SOMMARIO: Con sentenza dell’11 gennaio 2024, nel caso Nárokuj c. EC Financial Services, la Corte di Giustizia UE ha ribadito che il solo risarcimento del danno è inidoneo a integrare la sanzione «effettiva, proporzionata e dissuasiva» imposta agli Stati Membri dall’art. 23 della Direttiva 2008/48/CE (CCD I) per le violazioni del divieto di erogare finanziamenti in assenza di valutazione del merito creditizio (art. 8 CCD I). Alla luce dell’approfondito apparato motivazionale della sentenza, valso a rimarcare la duplice giustificazione teleologica del divieto (i.e. prevenzione del sovraindebitamento e promozione di pratiche creditizie responsabili), emerge in tutta la sua evidenza il ritardo del legislatore e della giurisprudenza italiani nel recepimento della Direttiva sul credito ai consumatori. Nello scritto, che prende in esame alcune innovazioni contenute nella Direttiva UE 2023/2225 (CCD II), sono descritte le cause (culturali) di tale ritardo e le possibili vie interpretative per porvi rimedio.
ABSTRACT: With judgment of 11 January 2024, in the case C-755/22 of Nárokuj v. EC Financial Services, the EU Court of Justice held, once again, that compensation for damages alone is unsuitable to meet the “effective, proportionate and dissuasive” standard mandated to Member States by Article 23 of Directive EC/2008/48 for the enactment of an appropriate sanction against the granting of credit without prior individual assessment of the consumer’s creditworthiness. The decision explains at-length the dual function of Article 8 CCD I (i.e. prevention of over-indebtedness and promotion of responsible lending practices), unveiling the delay of the Italian legal system in the implementation of CCD I. The (cultural) causes of such delay and the possible operative solutions thereto are outlined in this paper.
1. Il principio di diritto della Corte di giustizia. Nullità del contratto di finanziamento quale sanzione adeguata alle violazioni del divieto di erogazioni “irresponsabili”.
Con sentenza dell’11 gennaio 2024, la Corte di Giustizia UE[1] è tornata a pronunciarsi sulla sanzione civilistica da applicare alle violazioni dell’art. 8 della direttiva 2008/48/CE (CCD I) sul credito ai consumatori (art. 18 direttiva UE 2023/2225 – CCD II), confermando che, in ipotesi di omessa o scorretta valutazione della capacità prospettica del mutuatario di provvedere al regolare ammortamento del prestito, gli ordinamenti degli Stati Membri possono legittimamente prevedere e applicare, in armonia con l’art. 23 della medesima CCD I[2], il rimedio della nullità del contratto con annessa caducazione del diritto del creditore di esigere qualsiasi forma di corrispettivo[3]. Per l’effetto, il finanziatore che abbia concesso un prestito senza un’adeguata verifica del merito creditizio del consumatore è esposto sanzione assimilabile a quella che l’art. 1815, comma 2, del codice civile italiano riserva all’usura: vale a dire, la riconduzione a gratuità dell’operazione di finanziamento.
La norma interna, sulla quale è stata costruita la domanda di pronuncia pregiudiziale del giudice nazionale, è l’art. 86 della legge della Repubblica Ceca sul credito al consumo (zákon č. 257/2016 Sb., o spotřebitelském úvěru). Nel recepire l’obbligo di corretta valutazione del merito di credito, la norma chiarisce che «il creditore eroga il credito soltanto se dalla valutazione del merito creditizio del consumatore emerge che non sussistono ragionevoli dubbi quanto alla capacità del consumatore di rimborsare il credito»[4]. Letta in controluce, tale disposizione sembra introdurre un vero e proprio divieto di erogazioni di finanziamenti irresponsabili: infatti, «eroga soltanto se…» testimonia che l’erogazione dovrebbe rimanere vietata in tutte le altre ipotesi[5]. E, in diritto privato, il divieto di fonte legale di concludere contratti se non al ricorrere di determinate condizioni configura (rectius, dovrebbe configurare) un’ipotesi di nullità testuale.
L’art. 18, comma 6, CCD II è formulato in maniera quasi del tutto sovrapponibile: «Gli Stati membri assicurano che il creditore eroghi il credito al consumatore solo quando i risultati della valutazione del merito creditizio indicano che gli obblighi derivanti dal contratto di credito saranno verosimilmente adempiuti secondo le modalità prescritte dal contratto in questione». Il principio di responsibile lending, in uno con il divieto di concedere prestiti senza adeguati controlli preliminari, non può dirsi estraneo neppure alla CCD I, il cui considerando n. 26 già sottolineava che «gli Stati membri dovrebbero adottare le misure appropriate per promuovere pratiche responsabili, […] è importante che i creditori non concedano prestiti in modo irresponsabile o non emettano crediti senza preliminare valutazione del merito creditizio»[6].
La tesi del divieto (quindi, della nullità del contratto di finanziamento erogato senza preventiva valutazione del merito creditizio) è ritenuta dalla Corte di Giustizia in linea con il diritto europeo e praticabile – rispondendo alla singolare domanda di pronuncia pregiudiziale rivoltale[7] – anche qualora il consumatore non abbia patito alcun danno da sovraindebitamento o abbia portato a termine l’ammortamento del prestito senza mai sollevare contestazioni. Addirittura, secondo la Corte, il rimedio posto a presidio dell’effettività del divieto di erogazioni irresponsabili potrebbe essere fatto valere da un soggetto diverso dal consumatore/mutuatario: ovverosia, come nel caso di specie, da «una società commerciale alla quale il consumatore ha ceduto i crediti che avrebbe potuto far valere nei confronti del creditore in base al contratto di credito al consumo»[8].
Se ne trae che gli snodi problematici, evidenziati sin dalla domanda di pronuncia pregiudiziale, riguardano almeno due macro-temi, tra loro interconnessi:
a) l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina di matrice europea dei contratti di credito ai consumatori;
b) lo scopo della sanzione «effettiva, proporzionata e dissuasiva» per violazione, da parte dei finanziatori, dell’obbligo di corretta valutazione del merito creditizio.
2. Ambito soggettivo di applicazione della direttiva sul credito ai consumatori. Alla ricerca di un nesso di pregiudizialità (che non c’è) tra l’esperibilità del rimedio invalidante e la prova di un danno.
L’antefatto che rende questa pronuncia particolarmente interessante (e probante) risiede – lo si è visto – nello status di professionista del soggetto che si è fatto carico di avviare un procedimento dinanzi al giudice nazionale per eccepire la mancata verifica del merito creditizio alla base di un finanziamento erogato a un consumatore. In altre parole: a beneficiare del provento della sanzione «effettiva, proporzionata e dissuasiva» prevista dal diritto ceco per violazione dell’obbligo di valutazione del merito creditizio (i.e. la ripetizione dell’indebito oggettivo per nullità del titolo) è una società commerciale di recupero crediti che, per finalità prettamente speculative, si è procacciata il titolo allo sfruttamento esclusivo delle tutele concepite dal regolatore eurounitario in favore dei consumatori[9].
