La Corte di Cassazione, attraverso la sentenza in epigrafe, ha ribadito l’esclusione dell’ammissibilità del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2), c.c., per i compensi dovuti agli amministratori e liquidatori di società. La mancata estensione del privilegio risponde ad una precisa scelta del legislatore fondata su ragioni di equità, essendo il regime dei privilegi destinato ad assumere pratico rilievo soprattutto in caso di insolvenza del debitore; sicché trovasi affermato che, in simili casi, “apparirebbe poco plausibile che proprio i crediti di coloro che hanno condotto la gestione dell’impresa siano preferiti agli altri creditori” (Cass. 2769/2002).
La ragione fondamentale dell’esclusione del privilegio è – oltretutto – dedotta dalla natura del loro rapporto con la società; detto rapporto, infatti, non è assimilabile a quello derivante dal contratto d’opera, poiché non presenta gli elementi del perseguimento di un risultato con la conseguente sopportazione del rischio. L’opus che l’amministratore o il liquidatore si impegna a fornire alla società non è infatti predeterminato dai contraenti, né può dirsi aprioristicamente determinabile, sebbene si identifichi con l’attività di impresa in sé considerata.
Infine, non può riscontrarsi alcuna ragione che giustifichi una differenziazione tra la posizione rivestita dall’amministratore e quella rivestita dal liquidatore. Anche il liquidatore, infatti, svolge un’attività riferibile all’intera organizzazione dell’impresa, benché ovviamente in fase di liquidazione; pertanto, pur in presenza del mutato scopo (liquidatorio) cui è diretta, anche l’attività di liquidazione costituisce attività di gestione dell’impresa.