La Suprema Corte, nella sentenza di cui trattasi, ha l’occasione di pronunciarsi su diversi principi in parte già consolidati, di cui precisa l’ambito di operatività.
Rispetto al primo motivo di ricorso, attinente a questioni processuali, afferma che, stante il principio già enucleato in Cass. 598/2017, per cui “l’obbligo di sottoscrizione imposto al legale rappresentante della società, nel caso di concordato con riserva, è da ritenersi riferito alla proposta che sarà presentata nel termine fissato dal giudice, e non già all’istanza di accesso alla procedura”; a maggior ragione anche il ricorso meramente introdotto dal debitore ai sensi dell’art. 161, comma VI,L.F., senza la procura al difensore, appare idoneo all’avvio del procedimento di concordato, allorché poi il completamento della domanda, nel termine concesso e mediante presentazione di piano, proposta e documentazione, si perfezioni con il conferimento del mandato difensivo.
Il secondo motivo dà lo spunto per riaffermare lo stretto collegamento tra i provvedimenti di revoca del fallimento e accoglimento del reclamo del decreto d’inammissibilità del concordato, infatti la giurisprudenza della Suprema Corte, sin da Cass. 3586/2011, ha ritenuto che “in tema di concordato preventivo, il decreto del tribunale che neghi ingresso alla procedura richiesta dal debitore (per difetto delle condizioni di cui all’art.160 L.F.), e la conseguente sentenza dichiarativa di fallimento, devono essere oggetto di impugnazione unitaria, essendo inscindibilmente connessi ai sensi dell’art. 18 L.F.., come statuito dall’art. 162, comma III, L.F.; in tal caso, peraltro, è sufficiente che il reclamante formuli le censure anche solo nei confronti del decreto di inammissibilità, poiché gli eventuali vizi di tale provvedimento si traducono automaticamente in vizi della sentenza dichiarativa di fallimento.”
Nel merito, col terzo motivo di ricorso, la Corte di Cassazione censura la sentenza impugnata laddove ha considerato neutrale rispetto al piano economico del concordato, il pagamento dei professionisti incaricati dell’assistenza e delle attestazioni già avvenuto utilizzando parte di un credito vantato dalla richiedente. Tali pagamenti avevano, invece, provocato almeno una corrispondente diminuzione dell’attivo liquido promesso ai creditori ed una variazione attuativa significativa del piano, che non contemplava tale pagamento e con quelle fonti, ovvero prevedeva tempi diversi per quei pagamenti. Inoltre gli stessi erano emersi solo nel corso delle contestazioni rivolte alla società ex art.162 L.F., così rendendo rilevante la violazione dell’ordinata rappresentazione dell’attivo, posto che “gli atti di frode vanno intesi, sul piano oggettivo, come le condotte volte ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, aventi valenza potenzialmente decettiva per l’idoneità a pregiudicare il consenso informato degli stessi sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, inizialmente ignorate dagli organi della procedura e dai creditori e successivamente accertate nella loro sussistenza o anche solo nella loro completezza ed integrale rilevanza, a fronte di una precedente rappresentazione del tutto inadeguata, purché siano caratterizzati, sul piano soggettivo, dalla consapevole volontarietà della condotta, di cui, invece, non è necessaria la dolosa preordinazione (cfr. Cass. 17191/2014)”.
Col quarto motivo, relativo al mancato conferimento da parte dei soci illimitatamente responsabili di un immobile di loro proprietà, la Corte ribadisce che “la disposizione contenuta nell’art. 184 L.F., che estende ai soci illimitatamente responsabili di società di persone l’efficacia remissoria del concordato preventivo, si riferisce ai debiti sociali, nel senso che il pagamento della percentuale concordataria ha effetto liberatorio anche nei loro confronti, senza con ciò determinare l’estensione della procedura al patrimonio dei soci, che resta estraneo ad essi» (Cass. 11343/2001; conf. Cass.7273/2010).
Rispetto al quinto motivo, la Corte afferma che il giudizio di fattibilità economica, in relazione alla valutazione di una posta essenziale dell’attivo, non sia del tutto precluso al giudice, ma anzi: “l’esplicito riferimento alla causa concreta, evocando il richiamo di una prospettiva funzionale, suppone un controllo sul contenuto della proposta finalizzato a stabilirne l’idoneità ad assicurare la rimozione dello stato di crisi mediante il previsto soddisfacimento dei crediti rappresentati. Ciò significa che la verifica di fattibilità, proprio in quanto correlata al controllo della causa concreta del concordato, comprende necessariamente anche un giudizio di idoneità, che va svolto rispetto all’assetto di interessi ipotizzato dal proponente in rapporto ai fini pratici che il concordato persegue. Difatti non può esser predicato il primo concetto (il “controllo circa l’effettiva realizzabilità della causa concreta”) se non attraverso l’estensione al di là del mero riscontro di legalità degli atti in cui la procedura si articola, e al di là di quanto attestato da un generico riferimento all’attuabilità del programma. …mentre il sindacato del giudice sulla fattibilità giuridica, intesa come verifica della non incompatibilità del piano con norme inderogabili, non incontra particolari limiti, il controllo sulla fattibilità economica, intesa come realizzabilità nei fatti del medesimo, può essere svolto nei limiti nella verifica della sussistenza o meno di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obbiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi. Tanto vuol dire non solo che non è vero che il controllo di fattibilità economica, sia in sé vietato (v. Cass. n.11497-14 e, da ultimo, Cass. n. 26329-16). Vuol dire anche che, nella prospettiva funzionale, è sempre sindacabile la proposta concordataria ove totalmente implausibile. È difatti riservata ai creditori solo la valutazione di convenienza di una proposta plausibile, rispetto all’alternativa fallimentare, oltre che, ovviamente, la specifica realizzabilità della singola percentuale di soddisfazione per ciascuno di essi. (conf. Cass. 9061/2017).