Acclarato che la reazione del diritto ceco alle violazioni dell’obbligo di verifica del merito di credito è la nullità del contratto, per dubitare della legittimazione attiva della società cessionaria dei crediti litigiosi ad agire in giudizio contro il finanziatore (per riscuoterli) sarebbe stato necessario porre in discussione la validità del contratto di cessione (dei crediti litigiosi) stipulato tra il consumatore e tale società specializzata nel recupero crediti. Ma non si dispone di sufficienti elementi per spingersi fino a tanto. Del resto, un intervento restrittivo da parte della Corte di Giustizia UE, che fosse andato nella direzione di impedire all’impresa cessionaria di perseguire il risultato economico insito nel contratto di cessione, si sarebbe posto in contrasto con il principio di libertà d’impresa sancito dall’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Quindi, rispetto alla prima parte del quesito sollevato dal giudice nazionale, la Corte di Lussemburgo non poteva far altro che confermare il pieno diritto della cessionaria di esercitare le azioni e i rimedi contrattuali che il consumatore cedente avrebbe potuto opporre al finanziatore, compresa la ripetizione dell’indebito.
Ben altro livello di approfondimento richiede, invece, la seconda parte del quesito formulato dal giudice del rinvio: cioè, se la società cessionaria resti legittimata ad azionare il rimedio invalidante (beneficiando ovviamente delle restituzioni) ancorché il consumatore non abbia patito alcun danno per effetto della mancata valutazione del merito creditizio o, di fatto, abbia portato a termine l’ammortamento senza mai sollevare contestazioni.
Occorrerebbe anzitutto evitare, in linea di principio, di porre sullo stesso piano semantico il non avere sollevato contestazioni e il non avere sofferto conseguenze pregiudizievoli. Il fatto che il debitore/consumatore, nonostante la mancata valutazione della sostenibilità del credito da parte del finanziatore, sia riuscito a onorare il pagamento delle rate come da contratto non assicura che egli non sia stato indotto ad alterare, anche significativamente, le proprie abitudini di vita allo scopo di reperire altre fonti di approvvigionamento, indebitandosi ulteriormente o rinunciando a beni o servizi essenziali per sé o per i propri familiari[10]. Come sempre, è un problema di onere della prova, e tali pur oggettive alterazioni in pejus non sempre risultano agevolmente comprovabili.
Si cercherà di dirlo meglio nel prosieguo, ma conviene sin d’ora sottolineare che l’obbligo di valutazione ex ante del merito creditizio del prenditore, che si traduce nel divieto per i finanziatori professionali di erogazioni irresponsabili, serve (tra l’altro) a prevenire che le persone subiscano un deterioramento della qualità delle proprie vite a causa dell’assunzione di impegni finanziari insostenibili e non adeguatamente ponderati[11]. I rimedi civilistici in funzione deterrente ambiscono a questo: a prevenire il danno nei rapporti tra privati, sì da evitare che l’ordinamento intervenga soltanto quando è ormai troppo tardi[12].
Domandarsi però, puramente e semplicemente, se il rimedio invalidante sia azionabile anche in assenza di un danno patrimoniale costituisce un esercizio dialettico dagli esiti largamente prevedibili. La declaratoria di nullità comporta per sua natura il travolgimento, con effetti restitutori ex tunc, di tutto ciò che sia stato pagato/prestato dalle parti in esecuzione del contratto, a prescindere dalla prova di un’alterazione peggiorativa nel patrimonio dei contraenti[13]. Sicché, specialmente in un ambiente normativo come quello del credito ai consumatori, ove il divieto di concludere contratti se non all’esito di determinati controlli è volto a limitare il raggio d’azione del solo finanziatore – cioè, del solo soggetto sottoposto a vigilanza prudenziale –, la risposta rimediale, qualunque essa sia, per risultare efficace dovrebbe arrivare a colpire/sanzionare quell’unico destinatario del comando, quand’anche la controparte non sia in grado di esibire la prova di un danno (che, per avventura, potrebbe non essersi mai verificato).
Al di là dei profili di debolezza rilevati nella richiesta di pronuncia pregiudiziale, conviene ora provare a portare l’analisi all’altezza dei diversi princípi (tecnici)[14] che concorrono a imprimere una chiara direzione al diritto italo-europeo dei contratti di credito ai consumatori, onde verificare se la soluzione avallata dalla Corte di Giustizia UE sia in grado prima o poi di fare proseliti anche nell’ordinamento italiano, in cui spicca l’assenza in subiecta materia di qualsivoglia sanzione civilistica[15].
3. Credito irresponsabile quale bene difettoso. Ratio dell’obbligatoria valutazione del merito creditizio e della correlata sanzione civile, alla luce delle «finalità di sistema» di cui al combinato disposto degli artt. 5 e 127 t.u.b.
La Corte di giustizia, anche nella decisione del caso Nárokuj c. EC Financial Services, ha rimarcato che la formazione di contratti di finanziamento senza un’adeguata verifica del merito creditizio è un’attività pericolosa non soltanto per le singole controparti reputate presuntivamente bisognose di protezione (nel rapporto con l’esperto finanziatore) ma anche perché, se reiterata su larga scala, rischia di mettere in crisi la stabilità del sistema[16]. La sanzione dell’autore dell’illecito non deve attendere che l’infrazione si traduca in un altrui depauperamento patrimoniale: basta la violazione del divieto, anche in assenza di prova della pericolosità in concreto della condotta.
Per il caso in cui un finanziatore tiri dritto in violazione degli artt. 124 e 124-bis t.u.b.[17], fatica a trovare piena accettazione, perlomeno in Italia, l’idea che l’azione civile possa realizzare una funzione punitivo-deterrente o portare all’applicazione di un rimedio a contenuto anche soltanto extra-compensativo[18]. I rimedi che attribuiscono alla parte agente in giudizio un qualche vantaggio economico oltre il limite del risarcimento in funzione compensativa vengono ancora guardati con il sospetto generalmente riservato all’«arricchimento senza causa»[19]; o, approccio ancor più singolare, non è mancato chi, pur di non valorizzare la tesi della nullità, ha preferito classificare come regole di comportamento (nella nota contrapposizione alle regole di validità) finanche i divieti testuali di concludere contratti[20].
Il cambio di approccio dovrebbe partire dalla presa d’atto che il contratto di credito stipulato senza un’adeguata valutazione del merito creditizio è affetto da un ineliminabile difetto giuridico genetico[21]. I contratti di credito sono beni e, come qualsiasi bene, possono nascere difettosi a causa di vizi nella fabbricazione o nel disegno. I beni materiali fabbricati in violazione delle regole minime di sicurezza sono normalmente ritirati dal mercato, a tutela dell’incolumità pubblica. Non diversamente, i crediti immessi in commercio con un difetto di fabbricazione (erogati, cioè, senza un’adeguata valutazione della relativa sostenibilità in rapporto alle caratteristiche soggettive del singolo prenditore) mettono a repentaglio non soltanto gli interessi economici dell’occasionale mutuatario, ma anche l’interesse pubblico alla promozione ad ampio raggio di pratiche commerciali responsabili[22].
Come rimarcato in un’importante decisione dell’Arbitro Bancario Finanziario[23], qualsiasi azione degli istituti di credito deve costituire ragionevole attuazione delle finalità «di sistema» dichiarate non soltanto dall’art. 5 t.u.b. (sana e prudente gestione, stabilità, efficienza e competitività del sistema finanziario), ma anche dall’art. 127 t.u.b. (trasparenza delle condizioni contrattuali e correttezza dei rapporti con la clientela). In tal modo si coglie il «punto di congiunzione tra le esigenze di efficienza e stabilità del sistema […] e quelle di tutela della clientela»[24].
