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Attualità

Privilegio fondiario opponibile alle procedure concorsuali liquidatorie

1 Ottobre 2024

Simone Bertolotti, Partner, La Scala Società tra Avvocati

Mirko La Cara, Managing Associate, La Scala Società tra Avvocati

Roberta Pagani, Managing Associate, La Scala Società tra Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo commenta la pronuncia con cui la Cassazione ha ritenuto che il creditore fondiario possa avvalersi del privilegio processuale previsto dall’art. 41, comma 2, TUB sia in caso di liquidazione giudiziale sia in caso di liquidazione controllata apertasi a carico del debitore esecutato. Ciò passando in rassegna gli orientamenti contrapposti sorti al riguardo e le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, rispetto alle quali la Suprema Corte, quantomeno in materia di liquidazione controllata, si è discostata.


1. Introduzione

Con l’attesa sentenza del 19 agosto 2024, n. 22914, la Corte di Cassazione, risolvendo il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sorto al riguardo, ha chiarito che il privilegio processuale fondiario previsto dall’art. 41, comma 2, TUB[1] è applicabile sia in caso di liquidazione giudiziale aperta a carico del debitore esecutato sia in caso di liquidazione controllata aperta a carico del sovraindebitato esecutato.

Nel primo caso si tratta di aver ritenuto “sopravvissuto” questo privilegio all’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, in continuità con quanto in precedenza avveniva in caso di fallimento del debitore esecutato.

Nel caso della liquidazione controllata, ossia della procedura di sovraindebitamento di tipo liquidatorio, la Cassazione ha invece così riconosciuto l’intervento riformatore del Codice della Crisi, dato che la legge n. 3 del 2012, che disciplinava la materia del sovraindebitamento, non prevedeva alcuna applicabilità del privilegio processuale fondiario nell’ambito della procedura di liquidazione del patrimonio, poi sostituita dalla procedura di liquidazione controllata. La normativa prevedeva, infatti, all’art. 14-quinquies, comma 2, lett. b)[2], il divieto assoluto dell’esercizio di azioni esecutive o cautelari dopo l’apertura della liquidazione del patrimonio, senza concedere spazio a nessuna eccezione.

Più precisamente, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale disposto, ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., dal Tribunale di Brescia con un’ordinanza pubblicata il 3 ottobre 2024.

Questo Tribunale chiedeva al giudice di legittimità di pronunciarsi in merito all’operatività o meno del privilegio processuale fondiario a fronte dell’apertura di una delle procedure concorsuali previste dal Codice della Crisi (e, in particolare, della procedura di liquidazione controllata, ossia la procedura che veniva in rilievo nella fattispecie concreta).

Come noto, si tratta del privilegio di natura esclusivamente processuale, secondo cui l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita anche in presenza del fallimento del debitore.

Il riferimento va in prima battuta al fallimento perché ciò è sempre stato pacifico, mentre la pronuncia in commento ha dovuto indagare l’applicabilità del privilegio nell’ambito delle procedure concorsuali liquidatorie previste dal Codice della Crisi.

E la Cassazione, fortunatamente, ha risolto la questione sia con riferimento alla liquidazione giudiziale sia con riferimento alla liquidazione controllata, risolvendo quindi il quesito del Tribunale di Brescia nella sua interezza, benché il Tribunale facesse riferimento, in particolare, alla procedura di sovraindebitamento di tipo liquidatorio[3].

2. Le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale

Dopo aver superato il vaglio preliminare di ammissibilità da parte del Primo Presidente della Cassazione, con assegnazione alla Prima Sezione Civile, la questione è stata esaminata in prima battuta dal Sostituto Procuratore Generale, nella persona del Dott. Nardecchia, il quale ha concluso chiedendo l’enunciazione del seguente principio di diritto: “Il privilegio processuale di cui all’art. 41 TUB è opponibile nel caso di apertura della procedura concorsuale di liquidazione giudiziale a carico del debitore, mentre non è opponibile in caso di sottoposizione del debitore alle altre procedure concorsuali ed in particolare alla liquidazione controllata di cui agli artt. 269 ss. CCII”.

