Il 4 ottobre ultimo scorso, il Consiglio dei ministri ha approvato, in esame preliminare, uno schema di decreto legislativo di attuazione della Direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, recante modifiche alla Direttiva 2013/34/UE in ordine alla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni[1] (cfr. contenuti correlati).
Nella prospettiva europea, questo intervento normativo ha la finalità di innalzare, negli Stati membri, il livello di trasparenza delle informazioni sociali e ambientali fornite dalle imprese di tutti i settori, al fine, tra l’altro, di individuare i rischi per la sostenibilità e accrescere la fiducia degli investitori e dei consumatori.
A tal fine, lo schema del decreto legislativo in commento, a partire dal 1° gennaio 2017, imporrebbe ai soggetti che rientrano nel suo ambito di applicazione (gli enti di interesse pubblico[2], tra cui le banche, le società i cui valori immobiliari sono negoziati in mercati regolamentati e le società di assicurazione e riassicurazione) di redigere annualmente, su base individuale o consolidata, una dichiarazione recante informazioni non finanziarie c.d. “rilevanti” (la “Dichiarazione”), riguardanti temi di particolare attualità, quali: la salvaguardia dell’ambiente, la gestione del personale, il rispetto dei diritti umani e la lotta contro la corruzione attiva e passiva (le “Informazioni di carattere non finanziario”).
In particolare, nella Dichiarazione l’ente obbligato sarà tenuto, con riferimento ai temi di cui sopra, a:
- descrivere: i) il proprio modello di gestione e organizzazione; ii) le politiche applicate; iii) i risultati conseguiti; e iv) i rischi connessi che derivano “dalle attività dell’impresa, dai suoi prodotti, servizi o rapporti commerciali, incluse, ove rilevanti, le catene di fornitura e subappalto”;
- indicare: i) se vengono utilizzate risorse energetiche e idriche; ii) se vengono emessi gas ad effetto serra o vi siano altre emissioni inquinanti in atmosfera; iii) qual è l’impatto, anche a medio termine, sull’ambiente, nonché sulla salute e sulla sicurezza, associato ai fattori di rischio; iv) le eventuali “azioni poste in essere per garantire la parità di genere, le misure volte ad attuare le convenzioni di organizzazioni internazionali e sovranazionali in materia, e le modalità con cui è realizzato il dialogo con le parti sociali”; v) “le misure adottate per prevenire le violazioni dei diritti umani, nonché le azioni poste in essere per impedire atteggiamenti ed azioni comunque discriminatori”; e vi) gli strumenti adottati nella lotta contro la corruzione sia attiva che passiva.
Ove l’ente non pratichi politiche in relazione a uno o più degli ambiti sopra indicati, sarà tenuto a fornire comunque, in modo chiaro e articolato, le motivazioni di tale scelta nella Dichiarazione, che dovrà, inoltre, contenere un raffronto con le Informazioni di carattere non finanziario fornite negli esercizi precedenti[3].
Nel complesso, si tratta senza dubbio di un intervento positivo, in quanto, da un lato, consente agli investitori, ai consumatori e, in generale, a tutti gli stakeholders, di disporre di un quadro completo delle politiche adottate dalla società, dei risultati e dei rischi connessi a temi di rilevante impatto sociale e, quindi, di valutare e comprendere meglio l’attività d’impresa e il suo andamento, soprattutto in termini potenziali e prospettici.
Da altro lato, le società interessate, pur se gravate da ulteriori adempimenti in un contesto regolamentare già di per sé complesso, potrebbero trarre alcuni vantaggi competitivi da questo novellato quadro normativo, che stimola importanti riflessioni sulla sostenibilità nel lungo termine e sul valore (o disvalore) che ne può conseguire.
Profili soggettivi
La Dichiarazione dovrà essere fornita, su base individuale, dagli enti di interesse pubblico che, nell’ultimo esercizio, abbiano avuto in media più di 500 dipendenti[4] e che, alla data di chiusura dell’ultimo bilancio, abbiano superato almeno uno dei seguenti limiti: (i) totale dello stato patrimoniale: 20.000.000 di euro e (ii) totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40.000.000 di euro.
Qualora tali enti siano “società madri[5] di un gruppo di grandi dimensioni”, la Dichiarazione dovrà essere fornita su base consolidata[6]. In questo caso, dovrà includere i dati della società madre e delle sue società figlie[7] consolidate integralmente, al fine di favorire la comprensione da parte degli investitori e dei consumatori dell’andamento del gruppo, delle sue politiche e dei rischi a queste connessi.
