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Procedimento di prevenzione e tutela dei terzi creditori: è in buona fede la Banca persona offesa dal reato commesso dal proposto

24 Novembre 2014

Avv. Giuseppe Fornari, fondatore e partner, Avv. Riccardo Lucev, Studio Legale Orlando e Fornari, Milano

Di cosa si parla in questo articolo

Cass. Pen., Sez. I, 27 febbraio – 31 luglio 2014, n. 34039

Con la sentenza in epigrafe (cfr. contenuti correlati), la Sez. I Penale della Suprema Corte ha accolto i ricorsi presentati da tre Istituti di credito costituitisi in un procedimento di prevenzione. La Cassazione ha annullato il decreto d’appello, con cui era stato confermato il diniego della buona fede alle Banche ricorrenti, sulla base del principio di diritto secondo cui “gli istituti bancari rimasti vittime dei delitti di truffa o appropriazione indebita all’atto dell’erogazione dei mutui, in forza dei quali erano state iscritte ipoteche sugli immobili confiscati, devono essere considerati terzi estranei ai reati posti in essere dal soggetto nei cui confronti è applicata la misura di prevenzione patrimoniale e, pertanto, nei loro confronti non può essere ordinata la cancellazione della trascrizione dell’ipoteca nei registri immobiliari”.

Sintesi del procedimento: il primo grado

In primo grado, il Tribunale per le Misure di Prevenzione di Milano aveva disposto la confisca di numerosi beni immobili riconducibili a S.R., soggetto ritenuto “socialmente pericoloso” ai sensi della vigente normativa, e quindi attinto da misure di prevenzione personali e patrimoniali.

Sugli immobili gravavano ipoteche iscritte dalle Banche ricorrenti a garanzia di mutui erogati – in epoca ben anteriore – a società che, solo successivamente, e con l’avvio del procedimento di prevenzione, si erascoperto essere riconducibili al proposto.

Le Banche, costituitesi in primo grado al fine di provare l’esistenza del requisito della buona fede(1), finalizzato ad ottenere la tutela del proprio credito, si vedevano negare tale riconoscimento. Secondo il Tribunale, le Banche avevano agito con negligenza nel valutare il merito creditizio dei soggetti finanziati, e a nulla era valsa l’indicazione delle difese che, in alcuni casi, fosse emersa la collusione con S.R. di dipendenti degli Istituti di credito, che avevano contribuito dall’interno, e d’intese con il proposto, alla concessione di mutui che, in condizioni normali, non sarebbero stati erogati. Il Tribunale di Milano non aveva negato che ciò costituisse truffa o appropriazione indebita in danno delle Banche; tuttavia, ad avviso del giudice di prime cure, anche nel non accorgersi di simili artifizi si annidava una negligenza da parte di queste ultime, che, come operatori qualificati del mercato, avrebbero dovuto vigilare adeguatamente sui propri funzionari impedendone eventuali condotte devianti.

La parziale apertura della Corte d’Appello di Milano

Giunto in appello, il procedimento aveva fatto registrare una prima apertura: la Corte aveva accolto il ricorso di una delle Banche, sulla base del fatto che quest’ultima aveva concesso alle società di S.R. dei mutui deliberati in prima persona da un funzionario infedele, che, proprio in virtù di tale potere deliberativo, non sarebbe stato in alcun modo arginabile dall’ente. Di qui, l’assenza di colpa in capo alla Banca.

Invece, per le altre Banche il riconoscimento di buona fede era stato nuovamente negato: secondo la Corte, pur essendo vittime di reati, esse avrebbero dovuto accorgersi dei raggiri in loro danno, anche qualora perpetrati con il concorso di dipendenti infedeli, poiché questi ultimi, laddove (come in tali casi) privi di un autonomo potere di delibera, avrebbero potuto essere neutralizzati con un’efficace azione divigilanza.

Tre Istituti di credito avevano presentato ricorso per cassazione lamentando violazione di legge, in particolare delle norme in materia di misure di prevenzione e tutela dei terzi creditori di buona fede. Secondo i ricorrenti, il fatto di essere stati vittima di reati commessi da S.R. (tanto più se in concorso con dipendenti infedeli) avrebbe imposto comunque di ritenere la Banca “estranea” al reato, concedendole le tutele che l’ordinamento riserva ai terzi di buona fede.

La sentenza della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il suddetto motivo, comune a più ricorsi.