La relazione tra queste diverse direttrici di sistema è di tipo biunivoco. La promozione di pratiche negoziali trasparenti e una maggiore attenzione alle peculiarità soggettive del cliente (in controtendenza rispetto allo sfruttamento massivo della carenza di educazione finanziaria nelle pieghe di contratti opachi) concorrono a definire un sistema diverso rispetto al passato: più prudente, più sano, più stabile, più competitivo.
Il contratto di credito, come qualsiasi altro contratto, è un condensato di disciplina da fonti autonome ed eteronome. Chi professionalmente confeziona il prodotto-credito ai fini della relativa immissione in commercio non può scegliere se adeguarsi o meno alle norme imperative volte ad assicurare il rispetto di standard minimi di sicurezza. Non può farlo, a maggior ragione, in un mercato così densamente regolamentato come quello finanziario, nel quale il potere di formazione unilaterale dei contratti è sottoposto a penetranti vincoli che attengono non soltanto al procedimento di formazione e al contenuto (neo-formalismo)[25], ma più in generale anche alle «funzioni di governo degli scambi»[26].
Ai fini del corretto inquadramento sistematico del rimedio civilistico da applicare (e del soggetto legittimato ad azionarlo in giudizio) occorre andare oltre l’autoevidente finalità di protezione della controparte consumatrice e focalizzarsi sulla funzione pubblica di cui è investito il finanziatore. Nei termini specificati appresso.
4. Finanziatori come gate-keepers, mandatari di funzioni di vigilanza. Nullità delle delibere assunte in violazione degli standard legali minimi di sicurezza per la commercializzazione di crediti ai consumatori.
Nel rapporto con il «consumatore» (nella nota accezione accolta dal codice del consumo e recepita dall’art. 121, lett. b, t.u.b.), la nozione di «finanziatore» non è sovrapponibile a quella generica di «professionista» di cui all’art. 3, lett. c, codice del consumo.
Mentre per la generalità dei professionisti (produttori di contratti in serie) il diritto speciale dei consumatori dà per presupposto l’interesse, anzi il diritto, di ridurre la fase precontrattuale alla mera fornitura standardizzata di informazioni non ingannevoli, per i finanziatori sono previsti puntuali doveri di interscambio informativo, allo scopo (dichiarato) di prevenire situazioni di sovraindebitamento ma anche (forse soprattutto) per evitare di ingolfare il sistema con crediti insostenibili[27].
Benché predisposti unilateralmente dal finanziatore, i contratti di credito non possono essere propriamente definiti «in serie» o «per adesione» sol perché concepiti per essere replicati tali e quali per un’ampia platea di clienti e senza margini di trattativa individuale. Il punto oltre il quale non è piú concesso di definirli tali è dato dalla valutazione del merito creditizio del singolo contraente, che ogni istituto si riserva di effettuare caso per caso; anzi, «è tenuto» a effettuare caso per caso, come previsto dall’art. 124-bis t.u.b., dopo un’approfondita conoscenza del cliente maturata in esecuzione degli interscambi informativi prescritti dall’art. 124 t.u.b.
Tali obblighi supplementari, che consentono di differenziare il finanziatore dal generico professionista, costituiscono parametri per valutare la professionalità dell’esercizio dell’attività bancaria. Infatti, l’art. 121, lett. f, t.u.b. definisce finanziatore il «soggetto che, essendo abilitato a erogare finanziamenti a titolo professionale, offre o stipula contratti di credito». I controlli sul possesso dei requisiti di professionalità, onorabilità ecc., indispensabili ai fini dell’autorizzazione allo stabilimento ex art. 106 t.u.b., non si arrestano alla fase preliminare, ma accompagnano l’istituto di credito autorizzato per tutta la vita. In quest’ottica, la concessione crediti in violazione degli artt. 124 e 124-bis t.u.b. potrebbe costituire un prodromo o un sintomo dell’esercizio abusivo della professione, per carenza di fatto dei requisiti minimi di professionalità imposti dal «nuovo» diritto di matrice europea del bonus argentarius.
La disciplina sul credito ai consumatori (tra le più nitide espressioni del c.d. diritto privato regolatorio)[28] responsabilizza i finanziatori assegnando loro mansioni di gate-keepers, cioè di supervisori dei varchi d’accesso al sistema finanziario. Il loro raggio d’azione non può essere più considerato illimitato e insindacabile sotto l’egida della libertà d’impresa[29], o soggetto alla sola supervisione delle Autorità pubbliche di vigilanza. In applicazione del principio di sussidiarietà, agli intermediari è assegnato il compito di esercitare la loro discrezionalità tecnica allo scopo di garantire una «supervisione di prossimità» che, nel rapporto con le controparti contrattuali, si traducono in una sorta di munus: un «agire funzionale» vincolato nei mezzi e nei fini da regole e princípi posti a presidio di interessi non disponibili[30]. Questo ruolo di «guardiania delegata»[31] trasforma i finanziatori da meri contraenti privati in supervisori/regolatori di ultimo livello, incaricati sì di emanare regole vincolanti (i contratti) ma soltanto al ricorrere di determinati presupposti di forma e di sostanza. E ciò ha certamente rilevanza per il diritto e per il processo civile.
Con il trasferimento dal centro alla periferia dei controlli sui varchi d’accesso al mercato, il singolo fabbricante di crediti si ritrova a svolgere funzioni simil-pubblicistiche in qualità di mandatario ex lege dell’Autorità di vigilanza. Perciò, sarebbe singolare se, in questa duplice veste di contraente e di regolatore/supervisore, si ritenesse il suo operato sottratto al vaglio di legittimità dell’Autorità giudiziaria ordinaria fino a quando un suo atto illecito non abbia cagionato danni economici al singolo consumatore.
Si tratta, piuttosto, di credere fino in fondo – al di là delle enunciazioni di principio – in un diritto privato regolatorio che impone di riconcettualizzare il ruolo del finanziatore: non più soltanto quale portatore di un fisiologico conflitto d’interessi con le controparti (da proteggere contro l’assunzione più o meno consapevole di impegni finanziari insostenibili)[32], ma soprattutto quale soggetto istituzionalmente appartenente al sistema di controllo sull’efficienza, sulla stabilità e sulla competitività del mercato.
Nella prospettiva fin qui delineata, perde gran parte del suo appeal la tesi tradizionale che contesta l’idoneità della violazione dell’obbligo di adeguata verifica del merito creditizio a determinare l’invalidità del contratto, ora in ragione della collocazione dell’illecito in sede precontrattuale ora perché reputato estraneo «alla struttura e al contenuto del negozio»[33]. A differenza del rimedio risarcitorio (che non si fonda sul divieto di adottare pratiche commerciali irresponsabili, salvo l’indennizzo ex post dei soli consumatori che siano in grado di dimostrare di avere sofferto un ingiusto depauperamento patrimoniale imputabile)[34], il rimedio invalidante previsto dal diritto nazionale ceco – e anche dal Code de la consommation francese, che promuove esplicitamente la «decadenza del diritto agli interessi» (décheance du droit aux intérêts)[35] – consente di espellere dal mercato il credito-prodotto difettoso, in tutto o in parte, con effetto retroattivo e in funzione marcatamente deterrente[36].
Come è noto, «le norme di struttura, o “metanorme”, regolano la procedura per la formazione di fonti: non vincolano la condotta dei privati a conformarsi ad un predeterminato modello (descritto nella fattispecie), ma enunciano le modalità con cui essi possono validamente porre in essere fonti di diritto»[37]. Dalla violazione di tali norme discende pacificamente la nullità del contratto. Quindi, coerentemente, la stessa nullità dovrebbe discendere dalla violazione da parte dei finanziatori delle norme imperative sugli standard minimi di sicurezza da adottare nel processo di produzione dei contratti di credito.