Profili oggettivi
Per quanto attiene alle modalità di redazione delle Informazioni di carattere non finanziario, lo schema del decreto legislativo riconosce ampia flessibilità nella scelta dello “standard” di rendicontazione[8]. Una volta scelto, l’ente dovrà specificare nella Dichiarazione quale sia quello utilizzato e, se diverso da quello adottato nell’esercizio precedente, sarà tenuto a precisarne le ragioni[9]. Anche qualora l’ente optasse per una “metodologia autonoma di rendicontazione[10]”, dovrà fornirne una chiara ed articolata descrizione e esplicitare le ragioni di tale preferenza. Parimenti, dovranno essere descritti gli eventuali cambiamenti intervenuti rispetto agli esercizi precedenti, argomentandoli.
Sarà interessante vedere come si svilupperanno in futuro i contenuti degli “standard di rendicontazione”, dai quali molto dipende la portata, in termini di efficacia, delle Informazioni di carattere non finanziario rese nella Dichiarazione.
Ruoli, responsabilità e sanzioni
Compete agli amministratori dell’ente, che dovranno agire secondo criteri di professionalità e diligenza, il compito di redigere e pubblicare la Dichiarazione in conformità a quanto previsto dalla normativa, sentito l’organo di controllo, cui spetta la rilevazione di eventuali omissioni o irregolarità.
Il Governo, diversamente dal Legislatore Europeo (che nulla ha prescritto a riguardo) ha previsto sanzioni per i trasgressori. Pertanto, qualora gli amministratori dell’ente omettessero di depositare nei termini la Dichiarazione o di allegarvi l’attestazione di conformità delle informazioni ivi fornite (oppure se la Dichiarazione contenesse fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero, in generale, omettesse fatti materiali rilevanti) saranno passibili di sanzioni pecuniarie.
L’Autorità competente ad irrogare le sanzioni, che vanno da 20 mila Euro a 150 mila Euro, è la Consob.
In questo contesto, solleva qualche perplessità la previsione che impone una verifica obbligatoria – affidata a soggetti esterni – dell’avvenuta predisposizione della Dichiarazione, in quanto ciò potrebbe comportare oneri economici che, invece, potrebbero non essere, ragionevolmente, sostenuti da imprese concorrenti con sedi in altri Stati europei.
La verifica di cui sopra, in ogni caso, dovrà essere affidata al soggetto incaricato di effettuare la revisione legale del bilancio[11]. Con apposita relazione, distinta da quella di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, e che andrà allegata alla Dichiarazione e pubblicata congiuntamente alla stessa, il soggetto certificatore sarà tenuto ad esprimere un’attestazione sulla conformità delle informazioni fornite nella Dichiarazione rispetto a quanto richiesto dal decreto legislativo, nonché rispetto ai principi, alle metodologie e alle modalità ivi previste.
In caso di omissioni nella verifica o nell’attestazione, le sanzioni previste sono state comprese, rispettivamente, tra 20 mila e 50 mila Euro e tra 20 mila e 100 mila Euro. Parimenti, qualora il soggetto incaricato attestasse la conformità della dichiarazione, ma questa non fosse conforme al decreto, la sanzione sarebbe da 20 mila a 100 mila Euro.
Facoltà di omissione
Lo schema di decreto, in linea con quanto disposto dall’art. 1, paragrafo 1, comma 1, lett. e) della Direttiva 2014/95/UE, ha opportunamente riconosciuto agli enti la facoltà di non fornire, in casi eccezionali, “informazioni concernenti gli sviluppi imminenti o le operazioni in corso di negoziazione, qualora la loro divulgazione possa compromettere gravemente la posizione commerciale dell’impresa”. Il decreto precisa, tuttavia, che restano fermi gli obblighi discendenti dall’ammissione o dalla richiesta di ammissione di valori mobiliari alla negoziazione in un mercato regolamentato e che è, comunque, necessaria al riguardo una preventiva deliberazione motivata dell’organo di amministrazione, sentito l’organo di controllo.
Qualora l’ente si avvalesse di tale facoltà, andrà esplicitato nella Dichiarazione.
L’esenzione di cui sopra non è, comunque, ammessa se tale da “pregiudicare una comprensione corretta ed equilibrata dell’andamento dell’impresa, dei suoi risultati e della sua situazione, nonché degli impatti prodotti dalla sua attività in relazione” all’ambiente, alla gestione del personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta alla corruzione.