Al fine di pervenire a tale conclusione, poi disattesa dalla Corte come si vedrà infra, il PM ha ritenuto necessario effettuare, in via preliminare, una ricostruzione del concetto di “procedure concorsuali”, in quanto richiamato nel provvedimento di rinvio. Nello specifico ha osservato come, in realtà, il Codice della Crisi non faccia più riferimento a tale nozione, bensì a quella degli “strumenti di regolamentazione della crisi e dell’insolvenza”, la cui definizione è prevista dall’art. 1, comma 1, lett. d), CCII. Ha comunque ritenuto di poter richiamare, in ragione della sussistenza di un ambito di continuità (cfr. Cass. S.U. 25 marzo 2021, n. 8504, ma ancor prima Cass. S.U. 24 giugno 2020, n. 12476) tra la normativa della Legge Fallimentare e quella del Codice della Crisi, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 12 aprile 2018, n. 9087), il quale aveva messo in secondo piano il principio del concorso, riconducibile al combinato disposto degli artt. 51 e 52 l.f., ponendo invece in risalto i diversi profili (i) della sussistenza di una forma di interlocuzione con l’Autorità Giudiziaria, (ii) del coinvolgimento formale di tutti i creditori e (iii) di una qualche forma di pubblicità della procedura. Sulla base dell’applicazione di tali principi si giunge alla conclusione per cui non rientrano nel novero delle procedure concorsuali unicamente i piani attestati di risanamento e gli accordi stragiudiziali che non richiedono un intervento di natura omologatoria. In merito, invece, alla composizione negoziata, si afferma unicamente che non è estranea alla nozione di “strumenti di regolamentazione della crisi e dell’insolvenza”.

La requisitoria evidenzia, inoltre, come, in realtà, la tematica della persistenza del privilegio processuale di cui all’art. 41, comma 2, TUB possa riguardare unicamente le procedure di liquidazione giudiziale e di liquidazione controllata, in quanto le sole per le quali risulta l’applicabilità – diretta per la prima, mediante richiamo previsto dall’art. 270, comma 5, CCII per la seconda – dell’art. 150 CCII, il quale ha testualmente ripreso il dato letterale dell’art. 51 l.f. e, quindi, confermato la possibilità di esenzione legale per l’inizio o la prosecuzione delle procedure esecutive. In relazione, infatti, alle altre procedure concorsuali ed alla composizione negoziata, la questione non si pone, risultando ad esse applicabili le misure protettive, le quali non prevedono alcuna deroga al divieto di iniziare o proseguire le procedure esecutive.

Il PM si è, infine, soffermato sulla liquidazione controllata, giungendo alla conclusione dell’inopponibilità nella stessa del privilegio processuale fondiario – ritenendone di converso implicita la sopravvivenza nella liquidazione giudiziale – in ragione della ritenuta insufficienza del richiamo dell’art. 150 CCII da parte dell’art. 270, comma 5, CCII, considerata sia la natura di norma eccezionale dell’art. 41, comma 2, TUB (il quale fa esclusivo riferimento al fallimento, ora liquidazione giudiziale in ragione della sostituzione automatica prevista dall’art. 349 CCII), insuscettibile quindi di interpretazione analogica o estensiva, sia della necessità di tenere conto dei principi della legge delega (su cui si tornerà infra).

3. Sulla liquidazione giudiziale

Entrando nel merito della decisione, la Corte precisa preliminarmente che oggetto di indagine è soltanto la verifica di compatibilità tra privilegio fondiario e procedure concorsuali liquidatorie.

In prima battuta, quindi, viene affrontata la questione più generale relativa alla “sopravvivenza” del privilegio processuale fondiario all’entrata in vigore del Codice della Crisi.

Nel sistema previgente, infatti, il fondamento normativo del privilegio in questione era rinvenibile nella lettura coordinata dell’art. 51 l.f. – che stabiliva in pendenza di procedura fallimentare il divieto di azioni esecutive e cautelari individuali, “salvo diversa disposizione di legge” – e dell’art. 41, comma 2, TUB, che consente al creditore fondiario di avviare o proseguire esecuzioni immobiliari sui beni oggetto di garanzia ipotecaria, anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore.