La crescente amministrativizzazione della disciplina (di derivazione europea) dei contratti bancari e finanziari dovrebbe portare a una rinnovata centralità del diritto e del processo civile anziché alla loro marginalizzazione, resistendo ai tentativi di rimessione in esclusiva dei controlli sull’efficienza e sulla correttezza degli scambi all’iniziativa (intermittente e poco controllabile in ottica democratica) delle Autorità pubbliche di vigilanza[38]. Come nel diritto amministrativo, così anche nel diritto privato regolatorio di matrice eurounitaria il carattere contra legem di un anello della catena procedimentale (per violazione degli standard di sicurezza minimi imposti dalla normativa di settore) dovrebbe comportare l’illegittimità quindi l’annullamento dell’atto deliberativo. Ciò a prescindere dalla realizzazione di un danno.
Dopodiché, il diritto privato generale e il diritto speciale dei consumatori permettono all’interprete di modellare il rimedio invalidante in modo da non frustrare l’interesse protetto[39]. Addirittura, nel nostro caso, l’art. 125-bis, comma 9, t.u.b. assicura testualmente che in caso di riconosciuta nullità del contratto (con caducazione ex tunc del diritto del finanziatore a qualsiasi pretesa creditoria) il consumatore possa provvedere alla restituzione delle sole somme utilizzate (senza l’aggiunta di interessi legali) non già in modalità «tutto e subito» ma «a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto»[40].
Alla luce di quanto sin qui osservato, per le violazioni degli artt. 124 e 124-bis t.u.b. il diritto italiano parrebbe attrezzato per mutuare dall’ordinamento francese il rimedio della décheance[41]. La domanda è se siano pronti anche i giuristi.
5. Conclusioni. Inidoneità del rimedio risarcitorio a fungere da sanzione effettiva, proporzionata e dissuasiva. Prospettive di trasposizione nell’ordinamento italiano.
Nella nuova direttiva sul credito ai consumatori (direttiva UE 2023/2225 – CCD II), l’art. 18 contiene alcuni elementi di novità rispetto al suo omologo nella direttiva 2008/48/CE (art. 8): la valutazione del merito creditizio deve essere «approfondita» ed «effettuata nell’interesse del consumatore, per evitare pratiche irresponsabili in materia di concessioni di prestiti e sovraindebitamento». Tali innovazioni stilistiche non spostano di molto i termini della discussione, se si considera – come si è osservato in apertura – che già nell’impianto della CCD I è considerato «importante» che i creditori «non concedano prestiti in modo irresponsabile», vale a dire «senza preliminare valutazione del merito creditizio»[42].
Né nella CCD I né nella CCD II, tuttavia, si trova indicata la procedura da seguire ai fini della corretta verifica della solvibilità prospettica del consumatore[43]; per questo, la giurisprudenza europea non ha potuto far altro che lasciare ampio spazio ai legislatori e alle corti nazionali ai fini della valutazione della correttezza delle pratiche di contatto attuate di volta in volta dagli istituti di credito. Quel che è certo – ha precisato la Corte di giustizia UE – è che la violazione dell’obbligo di corretta valutazione del merito creditizio non possa considerarsi «sanata» per il solo fatto che il consumatore abbia eseguito integralmente il contratto di credito secondo il pano di ammortamento o che lo stesso non abbia mosso alcuna obiezione sulla relativa validità durante il periodo di rimborso[44]. Questo perché «l’obbligo previsto all’articolo 8 della direttiva 2008/48 mira non solo a tutelare i consumatori contro simili rischi, ma anche a responsabilizzare i creditori e ad evitare la concessione di prestiti a consumatori non solvibili»[45].
In ragione di tale duplice finalità impressa dal diritto dell’Unione europea al divieto di erogazioni irresponsabili, la Corte di giustizia ha rimarcato di avere già avallato, in un precedente riguardante la stessa normativa ceca sul credito ai consumatori[46], la piena adeguatezza, anche in applicazione del principio di proporzionalità, della sanzione civilistica della nullità del contratto di credito con annessa decadenza del diritto del creditore di esigere il pagamento del corrispettivo pattuito.
Al cospetto di una così netta presa di posizione della Corte di giustizia europea (l’ennesima), legittimante l’applicazione di un rimedio invalidante/manutentivo quasi del tutto sovrapponibile a quello previsto dal codice civile italiano per il delitto di usura, viene da domandarsi quale sia la posizione della giurisprudenza italiana, alla quale il legislatore nazionale in sede di recepimento della direttiva ha scelto di non consegnare alcuna sanzione di contrato alle violazioni dell’art. 124 e 124-bis t.u.b.[47]. Poiché nella CCD I e nella CCD II è contemplato expressis verbis il divieto di concludere contratti in mancanza di un’adeguata valutazione del merito creditizio del consumatore, conviene cercare di comprendere (al di là del sospetto che l’obbligo di adottare sanzioni “efficaci, proporzionate e dissuasive” rivolto agli Stati membri dall’art. 23 della CCD I sia rimasto inadempiuto da parte dello Stato italiano) cosa impedisca alla giurisprudenza nostrana di applicare la nullità.
Per esigenze di brevità, si limiteranno i richiami a quattro esempi paradigmatici.
Primo. In un precedente non molto risalente, premesso in linea di principio che «la verifica circa il merito creditizio del cliente debba essere accurata e l’intermediario debba ispirare la propria condotta al principio di buona fede», un Collegio ABF ha tenuto a rimarcare che «ciò non può certo tradursi nel dovere dell’intermediario di impedire il sovraindebitamento del finanziato»[48].
Secondo. Nel 2017 il Collegio ABF di Roma rimise al Collegio di coordinamento la questione attinente all’interpretazione del termine «interessi» nella disposizione dell’art. 1815, secondo comma, c.c. («se nel contratto di mutuo sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi»). A giudizio del Collegio romano, data la natura sanzionatoria della regola, di stretta interpretazione, la nullità – quindi la ripetizione dell’indebito – avrebbe dovuto riguardare i soli interessi corrispettivi, senza intaccare gli altri oneri e spese associati al finanziamento. Va detto che tale tentativo di ridimensionamento della portata afflittiva della normativa antiusura è stato seccamente respinto dal Collegio di coordinamento con decisione n. 12830 dell’8 giugno 2018[49].
Terzo. In altra decisione quasi coeva, il Collegio di coordinamento dell’ABF, pur accettando la vincolatività del rimedio manutentivo stabilito dall’art. 125-bis, comma 6 e 7, lett. a, t.u.b. per il caso di omessa o inesatta indicazione del TAEG nei contratti di credito ai consumatori[50], non ha mancato di lamentare per inciso il carattere «eccessivamente afflittivo» della sanzione prevista in questo caso a carico delle banche dalla disciplina di derivazione europea[51].
