La Suprema Corte ha analizzato l’effettivo portato normativo delle disposizioni di cui agli articoli 816 e 829, comma 1, n. 9) del Codice di Procedura Civile, in materia di arbitrato rituale.
In particolare, la Cassazione si è pronunciata sulla rispondenza alla legge di arbitrato avente le seguenti peculiarità procedimentali: (i) presenza di più udienze istruttorie; (ii) diritto delle parti coinvolte al deposito di memorie, senza che le stesse avessero formulato alcuna richiesta di discussione o di fissazione di un termine per il deposito delle memorie conclusionali; (iii) “passaggio in decisione” del procedimento una volta conclusa l’udienza in cui fosse stato fissato il sopralluogo voluto dalle parti (alla presenza dei rispettivi difensori tecnici).
La Corte ha anzitutto chiarito che in merito al principio del contraddittorio – applicabile all’arbitrato in forza degli articoli 816 e 829, comma 1, n. 9) del codice di rito civile – non è ravvisabile alcuna violazione dello stesso nel caso in cui gli arbitri non riconoscano alle parti il diritto a proporre eventuali repliche a seguito della presentazione di deduzioni e controdeduzioni. Gli arbitri sono infatti liberi di regolare il procedimento nel modo ritenuto più opportuno, salvo diverso accordo delle parti compromittenti (in senso conforme si era già espressa Cass. Civ., Sez. I, 14 febbraio 2000, n. 1608).
Il diritto alla presentazione di repliche, riconosciuto in capo alle parti di un procedimento “ordinario” (meglio, non arbitrale) dal Codice di Procedura Civile, non è infatti elemento essenziale dell’arbitrato rituale, non costituendo pertanto una causa di nullità del lodo.
Di conseguenza, neppure l’omessa fissazione dell’udienza di discussione e di precisazione delle conclusioni è causa di nullità del lodo, salvo tale omissione incida – in senso sostanzialmente limitante – sul diritto alla difesa di una o più delle parti coinvolte (analogamente Cass. Civ., Sez. I, 1 febbraio 2005, n. 1988).
Da altro punto di vista, la pronuncia in oggetto ha fatto proprio un ulteriore orientamento della Suprema Corte, statuendo che le norme regolanti il procedimento arbitrale possono essere concordate dalle parti compromittenti anche dopo l’inizio dello stesso, purché, in tal caso, gli arbitri manifestino il proprio accordo. La norma in base alla quale le norme da osservare ai fini del procedimento devono essere definite prima dell’inizio del medesimo è infatti posta nell’interesse degli arbitri – avendo dunque natura dispositiva e derogabile –, che dovranno adeguarsi alle medesime nell’espletamento dell’arbitrato (nello stesso senso si veda Cass. Civ., Sez. I, 4 maggio 2011, n. 9761).
In continuità con tale principio, la Suprema Corte ha inoltre ribadito la libertà degli arbitri di definire la struttura e l’articolazione del giudizio nel modo ritenuto più opportuno, “con l’unico limite di garantirne la funzionalità e assicurare il rispetto del principio del contraddittorio che […] può essere derogato ove in tal senso sia concorde la volontà […] delle parti” (elemento oggetto di eventuale analisi da parte del giudice di merito).