Nell’attuale assetto normativo, l’art. 150 CCII ha riprodotto il contenuto dell’art. 51 l.f., sostituendo alla parola “fallimento” il termine “liquidazione giudiziale” e confermando quindi il generale divieto di azioni esecutive individuali dopo l’apertura della procedura concorsuale maggiore, salvo eccezioni. Di contro, l’art. 41, comma 2, TUB, non è stato oggetto di alcuna modifica normativa e continua a far riferimento al “fallimento” in luogo della “liquidazione giudiziale”, con ciò suscitando dubbi circa l’effettiva portata applicativa.

Sull’argomento si sono così formati due diversi orientamenti in dottrina e nella giurisprudenza di merito che vengono puntualmente esaminati dalla Corte.

Secondo un primo orientamento, minoritario, il privilegio fondiario risulterebbe applicabile soltanto al fallimento e non alla liquidazione giudiziale in virtù di tre diverse considerazioni.

In primo luogo, l’art. 369 CCII, norma di coordinamento che ha apportato modifiche lessicali a diversi articoli del TUB, non ha preso in considerazione l’art. 41, comma 2, TUB.

Un ulteriore elemento viene poi individuato nel criterio direttivo dettato dall’art. 7, comma 4, della legge delega n. 155 del 2017, laddove prevede espressamente che la procedura di liquidazione giudiziale vada potenziata mediante l’adozione di misure dirette ad escludere l’operatività di esecuzioni speciali e di privilegi processuali – anche fondiari – e a prevedere, in ogni caso, che il privilegio fondiario continui ad operare entro un determinato periodo temporale[4].

Da ultimo, secondo questa tesi, sarebbe venuta meno la ratio sottesa all’art. 41 TUB (la pronta realizzazione del credito fondiario in caso di fallimento del debitore), in quanto già prima dell’entrata in vigore del Codice della Crisi il legislatore aveva apportato modifiche volte a rendere la procedura concorsuale più celere, trasparente ed efficace. Le nuove tempistiche liquidatorie dettate dal CCII renderebbero la liquidazione concorsuale più vantaggiosa rispetto a quella individuale, rendendo quindi anacronistico il permanere del privilegio processuale fondiario, così come delle esecuzioni speciali, in quanto incompatibili con il nuovo sistema accentrato delle vendite.

Tutte le predette argomentazioni non colgono nel segno secondo l’orientamento maggioritario, al quale la Corte dichiara di aderire nella sentenza in commento.

Secondo questa diversa tesi, anzitutto, l’omesso richiamo nell’art. 369 CCII all’art. 41, comma 2, TUB, risulta privo di qualsiasi rilievo.

Sono infatti diverse le disposizioni di legge che, pur conservando l’originario termine “fallimento”, trovano applicazione anche nell’ambito della nuova disciplina.

Sotto questo profilo, comunque, un’altra norma del Codice della Crisi, l’art. 349, permette di rimuovere qualsiasi dubbio, laddove prevede in modo chiaro che “nelle disposizioni normative vigenti i termini “fallimento”, “procedura fallimentare”, “fallito” devono intendersi sostituite, rispettivamente, con le espressioni “liquidazione giudiziale”, “procedura di liquidazione giudiziale”, “debitore assoggettato a liquidazione giudiziale”.

In ogni caso, secondo la Corte, decisivo appare il fatto che l’art. 150 CCII ha mantenuto la locuzione “salva diversa disposizione di legge”, con ciò lasciando presupporre che il criterio direttivo dettato dalla legge n. 155 del 2017 (adozione di misure volte ad escludere l’operatività di esecuzioni speciali e di privilegi fondiari a vantaggio della procedura di liquidazione giudiziale) non è stato recepito dalla legge delegata.

In merito a questo profilo, peraltro, la Cassazione evidenzia che, una volta decorsi i termini di cui al citato art. 7, comma 5, legge n. 155 del 2017, occorrerà chiarire se la scelta del legislatore delegato di ritenere operativo il privilegio processuale fondiario concretizzi una mancata attuazione della delega ovvero un contrasto della normativa delegata con il più volte citato criterio direttivo di cui all’art. 7. In questa seconda ipotesi, infatti, troverebbe spazio una questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 76 Cost.