Quarto. Sebbene l’art. 39 del DPR n. 180/1950, nel prevedere testualmente il divieto di stipulare più contratti di «cessione del quinto» in contemporanea o in stretta successione, presenti «tutte le caratteristiche di una norma imperativa di protezione dettata dal legislatore nell’interesse del cliente la cui violazione determina, come è noto, la nullità del contratto»[52], per il Collegio di coordinamento dell’ABF la norma in parola «sembra integrare» piuttosto «la violazione di norme comportamentali da parte dell’intermediario», con la conseguenza che essa non potrebbe fondare «un’ipotesi di nullità del contratto». Nonostante il tenore letterale dell’art. 39 cit. («È vietato di contrarre una nuova cessione prima che siano trascorsi almeno […]»), a giudizio del Supremo Collegio ABF «non sembra che l’ipotesi in esame» possa «rientrare tra le ipotesi […] che vietano la stipulazione del contratto». Tutt’al più, è stato conclusivamente osservato, «si deve ritenere che la violazione del disposto di legge in materia di termini minimi da rispettare per la stipulazione di un nuovo contratto di finanziamento in pendenza di un finanziamento precedente integri un illecito che legittima la pretesa risarcitoria del beneficiario del finanziamento»[53]. Ciò, sebbene la stessa Banca d’Italia già nella comunicazione del 10 novembre 2009 avesse avvertito gli intermediari vigilati che la «violazione sistematica» dell’art. 39 cit. sarebbe stata «valutata da questo Istituto come una grave violazione di norme di legge».
Come già rilevato nelle pagine precedenti, il rimedio risarcitorio non vieta la commissione dell’illecito, ma si limita a renderlo potenzialmente costoso[54]. Soltanto «potenzialmente» perché, non di rado, il danno è estremamente difficile da comprovare o richiede indagini difensive eccessive rispetto alla sua reale entità, spingendo perciò il danneggiato ad abbandonare in partenza la via contenziosa[55].
Di là dalla eccentricità di reputare inesistente il divieto di concludere contratti al cospetto di un esplicito divieto di legge, conviene conclusivamente riprendere alla lettera le argomentazioni della Corte di giustizia UE nella decisione del caso Nárokuj c. EC Financial Services a proposito dello scarso influsso deterrente del rimedio risarcitorio in questa particolare materia[56].
«Subordinare l’applicazione di una sanzione» prevista per la violazione di un esplicito divieto di legge «alla condizione che il consumatore abbia subito una conseguenza pregiudizievole» rischia di «favorire l’inosservanza, da parte dei creditori», della stessa norma di legge di cui è predicata in astratto l’effettività.
Non soltanto: «i finanziatori potrebbero essere in tal modo incentivati a non procedere ad una valutazione sistematica ed esaustiva del merito creditizio di tutti i consumatori ai quali concedono crediti, il che sarebbe contrario agli obiettivi di responsabilizzazione dei creditori e di prevenzione di pratiche irresponsabili al momento della concessione di crediti ai consumatori. Una siffatta interpretazione potrebbe, del resto, pregiudicare il carattere realmente dissuasivo della sanzione prevista».
Qualsiasi commento a margine di tale monito ne affievolirebbe l’eco.
[1] Causa C-755/22, Nárokuj s.r.o. contro EC Financial Services, a.s.
[2] Che richiede l’implementazione da parte degli Stati di «sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive», come reiterato dall’art. 44 della nuova direttiva (UE) 2023/2225 (CCD II).
[3] Nello stesso senso già Corte giust. UE, 6 giugno 2019, causa C-58/18, Schyns contro Belfius Banque, in Nuova giur. civ. comm., 2020, I, p. 89 ss., con nota di G. Liberati Buccianti, Merito creditizio e obbligo di non concludere il contratto.
[4] Corsivo aggiunto.
[5] Non diversamente, l’art. VII. 77, § 2, al. 1, del Code de droit économique belga prevede che «Le prêteur ne peut conclure de contrat de crédit que si, compte tenu des informations dont il dispose ou devrait disposer, il doit raisonnablement estimer que le consommateur sera à même de respecter les obligations découlant du contrat».
[6] La previsione in capo alla banca dell’obbligo di verifica del merito creditizio e del correlato divieto di erogare crediti in maniera irresponsabile ha fatto sorgere in dottrina più di qualche voce favorevole a costruire un’ipotesi di responsabilità precontrattuale per rifiuto immotivato di concedere credito. In argomento, in senso favorevole a un «diritto al credito» (sia pure ai soli fini risarcitori), v. F. Sartori, Deviazioni del bancario e dissociazione dei formanti, in Giust. civ., 2015, p. 615, secondo il quale «sia la mancata erogazione di un finanziamento, sia l’erogazione di un finanziamento inadeguato sono condotte censurabili in punto di valutazione del merito di credito, che non dovrebbero dunque essere prerogativa insindacabile del finanziatore. […] L’esercizio del credito è sì “attività di impresa”, caratterizzata però da un vincolo funzionale declinato alla luce dell’interesse perseguito, cioè l’interesse della collettività ad un ordinato accesso al credito. Che non è interesse al “credito facile”. Il vincolo che segna la legittimità o la patologia della scelta è precisamente la solvibilità del cliente. Non esiste un diritto di accesso al credito indiscriminato. Esiste però un diritto al credito, non una mera aspettativa, in presenza di adeguato merito creditizio». Contra, si vedano P. Abbadessa, Obbligo di far credito, in Enc. dir., vol. XXIX, Milano, 1979, p. 531, secondo il quale «l’obbligo di far credito è estraneo allo statuto dell’impresa bancaria», A. Mirone, L’apertura di credito, in G. Gitti, M. Maugeri e M. Notari (a cura di), I contratti per l’impresa. II. Banca, mercati, società, Bologna, 2012, p. 53, nonché (sia pure con qualche cauta apertura) R. Santagata, La concessione abusiva di credito al consumo, Torino, 2020, p. 61 s. In argomento, è utile richiamare il considerando n. 54 della CCD II: «Una valutazione positiva non dovrebbe pregiudicare la libertà contrattuale del creditore in relazione alla concessione del credito».
[7] Che si esaminerà infra, § 2.
[8] Corte giust. UE, Nárokuj c. EC Financial Services, cit., § 11 della sentenza.
[9] In tal caso, è verosimile che il lucro soggettivo perseguito di tale professionista del recupero-crediti coincida con la differenza tra l’importo omnicomprensivo eventualmente versato al consumatore ‘cedente’ e l’importo che sia in grado di conseguire per effetto delle eccezioni opposte al finanziatore ‘ceduto’.
[10] P. Perlingieri, Il consumatore tra liberismo e solidarismo, in Id., Il diritto dei contratti fra persona e mercato, Napoli, 2003, p. 307.
[11] Cfr. R. Di Raimo, Debito, sovraindebitamento ed esdebitazione del consumatore: note minime sul nuovo diritto del capitalismo postmoderno, in E. Llamas Pombo, L. Mezzasoma, U. Rana e F. Rizzo (a cura di), Il sovraindebitamento del consumatore tra diritto interno e ordinamenti stranieri, Napoli, 2018, p. 41, il quale suggerisce la «collocazione di un dovere di protezione dell’interesse del cliente “a mantenere un dignitoso tenore di vita” a epicentro della situazione soggettiva della parte professionale». Al contempo, va ribadito che le «procedure di superamento delle crisi da sovraesposizione debitoria ambiscono, fra le altre cose ma marcatamente, a prelevare i “cattivi pagatori” dal limbo dei soggetti “non bancabili” per portarli nuovamente nel novero dei “meritevoli”, a beneficio sicuramente dei produttori di beni o fornitori di servizi, certamente dell’industria del credito e, in ultimo, chiudendo il cerchio, forse anche degli stessi prenditori». Così F. Quarta, Credito irresponsabile e soluzioni al sovraindebitamento. Note su prassi bancarie «riottose al diritto», in E. Caterini, L. Di Nella, A. Flamini, L. Mezzasoma e S. Polidori (a cura di), Scritti in onore di Vito Rizzo, I, Persona, mercato, contratto e rapporti di consumo, Napoli, 2017, p. 1815 s.
