La Cassazione nella pronuncia che si commenta ha precisato che l’amministrazione finanziaria non deve necessariamente, nel momento in cui determina induttivamente un reddito per effetto di tale presunzione, accertare induttivamente anche i relativi costi, poiché devono essere considerati ricavi sia le operazioni attive che quelle passive, senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili, essendo a carico del contribuente l’onere di indicare e provare eventuali specifici costi deducibili, nonché la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi.

Tale sentenza non appare quindi discostarsi dai precedenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione. Tuttavia, non possiamo non sottolineare che l’applicazione di tale presunzione sia un tema dibattuto nella giurisprudenza e foriero di contenziosi tra contribuente e amministrazione finanziaria. Da qui l’auspicio che, così come avvenuto in materia di presunzioni di cessione e di acquisto ai fini dell’IVA sarebbe forse necessario un intervento legislativo che possa regolamentare in maniera più compiuta la ripartizione dell’onere probatorio tra fisco e contribuente.


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