Collocazione e pubblicazione della Dichiarazione
La Dichiarazione, sia essa individuale o consolidata, potrà, a discrezione dell’ente: i) essere inclusa nella Relazione sulla gestione di cui all’art. 2428 del Codice Civile (o all’art. 40 del D. Lgs. 127/1991[12])[13] e costituirne una “specifica” sezione, oppure ii) costituire una relazione distinta (contraddistinta comunque da analoghe diciture).
Inoltre, le Informazioni di carattere non finanziario potranno essere riportate nella sezione “specifica” della Relazione sulla gestione direttamente o per rinvio ad altre sezioni, precisando dove siano reperibili sul sito internet dell’ente.
La Dichiarazione è poi oggetto di pubblicazione presso il registro delle imprese, congiuntamente alla Relazione sulla gestione. Tale contemporaneità è un aspetto potenzialmente critico, sul quale sarebbe opportuno un ripensamento, in quanto il Governo, così facendo, ha introdotto un termine “rigido” non in linea con le indicazioni del Legislatore Europeo. La Direttiva 2014/95/UE richiede, infatti, in parte, agli Stati membri “di imporre la pubblicazione entro un termine ragionevole, non superiore ai sei mesi successivi alla data del bilancio”, la cui ratio è di favorire un approccio più flessibile rispetto a novità normative “sensibili”, che richiedono tempi ragionevoli per essere assimilate, soprattutto in fase di prima applicazione.
Al riguardo, vale, ad esempio, la pena di riflettere sul fatto che, attualmente, i tempi imposti dalla BCE alle banche di maggiori dimensioni per produrre il bilancio sono molto più stringenti rispetto al passato e paiono poco compatibili con la contestuale raccolta anche delle informazioni non finanziarie. L’eccessiva onerosità di adempimenti concomitanti potrebbe, tra l’altro, andare a discapito dell’efficienza organizzativa e della qualità delle Dichiarazioni.
Dichiarazione volontaria
Il decreto estende il proprio ambito di applicazione anche alle imprese che non raggiungano i limiti di soglia sopra descritti, prevedendo la possibilità che redigano e pubblichino la Dichiarazione su base volontaria[14], inserendo una dicitura di conformità al decreto quando rispettino determinate condizioni[15], stimolando le imprese “virtuose” a dimostrare la propria solidità e appetibilità.
Novità riguardanti le politiche di genere
Lo schema di decreto in esame prevede un’importante modifica all’articolo 123-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (“TUF”).
In particolare, stabilisce che nella “Relazione sul governo societario e gli assetti proprietari”, tra le informazioni ivi prescritte, si aggiunga : “una descrizione delle politiche in materia di diversità applicate in relazione alla composizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo relativamente ad aspetti quali l’età, la composizione di genere e il percorso formativo e professionale, nonché una descrizione degli obiettivi, delle modalità di attuazione e dei risultati di tali politiche. Nel caso in cui nessuna politica sia applicata, la società motiva in maniera chiara e articolata le ragioni di tale scelta”.
Sarebbe auspicabile, a tal riguardo, che, in fase di stesura definitiva del decreto, il Legislatore, per promuovere adeguate politiche di genere, richiedesse, altresì, di fornire nella Relazione sulla remunerazione indicazioni puntuali per misurare il gap retributivo tra uomini e donne, favorendo, per l’effetto, interventi correttivi da parte delle aziende laddove emergessero scostamenti ingiustificati.
A tal riguardo, sarebbe altresì auspicabile che si includessero tra le società tenute a rendere tali informazioni anche “le società che alla data di chiusura dell’esercizio di riferimento non superano almeno due dei seguenti parametri: a) totale dello stato patrimoniale: 20.000.000 di euro; b) totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40.000.000 di euro; c) numero medio di dipendenti durante l’esercizio finanziario pari a duecentocinquanta”, che risultano, al momento, escluse dallo schema di decreto.
Conclusioni
Sono stati sopra riportati, in sintesi, i principali contenuti dello schema di decreto, sul quale rimaniamo in attesa di esaminare la versione definitiva, che si auspica venga adottata in tempi brevi, anche in considerazione della data prevista, ormai imminente, della sua entrata in vigore (1° gennaio 2017).
[1] Ai sensi dell’art. 4 della Direttiva 2014/95/UE gli stati membri sono tenuti “a mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi” alla stessa, entro il 6 dicembre 2016. A tal fine, è stata emanata la legge 9 luglio 2015, n. 114, recante delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione degli altri atti dell’Unione Europa (legge di delegazione europea 2014), pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 31 luglio 2015, n. 176.