In conclusione, dunque, la Corte ritiene che il privilegio processuale fondiario sia senz’altro applicabile anche alla liquidazione giudiziale.

4. Sulla liquidazione controllata

La Cassazione si è poi pronunciata sul “fulcro” del giudizio, ossia l’applicabilità o meno del privilegio processuale fondiario nell’ambito della procedura di liquidazione controllata.

Come anticipato, si è pronunciata a favore dell’applicabilità, considerato l’espresso rimando dell’art. 270, comma 5, CCII all’art. 150 CCII previsto in materia di liquidazione giudiziale e, soprattutto, considerato che si tratta di un rinvio privo di una clausola di compatibilità[5].

La Suprema Corte evidenzia, infatti, come detto espresso rinvio sia da riferirsi non solo al divieto dell’avvio o della prosecuzione di azioni esecutive o cautelari ma anche al relativo regime derogatorio, a fronte della natura di rinvio puro e semplice e della mancanza di una clausola di compatibilità, che non può essere ricondotta, sempre secondo la Cassazione, ad una mera dimenticanza del legislatore. Ciò atteso che, nell’ambito del medesimo comma, il legislatore ha espressamente previsto due rinvii puri e semplici (agli artt. 150 e 151 CCII) ma anche due rinvii sottoposti ad un vaglio di compatibilità (all’art. 143 CCII e al procedimento unitario in generale).

Ma soprattutto la Cassazione – in ciò discostandosi dalle conclusioni del Sostituto Procuratore Generale[6]ha ritenuto che, alla luce di questo rinvio, non venga a configurarsi una inammissibile applicazione analogica dell’art. 41 TUB (che fa riferimento solo al fallimento, oggi sostituito dalla liquidazione giudiziale), quale norma pacificamente eccezionale. Ciò affermando espressamente che “dove opera il rinvio non trova spazio l’analogia”.

La Cassazione evidenzia, inoltre, come questo approdo interpretativo sia conforme all’intervento riformatore del Codice della Crisi, atteso che la normativa previgente, come già ricordato, nulla prevedeva in merito ad eventuali eccezioni al divieto di avvio o prosecuzione di azioni esecutive o cautelari in pendenza della procedura di liquidazione del patrimonio, previsto in assoluto dall’art. 14-quinquies, comma 2, lett. b), l. n. 3 del 2012.

Escludere, quindi, il rinvio alle deroghe al divieto significherebbe, secondo la Corte di Cassazione, cancellare la sola novità introdotta dal Codice.

A supporto della conclusione, la Cassazione richiama l’unico precedente di legittimità (Cass. n. 3847 del 1988), emesso in punto di applicabilità del privilegio fondiario, allora previsto dall’art. 42 TU n. 646 del 1905, alla liquidazione coatta amministrativa, per effetto del rinvio disposto dall’art. 201 l.f. all’art. 51 l.f.[7].

Infine – in ciò nuovamente discostandosi dalle conclusioni del Dott. Nardecchia[8] – la Cassazione ha evidenziato come il legislatore delegato abbia inteso contrapporsi al già ricordato criterio direttivo di cui all’art. 7, comma 4, legge delega n. 155 del 2017.

5. Implicazioni pratiche della sentenza

Può ritenersi che la sentenza in commento, che fornisce chiarimenti circa i rapporti e le interferenze tra procedure esecutive individuali e procedure concorsuali liquidatorie, avrà rilevanti conseguenze anche sotto un profilo strettamente pratico.

In primo luogo, infatti, consentirà ai creditori che vantano un credito di natura fondiaria di poter valutare l’opportunità di avviare o proseguire l’azione esecutiva individuale anche in presenza di una procedura concorsuale liquidatoria.

Come noto, il creditore fondiario ben potrebbe, infatti, preferire la vendita in sede di esecuzione individuale piuttosto che in sede concorsuale, in relazione alla tempistica di incasso delle somme ricavate dalla vendita del bene.

Ciò atteso che, in primo luogo, il creditore fondiario, in tali ipotesi, beneficia del privilegio del pagamento diretto ex art. 41 TUB, incamerando parte del prezzo di aggiudicazione già al momento del versamento del saldo prezzo.