[12] Non a caso, il primo intervento normativo sul problema del sovraindebitamento della persona fisica (l. 27 gennaio 2012, n. 3) è passato alla storia come «legge salva-suicidi». Per inciso: ai fini della prevenzione del sovraindebitamento, del tutto ininfluente appare la sanzione (meramente processuale) stabilita dall’art. 69, comma 2, del nuovo codice della crisi, secondo cui il creditore che abbia colpevolmente determinato la situazione di indebitamento o il suo aggravamento o che abbia violato i principi di cui all’articolo 124-bis t.u.b. non è ammesso a presentare opposizione o reclamo in sede di omologa per contestare la convenienza della proposta di ristrutturazione dei debiti presentata dal consumatore sovraindebitato.
[13] La regola è così radicata da rendere superflua qualsiasi citazione di dottrina. In giurisprudenza, per tutte, v. Cass., 9 marzo 2016, n. 4527.
[14] P. Perlingieri e P. Femia, Nozioni introduttive e principi fondamentali del diritto civile, 2a ed. amp. riv. e agg., Napoli 2004, pp. 13 ss. e 28 ss.
[15] Il legislatore italiano ha scelto di introdurre una sanzione (amministrativa) nel solo contesto del credito immobiliare ai consumatori. Infatti, l’art. 144, comma 1, lett. e-bis, t.u.b., inserito dall’art. 1, comma 9, lett. a, d.lgs. 21 aprile 2016, n. 72, richiama l’art. 120-undecies ma non l’art. 124-bis t.u.b. Anche in quel contesto, però, spicca l’assenza di un sistema di rimedi civilistici ad hoc attivabili in caso di mutui irresponsabili. In tal senso, da ultimo, anche F. Trapani, La nuova Direttiva 2023/2225/UE sul credito al consumo: note in tema di educazione finanziaria, merito di credito e servizi di consulenza sul debito, in Nuove leggi civ. comm., 2024, p. 754 ss. Suggerisce una lettura congiunta dei due distinti blocchi di disciplina M. Semeraro, Informazioni adeguate e valutazione del merito creditizio: opzioni interpretative nel credito ai consumatori, in Riv. dir. civ., 2021, p. 687 ss.
[16] O.O. Cherednychenko, Public Supervision over Private Relationships: Towards European Supervision Private Law?, in European Review of Private Law, 2014, p. 64: «Irresponsible lending in one country […] may not only hurt a vulnerable individual consumer who concluded a mortgage contract but, when such transactions are concluded on a large scale, also have global effects on the well-functioning of the financial markets and economies at large».
[17] L. Modica, Il credito ai consumatori, in Piraino e S. Cherti (a cura di), I contratti bancari, Torino, 2016, p. 292 ss. Ma cfr. P. Sirena, L’unione bancaria e il suo impatto sul rapporto tra intermediari e consumatori, in Econ. dir. terz., 2016, p. 41 ss., S. Pagliantini, Statuto dell’informazione e prestito responsabile nella direttiva 17/2014/UE, in Contr. impr./Eur., 2014, p. 532, A. Nigro, Linee di tendenza delle nuove discipline di trasparenza. Dalla trasparenza alla “consulenza” nell’erogazione del credito?, in Aa.Vv., Nuove regole per le relazioni tra banche e clienti. Oltre la trasparenza?, Torino, 2011, p. 38 ss., T. Febbrajo, La nuova disciplina dei contratti di credito “al consumo” nella dir. 2008/48/CE, in Giur. it., 2010, p. 223 ss., F. Quarta, Il credito ai consumatori tra contratto e mercato. Percorsi di studio sul prestito «responsabile», Napoli, 2020, p. 40 ss.
[18] P. Rott, Insufficient prevention of over-indebtedness. Legal and policy failures, in F. Ferretti (a cura di), Comparative perspectives of consumer over-indebtedness, L’Aja, 2016, p. 189 ss., ricorda che nell’ordinamento tedesco l’obbligo di valutazione del merito creditizio del consumatore, previsto dall’art. 8 CCD I, era stato inizialmente recepito soltanto nel contesto della disciplina pubblicistica di supervisione del mercato, ciò che avrebbe per lungo tempo precluso (stando a quanto riportato in O.O. Cherednychenko e J.M. Meindertsma, Irresponsible Lending in the Post-Crisis Era: Is the EU Consumer Credit Directive Fit for Its Purpose?, in Journal of Consumer Policy, 2019, vol. 42, p. 510) la possibilità per i privati di agire in giudizio finanche per reclamare il risarcimento del danno. Oggi, invece, il § 505d BGB, quale sanzione per la violazione dell’obbligo di verifica della solvibilità, prevede un meccanismo di sostituzione punitiva del corrispettivo originariamente pattuito in favore del finanziatore (assimilabile grossomodo a quello previsto in Italia (ma per altri fini) dall’art. 125-bis, comma 7, lett. a, t.u.b.): «(1) Hat der Darlehensgeber gegen die Pflicht zur Kreditwürdigkeitsprüfung verstoßen, so ermäßigt sich 1. ein im Darlehensvertrag vereinbarter gebundener Sollzins auf den marktüblichen Zinssatz am Kapitalmarkt für Anlagen in Hypothekenpfandbriefe und öffentliche Pfandbriefe, deren Laufzeit derjenigen der Sollzinsbindung entspricht und ein im Darlehensvertrag vereinbarter veränderlicher Sollzins auf den marktüblichen Zinssatz, zu dem europäische Banken einander Anleihen in Euro mit einer Laufzeit von drei Monaten gewähren. […] (2) Kann der Darlehensnehmer Pflichten, die im Zusammenhang mit dem Darlehensvertrag stehen, nicht vertragsgemäß erfüllen, so kann der Darlehensgeber keine Ansprüche wegen Pflichtverletzung geltend machen, wenn die Pflichtverletzung auf einem Umstand beruht, der bei ordnungsgemäßer Kreditwürdigkeitsprüfung dazu geführt hätte, dass der Darlehensvertrag nicht hätte geschlossen werden dürfen».
[19] In argomento, v. M. Sesta, Risarcimenti punitivi e legalità costituzionale, in Riv. dir. civ., 2018, p. 310, e S. Patti, Danno patrimoniale, in F.D. Busnelli e S. Patti, Danno e responsabilità civile, 3a ed., Torino, 2013, p. 19. Ma cfr. A. Nicita, Deterrenza, sanzioni e mercato, in M. Maugeri e A. Zoppini (a cura di), Funzioni e tecniche del diritto privato, Bologna, 2009, p. 27 ss., F. Denozza e L. Toffoletti, Funzione compensatoria ed effetti deterrenti dell’azione privata nel diritto antitrust, ivi, p. 197 ss., nonché F. Quarta, Risarcimento e sanzione nell’illecito civile, Napoli, 2013, p. 343 s.
[20] In merito al divieto testuale di stipulare più “cessioni del quinto” consecutive o contestuali (art. 39 D.P.R. n. 180/1950), liberamente inteso da una parte della giurisprudenza ordinaria e arbitrale quale mera regola di comportamento insuscettibile di comportare nullità del contratto, v. infra, ultimo §.