[2] Per maggior completezza, per l’individuazione degli “enti di interesse pubblico”, si rinvia all’art. 16 comma 1 del D.lgs. 39/2010.
[3] Si segnala che, sulla base delle disposizioni dello schema di decreto, in sede di prima applicazione, gli enti di interesse pubblico obbligati o “volontari” potranno “fornire un raffronto solo sommario e qualitativo rispetto agli esercizi precedenti”.
[4] Si sottolinea che nella Direttiva 2014/95 UE si fa riferimento a “dipendenti occupati in media durante l’esercizio”.
[5] A livello lessicale, sarebbe forse opportuno che il Legislatore, in sede di stesura definitiva del decreto, rivedesse il termine “madri” sostituendolo con altro più coerente con la nomenclatura tipica dell’ordinamento nazionale, ad esempio, “capogruppo”.
[6] A tal riguardo, si segnala che lo schema di decreto prevede che l’ente tenuto a redigere la Dichiarazione su base consolidata non sia soggetto a redigere la Dichiarazione su base individuale. Inoltre, tale ente e le sue eventuali società figlie sono considerate ricomprese nella Dichiarazione consolidata resa da “a) un’altra società madre soggetta ai medesimi obblighi o; b) da una società madre europea che redige tali dichiarazioni ai sensi e conformemente agli articoli 19-bis e 29-bis della direttiva 2013/34/UE.”
È altresì previsto che“un ente di interesse pubblico che è società madre di un gruppo di grandi dimensioni non è soggetto all’obbligo di redigere” la Dichiarazione su base consolidata “qualora tale ente di interesse pubblico” sia “anche una società figlia ricompresa nella dichiarazione consolidata di carattere non finanziario resa da: a) una società madre soggetta ai medesimi obblighi o; b) una società madre europea che redige tali dichiarazione ai sensi e conformemente agli articoli 19-bis e 29-bis della direttiva 2013/34/UE.”
[7] Come già evidenziato nella nota 5) relativamente al termine “madri”, anche con riguardo al termine “figlie” sarebbe opportuno che il Legislatore, in sede di stesura definitiva del decreto, sostituisse tale termine con altro più coerente con la nomenclatura tipica dell’ordinamento nazionale, ad esempio, “partecipate”.
[8] Si tratta degli “standard e delle linee guida che vengono emanati da autorevoli organismi sovranazionali, internazionali o nazionali, di natura pubblica o privata, funzionali, in tutto o in parte, ad adempiere agli obblighi di informativa non finanziaria”.
[9] In coerenza con la disciplina del comply or explain.
[10] Si tratta dell’“insieme composito, costituito da uno o più standard di rendicontazione e dagli ulteriori principi, criteri ed indicatori di prestazione, autonomamente individuati ed integrativi rispetto a quelli previsti dagli standard di rendicontazione adottati, che risulti funzionale ad adempiere agli obblighi di informativa non finanziaria”.
[11] E non invece al “fornitore indipendente di servizi di verifica” come previsto dalla Direttiva 2014/95/UE.
[12] In caso di dichiarazione consolidata.
[13] Per le società che renderanno la dichiarazione individuale o consolidata, si riterranno assolti gli obblighi previsti dall’art. 2428 del Codice Civile e dall’art. 40 comma 1 bis del D. Lgs. 127/1991, limitatamente all’analisi delle informazioni di carattere non finanziario.
[14] In particolare, le dichiarazioni volontarie potranno essere redatte “tenendo conto delle dimensioni in termini di numero e di dipendenti, di valori di bilancio e dello svolgimento o meno di attività transfrontaliera, secondo criteri di proporzionalità, in modo che non sia comunque compromessa la corretta propensione dell’attività svolta, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto prodotto”.
[15] Lo schema di decreto prevede che chi renderà su base volontaria la Dichiarazione potrà “derogare alle disposizioni sull’attività di controllo” del soggetto chiamato a certificare la conformità e “comunque riportare la dicitura di conformità al decreto purché: a) la dichiarazione indichi chiaramente, sia nell’intestazione e sia al suo interno, il mancato assoggettamento della stessa alla citata attività di controllo; b) alla data di chiusura dell’esercizio di riferimento siano soddisfatti almeno due dei seguenti limiti dimensionali: 1) numero di dipendenti durante l’esercizio inferiore a duecentocinquanta; 2) totale dello stato patrimoniale inferiore a 20.000.000 di euro; 3) totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni inferiore a 40.000.000 di euro.”