Inoltre, tutte le somme assegnate al creditore fondiario (il quale deve essere ammesso al passivo pena la necessità di restituire al Curatore quanto ricavato) non sono oggetto di una ripartizione concorsuale soggetta alle relative tempistiche. Il creditore incassa, infatti, gli importi allo stesso spettanti in forza del progetto di distribuzione dichiarato esecutivo dal G.E., mentre il Curatore può al più intervenire in sede esecutiva domandando l’assegnazione in favore della procedura concorsuale delle spese prededucibili e/o dell’ulteriore importo disponibile.

Quanto al profilo degli importi recuperati, invece, in astratto, potrebbe non esservi differenza tra la vendita in sede esecutiva ed in sede concorsuale, atteso che se è vero che nel primo caso gli importi non sono oggetto di ripartizione concorsuale (senza, quindi, vedersi purgati delle spese della procedura), è anche vero che il Curatore, come già riferito, può richiedere in sede esecutiva l’assegnazione in prededuzione delle spese ovvero richiedere successivamente al creditore fondiario la restituzione di un importo al fine di ripianare le spese della procedura.

Un ulteriore risvolto pratico e favorevole al creditore fondiario attiene al fatto che le somme incassate in sede esecutiva ex art. 41 TUB non dovranno essere restituite alla procedura concorsuale.

Detto creditore non sarà quindi onerato di richiedere l’ammissione al passivo in via privilegiata di dette somme. Né si vedrà esposto al rischio di vedere pregiudicata la propria possibilità di recuperare in sede di riparto la somma restituita. Se è vero, infatti, che sarebbe possibile insinuare l’importo restituito al privilegio (ritenendo applicabile in via analogica il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità in materia di ammissione al passivo di credito derivante da revocatoria fallimentare, cfr. Cass. S.U. n. 5049 del 2022), è anche vero che, per il caso di avvenuta cessione del residuo credito, l’originario creditore potrebbe trovarsi a concorrere con il cessionario in sede di ripartizione concorsuale, eventualmente beneficiando di un minor importo in via proporzionale, nell’ipotesi in cui il ricavato dalla vendita del bene non sia sufficiente a soddisfare integralmente il credito ipotecario e, quindi, il cedente, che ha già ricevuto il riparto ex art. 41 TUB ma l’ha dovuto restituire al Curatore, ed il cessionario.

Sotto il profilo strettamente procedurale, per quanto attiene alle procedure esecutive pendenti e alle opposizioni aventi ad oggetto l’applicabilità del privilegio processuale fondiario per il caso di procedura concorsuale liquidatoria, le statuizioni della pronuncia in commento consentiranno dunque al creditore fondiario di validamente opporsi ai rilievi di improcedibilità dei debitori esecutati, dei Curatori o dei Liquidatori oppure sollevati d’ufficio dal G.E.

Resterà, chiaramente, da verificare e monitorare nei prossimi mesi se la giurisprudenza di merito si atterrà al principio di diritto dettato dalla Cassazione.

 

[1] Art. 41, comma 2, D.Lgs. n. 385 del 1993: “L’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore. Il curatore ha facoltà di intervenire nell’esecuzione. La somma ricavata dall’esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento”.

[2] Art. 14-quinquies, comma 2, lett. b), l. n. 3 del 2012: “Con il decreto di cui al comma 1 il giudice: (…) dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni cautelari o esecutive né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di liquidazione da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore”.

[3] Ordinanza T. Brescia, 3.10.2024: “Visto l’art. 363 bis c.p.c. rimette gli atti alla Corte di Cassazione affinché risolva la seguente questione di diritto: “se il privilegio processuale di cui all’art. 41, comma 2 TUB sia opponibile a fronte dell’apertura di una delle procedure concorsuali di cui al CCII a carico del debitore esecutato ed in particolare della liquidazione controllata di cui agli artt. 269 ss. CCII””.

[4] Art. 7, comma 4, legge delega n. 155 del 2017: “La procedura di liquidazione giudiziale è potenziata mediante l’adozione di misure dirette a: a) escludere l’operatività di esecuzioni speciali e di privilegi processuali, anche fondiari; prevedere, in ogni caso, che il privilegio fondiario continui ad operare sino alla scadenza del secondo anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell’ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all’articolo 1 (…)”.