[21] La nozione di vizio giuridico, come difetto di conformità del prodotto, assume rilievo testuale nel contesto della direttiva (UE) 2019/770 sulla vendita di beni con elementi digitali, in particolar modo nell’intersezione con le norme in materia di protezione dei dati personali e dei diritti di privativa. In argomento, ex multis, v. C. Camardi, Prime osservazioni sulla direttiva (UE) 2019/770 sui contratti per la fornitura di contenuti e servizi digitali, operazioni di consumo e circolazione di dati personali, in Giust. civ., 2019, p. 513 ss., e A. De Franceschi, La vendita di beni con elementi digitali, Napoli, 2019, p. 84 ss.
[22] Sui potenziali danni al sistema finanziario derivanti dalla mancata valutazione del merito creditizio, v. Corte giust. UE, Schyns c. Belfius Banque, cit., § 46. Amplius, sul rilievo pubblicistico della tutela di interessi apparentemente «particolari», v. P. Femia, Interessi e conflitti culturali nell’autonomia privata e nella responsabilità civile, Napoli, 1996, pp. 103 ss. e 134 ss.
[23] ABF, Coll. Roma, 14 gennaio 2013, n. 289.
[24] Id.
[25] R. Di Raimo, Autonomia privata e dinamiche del consenso, Napoli, 2003, p. 81 ss.
[26] A. Gentili, La “nullità di protezione”, in Eur. dir. priv., 2011, p. 77 ss.
[27] O.O. Cherednychenko, Public Supervision over Private Relationships, cit. p. 64 (retro, nota 16).
[28] Ex multis, v. H.-W. Micklitz, Regulatory strategies on services contracts in EC law, in F. Caffaggi e H. Muir-Watt (a cura di), The Regulatory Function of European Private Law, Cheltenham/Northampton, 2009, p. 16 ss. V. pure A. Gentili, Il diritto regolatorio, in Riv. dir. banc., 2020, p. 23 ss.; A. Zoppini, Diritto privato generale, diritto speciale, diritto regolatorio, in Ars interpretandi, 2021, p. 37 ss.; C. Attanasio, Profili ricostruttivi del diritto privato regolatorio, Napoli, 2022, spec. p. 154 ss.; F. Denozza, Il mercato, e la sua tutela, tra diritto privato “relazionale” e diritto privato “regolatorio”, in Accademia, 2024, p. 127 ss.
[29] A sostegno dell’insindacabilità della valutazione del merito creditizio operata dagli intermediari si può citare la giurisprudenza costante dell’ABF: ex multis, v. Coll. Milano, 8 settembre 2016, n. 7539, Coll. Roma, 7 aprile 2016, n. 3134, e Coll. Napoli, 24 giugno 2015, n. 5044.
[30] R. Di Raimo, Ufficio di diritto privato e carattere delle parti professionali quali criteri ordinanti delle negoziazioni banca-ria e finanziaria (e assicurativa), in Giust. civ., 2020, p. 321 ss.
[31] F. Quarta, Il credito ai consumatori tra contratto e mercato, cit., pp. 50 ss. e 147 s.
[32] Correttamente O.O. Cherednychenko e J.M. Meindertsma, Irresponsible Lending in the Post-Crisis Era, cit., p. 512: «While lenders are best equipped to correct the consumer borrowers’ irrational preferences, in practice they often tend to take advantage of them when designing and distributing consumer credit products». Per andare oltre la descrizione fatalistica di prassi bancarie predatorie, anziché focalizzarsi su generici «fallimenti della regolazione» è più utile valorizzare quanto di buono è stato realizzato sul piano dell’enforcement in alcuni ordinamenti nazionali (per es., in quello tedesco, francese o in quello ceco, come illustrato nella causa C-755/22 che ha portato alla sentenza dell’11 gennaio 2024 della Corte di giustizia UE), elevando quelle prassi operative a modello per gli altri Stati membri. Per l’ordinamento tedesco, v. retro, nota 18; per l’ordinamento francese, v. infra, nota 35.
[33] R. Santagata, La concessione abusiva di credito al consumo, cit., p. 35 ss. V. pure, nello stesso senso, L. Modica, Tutela del sovraindebitamento incolpevole (l. 3/2012) o sanzione per omessa verifica del merito creditizio (art. 124 t.u.b.)? Il «piano del consumatore» in funzione punitiva, in Dir. civ. contemp., 2014, p. 6, secondo la quale «l’art. 124 bis t.u.b. in materia di merito creditizio […] non consente […] di enucleare un obbligo di erogazione selettiva dei finanziamenti a debitori meritevoli o, per converso, un divieto di concessione ‘abusiva’ del credito. Ed anche a voler riconoscervi una pur ridotta valenza in termini di responsabilità precontrattuale, il catalogo delle condotte astrattamente esigibili dal finanziatore prima dell’erogazione è quanto mai sfuggente da stilare in concreto, ed ancor più ostica è la prova in giudizio».
[34] Cfr. F. Quarta, Risarcimento e sanzione, cit., p. 201, ove è evidenziato che i rimedi risarcitori «non vietano la realizzazione di condotte lesive», ma «valgono fondamentalmente a direzionare flussi di cassa in conseguenza di un evento dannoso», mentre i rimedi con finalità puntivo-deterrente «presuppongono un divieto, insito nella singola regola oppure ricavabile all’esito di un’interpretazione sistematica, la cui inosservanza espone il responsabile non (necessariamente) a risarcimento del danno (eventualmente) cagionato, ma (prima di tutto) a sanzione».
[35] L’articolo L312-14 del codice del consumo francese (non diversamente dall’art. 124 t.u.b.) pone in capo al finanziatore una serie di obblighi precontrattuali affinché il consumatore sia reso edotto delle caratteristiche, della adeguatezza e della sostenibilità della proposta di credito. L’articolo L312-16 (omologo dell’art. 124-bis t.u.b.) stabilisce l’obbligo di verifica del merito creditizio. L’art. L341-2, in caso di violazione di tali obblighi, prevede la sanzione della caducazione del diritto del finanziatore a esigere gli interessi convenzionali: «Le prêteur qui n’a pas respecté les obligations fixées aux articles L. 312-14 et L. 312-16 est déchu du droit aux intérêts, en totalité ou dans la proportion fixée par le juge». In argomento si è espressa Corte giust. UE, 27 marzo 2014, causa C-565/12, LCL Le Crédit Lyonnais SA contro Fesih Kalhan.
[36] Corte giust. UE, caso Nárokuj c. EC Financial Services, cit., § 49 (infra, nota 56 e testo corrispondente).
[37] M. Orlandi, Le nullità civilistiche, Roma, 2012, pubblicazione online della Fondazione Nazionale del Notariato.
[38] Cfr. M. Angelone, Diritto privato «regolatorio», conformazione dell’autonomia negoziale e controllo sulle discipline eteronome dettate dalle authorities, in A. Federico e G. Perlingieri (a cura di), Il contratto, Napoli, 2019, p. 89 ss.; G. Berti de Marinis, I poteri conformativi delle Autorità di vigilanza in àmbito bancario e finanziario: l’impatto della product governance sulle imprese e sui contratti, in M. Angelone e M. Zarro (a cura di), Diritto civile della regolazione, Napoli, 2022, p. 113 ss.
[39] S. Polidori, Nullità di protezione e sistematica delle invalidità negoziali, Napoli, 2016, p. 55 ss. Amplius, P. Perlingieri, Il «giusto rimedio» nel diritto civile, in Giusto proc. civ., 2011, p. 3 s.