Prendendo le mosse dall’archetipo in materia, ossia la sentenza delle Sezioni Unite Bacherotti (28 aprile – 8 giugno 1999, n. 9), la Corte ha ricostruito il concetto di buona fede del terzo come “estraneità al reato”, sotto il profilo oggettivo o, in subordine, soggettivo. Nel primo senso, è in buona fede il terzo che, pur avendo intrattenuto un rapporto giuridico con il proposto, non ne abbia tratto alcun utile o vantaggio; nel secondo senso (da sindacarsi solo qualora non risulti provata la buona fede oggettiva), è in buona fede il terzo che, pur avvantaggiatosi del rapporto giuridico con il proposto, ne ignorasse senza colpa la caratura delittuosa e quindi abbia prestato un affidamento incolpevole.

In questo procedimento, le Corti di merito avevano operato il giudizio di buona fede concentrandosi esclusivamente sul piano soggettivo, dunque sul difetto di organizzazione e di vigilanza da parte delle Banche, mentre non vi era stato alcun accertamento sul piano oggettivo, nel senso di verificare se le Banche avessero tratto il benché minimo vantaggio dalla stipula dei mutui.

Viceversa, con la sentenza in commento la Suprema Corte ha riportato al centro dell’attenzione l’esigenza di valutare innanzitutto la buona fede oggettiva del terzo, ossia la sua estraneità al reato in senso materiale, come assenza di utilità.

Nel caso di specie, gli stessi giudici di merito avevano ripetutamente statuito che le Banche erano persone offese di molteplici reati contro il patrimonio, commessi da S.R. con il concorso, talvolta, di dipendenti infedeli: appropriazioni indebite, quando il dipendente aveva un autonomo potere deliberativo e quindi disponeva liberamente delle somme da erogare a credito, oppure truffe, quando il dipendente, non essendo investito di simili poteri, era costretto ad indurre in errore gli organi deliberanti affinché fossero loro a decidere le erogazioni.

Da ciò, secondo la Cassazione, sarebbe dovuta derivare la constatazione che non soltanto le Banche non avevano tratto alcun beneficio dall’avere stipulato mutui con le società di S.R., ma anzi ne avevano ricavato un danno patrimoniale di rilevante gravità (nell’ordine di decine di milioni di Euro), a causa del mancato rimborso delle erogazioni.

E proprio qui le Corti di merito avrebbero errato, ad avviso della Cassazione. Anteponendo il piano soggettivo della buona fede, avevano sviluppato un ragionamento sulla negligenza degli Istituti di credito a cui neppure si sarebbe dovuti giungere, dato che sul piano oggettivo la buona fede risultava già evidente: in nessun altro modo, se non “estranea al reato”, doveva intendersi la persona offesa dal reato stesso, che ne aveva patito danni milionari.

L’escussione delle ipoteche avrebbe rappresentato l’unico meccanismo di ristoro di un simile danno. Invece, seguendo il percorso argomentativo delle Corti di merito, si era giunti ad esiti che la stessa Cassazione ha definito, in sentenza, “grotteschi” e “paradossali”: “Le persone offese dei reati di truffa e appropriazione indebita le quali – anche se solo in parte – avevano l’aspettativa di recuperare il maltolto mediante la vendita degli immobili su cui avevano iscritto l’ipoteca al momento della concessione del mutuo, si vedono sottratta dallo Stato questa possibilità”.

Risultato, quest’ultimo, inaccettabile, anche avuto riguardo alla funzione istituzionale della confisca, che – ha osservato la Corte – non è quella di acquisire il bene al patrimonio demaniale, ma di sottrarlo al patrimonio del proposto, con l’immediata conseguenza che, una volta compiutasi con successo la fase di “spoliazione”, a termini di legge è sostanzialmente indifferente la successiva fase di “assegnazione” del bene, se allo Stato o al terzo di buona fede. Ove quest’ultima sussista, la tutela del terzo va senza alcun dubbio garantita.

Ecco perché, essendo emersa la buona fede oggettiva degli Istituti di credito, si è imposto l’annullamento del decreto della Corte d’Appello, con rinvio al medesimo giudice affinché rivaluti la posizione delle Banche alla luce del principio di diritto sopra richiamato.

 

1

() Secondo il costrutto individuato da Cass. Pen., Sez. Unite, 28 aprile – 8 giugno 1999, n. 9 Bacherotti, su cui v. infra.


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