[5] Art. 270, comma 5, CCII (nella versione in vigore alla data di pubblicazione della pronuncia in commento): “Si applicano l’articolo 143 in quanto compatibile e gli articoli 150 e 151; per i casi non regolati dal presente capo si applicano altresì, in quanto compatibili, le disposizioni sul procedimento unitario di cui al titolo III”.

[6]Così facendo, però, si trascura il fatto che le deroghe al divieto (al pari di quel che accadeva con riferimento all’art. 51 l.fall.) non sono contenute in unico testo legislativo, cui rinvii direttamente l’art. 150 CCII, ma in singole disposizioni, autonome fra loro, prive di connotati necessariamente comuni, da reputarsi, certamente, norme eccezionali, insuscettibili, come tali, di interpretazione analogica o estensiva. Così ragionando non si considera che l’art. 150 CCII, con riferimento alle eccezioni al divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive, costituisce una norma in bianco da riempiere con successivi singoli precetti normativi. Tanto vero che l’ambito di applicazione dell’eccezione è andata mutando con gli anni, sol che si pensi, ad esempio che in passato, al divieto di esercizio delle azioni esecutive individuali erano sottratti, oltre al credito fondiario, anche i crediti erariali; ed attualmente, al divieto in questione deroga anche l’art. 152 CCII (già art. 53 L. fall.), nonché, per espressa previsione di legge, ma con ratio totalmente diversa, l’art. 213, comma 2, CCII (già art. 104 ter, comma 8, L. fall.). Un’interpretazione letterale della disposizione dovrebbe portare, quindi, ad escludere l’applicazione estensiva dell’eccezione anche alla liquidazione controllata perché la disposizione che fonda tale privilegio processuale non è l’art. 150 CCII, bensì l’art. 41, comma 2, T.U.B., norma eccezionale che si riferisce ancora alla sola dichiarazione di fallimento. Interpretazione fondata sulla considerazione che la norma di cui all’art. 41, comma 2, T.U.B., in quanto speciale è insuscettibile, ai sensi dell’art. 14 delle preleggi, di applicazione analogica, non può essere interpretata estensivamente, nel senso che il riferimento, in esso contenuto, al fallimento, debba ritenersi comprensivo anche della liquidazione controllata, pur a fronte delle evidenti assonanze tra le due procedure” (cfr. conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. Nardecchia, pag. 8).

[7] La pronuncia Cass. n. 3847 del 1988 viene richiamata anche dal Sostituto Procuratore Generale Dott. Nardecchia, a supporto dell’argomentazione relativa alla mancanza della clausola di compatibilità in relazione al rinvio dell’art. 270, comma 5, CCII all’art. 150 CCII (cfr. conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. Nardecchia, pag. 8).

[8]Secondo i principi più volte enunciati dai giudici delle leggi il contenuto della delega e dei relativi principi e criteri direttivi deve essere identificato accertando il complessivo contesto normativo e le finalità che la ispirano, tenendo conto che i principi posti dal legislatore delegante costituiscono non solo la base e il limite delle norme delegate, ma strumenti per l’interpretazione della loro portata. Queste vanno, quindi, lette nel significato compatibile con detti principi, i quali, a loro volta, vanno interpretati avendo riguardo alla ratio della delega ed al complessivo quadro di riferimento in cui si inscrivono (in questi termini Cost. 174/21; Cost. 170/2019; Cost. 10/2018; Cost. 250/2016; Cost. 210/2015). Le norme delegate “vanno, quindi, lette, fintanto che sia possibile, nel significato compatibile con detti principi, i quali, a loro volta, vanno interpretati avendo riguardo alla ratio della delega ed al complessivo quadro di riferimento in cui si inscrivono” (Cost. 10/2018). Orbene a fronte dell’inequivoco principio della legge delega che aveva escluso “l’operatività di esecuzioni speciali e dei privilegi processuali, anche fondiari”, non potrebbe di certo privilegiarsi un’interpretazione che avrebbe l’effetto contrario di estendere l’ambito di applicazione del privilegio fondiario ad una diversa ed ulteriore procedura rispetto a quella originariamente prevista” (cfr. conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. Nardecchia, pag. 9).

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