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Attualità

Prime osservazioni dell’Agenzia delle Entrate sul trasferimento di residenza nel territorio dello Stato

11 Agosto 2016

Raniero Spaziani

Di cosa si parla in questo articolo

Con la risoluzione n. 69/E del 5 agosto scorso (cfr. contenuti correlati), l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla disciplina contenuta nell’art. 166-bis del TUIR, recentemente introdotto dall’art. 12 del D.Lgs. n. 147/2015 (cosiddetto “Decreto Internazionalizzazione”).

La disposizione sopra citata, è volta a regolamentare il trasferimento della residenza in Italia di soggetti non residenti e, soprattutto, introduce un criterio per attribuire il valore di ingresso alle attività e passività trasferite. Tale ultimo aspetto appare di notevole importanza, dal momento che fino all’entrata in vigore dell’art. 166-bis il legislatore italiano non aveva fornito alcuna espressa indicazione in merito alla valorizzazione dei beni migrati in Italia, ed i principali indirizzi interpretativi erano rinvenibili unicamente nella prassi amministrativa (cfr. Ris. Min. n. 345/E/2008).

L’art. 166-bis colma pertanto tale vuoto normativo, disponendo che per i soggetti che esercitano imprese commerciali e che trasferiscono la residenza in Italia ai fini delle imposte sui redditi viene previsto il riconoscimento, quale valore fiscale di ingresso nell’ordinamento tributario italiano, del valore normale delle attività e passività trasferite determinato ai sensi dell’art. 9 del TUIR.

Il criterio sopra indicato si applica qualora il soggetto che trasferisce la residenza provenga da uno Stato o territorio incluso nella lista di cui all’art. 11, comma 4, lett. c) del D.Lgs. n. 239/1996, relativa agli Stati o territori che garantiscono un adeguato scambio di informazioni. Regole diverse sono previste per soggetti provenienti da Stati o territori diversi da quelli poc’anzi citati, per i quali il valore normale può essere adottato solo a seguito di un ruling con l’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’art. 31-ter del D.P.R. n. 600/1973; in mancanza di tale accordo il valore fiscale delle attività e passività trasferite è assunto, per le attività, in misura pari al minore tra il costo di acquisto, il valore di bilancio e il valore normale, determinato ai sensi dell’articolo 9, mentre per le passività, in misura pari al maggiore tra questi.

La relazione illustrativa al Decreto Internazionalizzazione evidenzia come l’adozione del valore normale sia prevista anche in assenza di applicazione di una eventuale “exit tax” da parte dello Stato estero, ed ha pertanto una valenza generale. Come osservato anche dalla dottrina, l’approccio adottato dal legislatore appare in linea con il principio secondo cui l’Italia esercita la propria sovranità fiscale solo sui plusvalori maturati in Italia, a prescindere dalla valorizzazione che i beni migrati avevano nello Stato estero di provenienza.

La risoluzione in commento si segnala in ogni caso per aver preso posizione su alcuni aspetti operativi legati al trasferimento di residenza in Italia, le cui criticità erano state peraltro diffusamente evidenziate, oltreché dalla dottrina, anche dalla prassi di settore (cfr. ad es. Assonime, Nota Tecnica n. 9/2015; Circolare Informativa del Consorzio Studi e Ricerche Fiscali del Gruppo Intesa SanPaolo n. 5/2015) ed a livello parlamentare (cfr. Interrogazione n. 5-08068 del 10.3.2016).

Ma andiamo con ordine. Con riguardo ad una fusione per incorporazione di una holding lussemburghese da parte di un soggetto residente in Italia, venivano formulati i seguenti tre quesiti:

  1. se le società di capitali costituite in Stati UE potessero essere ricondotte tra i soggetti che esercitano imprese commerciali di cui all’art. 166-bis del TUIR, anche a prescindere dal tipo di attività esercitata;
  2. se la disposizione sopra citata fosse estendibile anche ai trasferimenti nel territorio dello Stato avvenuti mediante operazioni straordinarie, quali la fusione;
  3. se il criterio di cui all’art. 166-bis dovesse essere utilizzato anche per quelle attività e passività che a seguito della fusione non vengano iscritte in bilancio (ad esempio, perché totalmente ammortizzate), ovvero vengano iscritte per un importo inferiore al valore normale.

Nel confermare l’interpretazione prospettata dal contribuente, l’Agenzia delle Entrate fornisce le seguenti osservazioni:

  1. con riguardo al primo quesito, si evidenzia come il riferimento ai soggetti esercenti impresa commerciale menzionato nell’art. 166-bis riguardi tutti i titolari di reddito d’impresa in base all’ordinamento domestico, a prescindere dall’attività concretamente posta in essere.
    Si tratta a ben vedere di un’interpretazione estremamente ampia, in ossequio alla quale non osta pertanto all’applicazione dell’art. 166-bis il fatto che il soggetto che trasferisce la propria residenza in Italia sia una holding di partecipazioni, priva verosimilmente di una vera e propria struttura funzionale all’esercizio di un’attività commerciale.
    Ad ulteriore supporto dell’interpretazione fornita, l’Agenzia evidenzia come le regole sul trasferimento di residenza in Italia perseguano finalità diverse rispetto a disposizioni come quelle in materia di participation exemption (che riguardano invece la circolazione di “vere” aziende), o rispetto alle norme in materia di CFC, che presentano invece una matrice antielusiva.
  2. in relazione al secondo quesito, viene sancita la totale equiparazione tra l’ingresso in Italia operato a seguito di un trasferimento di residenza, e l’ipotesi in cui la migrazione venga realizzata in conseguenza di un’operazione di aggregazione aziendale con un soggetto residente.
    Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, infatti, il legislatore non ha inteso operare alcuna preclusione in merito alle modalità con cui viene trasferita la residenza in Italia, e che preminente rilievo vada pertanto attribuito agli aspetti sostanziali con cui avviene tale operazione, piuttosto che al modo o agli aspetti formali con cui è posta in essere.
  3. per quanto attiene invece al terzo ed ultimo quesito, la Risoluzione rileva che il valore normale ex art. 9 del TUIR può essere riconosciuto anche se i beni della società incorporata/trasferita non sono più presenti in bilancio, o nel caso in cui il valore contabile sia inferiore al fair value.
    Al ricorrere di tale ipotesi, la deduzione delle quote di ammortamento fiscale verrà operata ai sensi dell’art. 109, comma 4, lett. b), del TUIR, che consente la deduzione di componenti negativi che pur non essendo imputati a conto economico sono deducibili per disposizioni di legge.
    Ad avviso dell’Amministrazione Finanziaria, una specifica indicazione in tal senso è rinvenibile proprio nell’art. 12 del Decreto Internazionalizzazione, il quale nel riconoscere un valore fiscale di ingresso in misura pari al valore normale di fatto ammette implicitamente la deducibilità extracontabile di valori fiscali superiori ai valori iscritti in bilancio.
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