[40] Una dottrina commercialistica, invece, nega che dalla violazione del divieto legale di concludere contratti di finanziamento in assenza di adeguata verifica del merito creditizio possa derivare la nullità del contratto (R. Santagata, La concessione abusiva di credito al consumo, cit., p. 35 ss.). Ciò per diversi motivi: anzitutto perché difetterebbe «un esplicito dovere di astensione dell’intermediario dalla stipula del finanziamento ove l’esito della verifica del merito creditizio del cliente sia negativo»; inoltre, perché «la preventiva valutazione di solvibilità» non costituirebbe mai un «elemento intrinseco della struttura e del contenuto del negozio tale da giustificare l’operatività […] della nullità virtuale o della nullità di protezione»; infine «soprattutto» perché «l’applicazione del rimedio della nullità del contratto di credito sortirebbe esiti paradossali in quanto, anziché salvaguardare il debitore ed i suoi creditori “diligenti”, gioverebbe al solo intermediario colpevole dell’imprudente erogazione del credito». Secondo questo a., neppure la soluzione rimediale offerta dall’art. 125-bis, comma 9, t.u.b. (cit. nel corpo del testo) favorirebbe il consumatore in sofferenza economica, il quale si ritroverebbe asseritamente «disincentivato ad una sollecita rilevazione della propria incapacità di rimborso del finanziamento». L’a. espone un motivo in più contro la tesi della nullità: «gli immediati effetti restitutori comunque derivanti dalla nullità del contratto» (che il pur menzionato art. 125-bis, comma 9, t.u.b. si occupa di neutralizzare), «nel rapporto tra i diversi creditori del sovvenuto, privilegerebbero l’intermediario negligente che, in quanto titolare di un credito di restituzione per indebito oggettivo, resterebbe sottratto alla procedura concorsuale di sovraindebitamento ed al conseguente eventuale effetto esdebitativo, cui sarebbero invece esposti i soli creditori “diligenti”». Tale elaborazione dottrinale (posta tra le premesse di un pur ponderoso studio monografico) non convince per diversi motivi. Uno su tutti: in quanto nullità «di protezione» e «relativa» (la cui rilevabilità ex officio, peraltro da escludersi nell’ambito di una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, non potrebbe mai condurre a un intervento contrario agli interessi del consumatore: sul punto v. Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243), essa presenta il vantaggio che il consumatore non potrebbe mai «subirla». Pertanto, a fronte di una condizione di sovraindebitamento, il professionista che (inevitabilmente) assiste il consumatore saprà spiegargli se convenga intraprendere individualmente un’azione civile contro il finanziatore o puntare al bersaglio grosso dell’esdebitazione all’esito di un piano per la ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 67 s. del nuovo codice della crisi. Per amore di argomentazione, quand’anche un’azione civile individuale fosse stata intrapresa, al consumatore sarebbe comunque concesso di rinunziarvi per dedicarsi, tramite un o.c.c., alla procedura di ristrutturazione dei debiti soggetta a omologazione giudiziale.
[41] Retro, nota 35.
[42] Considerando n. 26 CCD I, riproposto con integrazioni nei considerando 53 e 54 nonché nell’art. 18 della CCD II.
[43] Corte giust. UE, 18 dicembre 2014, causa C‑449/13, CA Consumer Finance SA contro Bakkaus et al., § 36.
[44] Corte giust. UE, Nárokuj c. EC Financial Services, cit., § 37.
[45] Id., § 46.
[46] Corte giust. UE, 5 marzo 2020, causa C‑679/18, OPR-Finance s.r.o. contro GK, § 30.
[47] Retro, nota 15 e testo corrispondente.
[48] ABF, Coll. Milano, 3 novembre 2016, n. 9786.
[49] Ripercorso l’insegnamento della Corte di Cassazione (ex multis, Cass., Sez. un., 19 ottobre 2017, n. 24675), il Collegio di coordinamento dell’ABF ha rimarcato che nella nozione di interesse corrispettivo rilevante ai sensi dell’art. 644 c.p. sono da includere le commissioni, le spese e tutte le remunerazioni collegate «a qualsiasi titolo» alla erogazione del credito, con esclusione delle sole imposte e tasse. Secondo una parte della dottrina, la regolamentazione dell’usura dovrebbe avere una diversa incidenza a seconda che il rapporto di finanziamento corra o meno con un istituto di credito. In tal senso si richiamano A. Palmieri, Usura e sanzioni civili: un meccanismo già usurato?, in Foro it., 1998, I, c. 1612 ss., e S. Polidori, Discipline delle nullità e interessi protetti, Napoli, 2001, p. 246 s. V. pure M. Semeraro, Gli interessi monetari. Utilitas temporis, capitale e scelte di sistema, Napoli, 2013, pp. 251 ss. e 283 s. Amplius, si vedano V. Farina, Gli interessi “usurari” ed il costo globale del credito, in Riv. dir. banc., 2020, p. 175 ss., nonché gli scritti di S. Pagliantini, G. D’Amico, F. Piraino e U. Salanitro, in G. D’Amico (a cura di), Gli interessi usurari. Quattro voci su un tema controverso, Torino, 2016.
[50] L’art. 125-bis, comma 7, lett. a, t.u.b. è così formulato: «Nei casi di assenza o di nullità delle relative clausole contrattuali: a) il TAEG equivale al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto. Nessuna altra somma è dovuta dal consumatore a titolo di tassi di interesse, commissioni o altre spese».
[51] ABF, Coll. coord., 26 luglio 2018, n. 16291, § 8.2 delle motivazioni.
[52] Così, ABF, Coll. Roma, 6 settembre 2013, n. 4588. Sul tema delle «cessioni del quinto», ex multis, v. U. Malvagna, Nel focus del credito al consumo: gli oneri economici della “cessione del quinto”, in Riv. dir. civ., 2015, p. 1532 ss. Per un esame della disciplina “post-Lexitor”, v. G. Mattace, ABF e consumatori: le recenti tendenze in materia di cessione del quinto dello stipendio, in Actualidad Jurídica Iberoamericana, 2022, p. 1778 ss.
[53] Si nota, in questo estratto del Collegio di coordinamento, l’adozione della distinzione tra regole di comportamento e regole di validità, riportata in auge nel diritto dell’intermediazione finanziaria da Cass., Sez. un., 19 dicembre 2007, n. 27624, che si legge, inter alios, in Danno e resp., 2008, p. 525, con nota di E. Roppo, La nullità virtuale del contratto dopo la sentenza Rordorf. Il richiamo a tale precedente di legittimità (di per sé criticabile, ma per altri versi, su cui G. Perlingieri, L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità nel diritto italo-europeo, Napoli, 2013, passim) si mostra inappropriato in subiecta materia, poiché il divieto testuale di concludere nuovi contratti, imposto dall’art. 39 cit., non consente di chiamare in causa l’istituto della nullità «virtuale».
[54] Retro, nota 34 e testo corrispondente.
[55] F. Sartori, Informazione economica e responsabilità civile, Padova 2011, p. 293: «a fronte di una perdita patrimoniale (sovente esigua)», il danneggiato «non ha un interesse vibrante all’azione e dunque alimenta, con il suo “razionale disinteresse”, comportamenti opportunistici».
[56] Corte giust. UE, caso Nárokuj c. EC Financial Services, cit., § 49.