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Giurisprudenza

Processo tributario: preclusa l’allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa

9 Novembre 2016

Federico Pachioli

Cassazione Civile, Sez. V, 23 marzo 2016, n. 5734

In tema di accertamento fiscale, l’invito da parte dell’Amministrazione finanziaria, previsto dall’art. 32, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, a fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa. Tale inutilizzabilità consegue automaticamente all’inottemperanza all’invito, non è soggetta alla eccezione di parte e può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado di giudizio. Il contribuente può conseguire una deroga all’inutilizzabilità solo ove ricorrano le condizioni di cui all’art.32, quinto comma, del d.P.R. 29 settembre, n. 600.

 

La vicenda risolta dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 5734 trae origine dalla controversa interpretazione dell’art. 9, commi 9 e 10, Legge 27 dicembre 2002, n. 289 riguardante il regime di sanatoria fiscale meglio noto come “condono tombale”.

In particolare, l’Agenzia delle entrate notifica a una società cooperativa un avviso di accertamento per il periodo d’imposta 2000 con il quale richiede 132.774,42 euro a titolo di Iva, oltre sanzioni ed interessi. L’atto impositivo scaturisce dal mancato riscontro della società contribuente all’invito formulato dall’ufficio per la produzione documentale a sostegno del credito Iva chiesto a rimborso proprio in occasione della “definizione automatica” di cui all’art. 9, L. n. 289/2002.

Dal canto suo, parte ricorrente sostiene che la “definizione automatica” di cui all’art. 9, L. n. 289/2002 ha l’effetto di cristallizzare la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione trasmessa proprio a tal fine, nonché quello ulteriore di rendere immodificabili le eventuali somme chieste a rimborso con la medesima. In altre parole, sempre a detta della società ricorrente, l’applicazione dell’istituto di cui si tratta inibisce l’attività istruttoria sulle imposte così liquidate.

In primo grado il ricorso della società viene accolto, mentre, il giudice di seconde cure ribalta la decisione con la sentenza n. 78/05/09.

Il principio espresso dagli Ermellini con la pronuncia de qua è diretta derivazione proprio dei motivi con cui il secondo giudice accoglie le doglianze dell’Agenzia, ovverosia la sanzione di inutilizzabilità dei documenti non trasmessi né esibiti dal contribuente in risposta all’invito dell’ufficio ex art. 32, co. 4, D.p.r. 29 settembre 1973, n. 600.

La società, infatti, come si è avuto modo di rappresentare pocanzi, non ha fornito gli atti e i documenti richiesti dall’ufficio erariale a supporto del credito Iva chiesto a rimborso per l’anno 2000 opponendo “[…] la preclusione […] di ogni accertamento tributario […]” ai sensi del comma 10 dell’art. 9, L. n. 289/2002.

In aggiunta quest’ultima, ricorrendo nell’ultimo grado di giudizio, ha lamentato la falsa applicazione dell’art. 57, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (divieto di “nova” in appello) dacché il secondo giudice ha accolto la preclusione probatoria di cui all’art. 32, co. 4, D.p.r. n. 600/1973 eccepita dell’ufficio soltanto nel secondo grado del giudizio.

La Suprema Corte, nel respingere tale ultimo motivo, ha statuito che “Il tenore letterale della norma (l’art. 32, co. 4 e 5, D.p.r. n. 600/1973) consente di enucleare una efficacia automatica della sanzione di inutilizzabilità della documentazione prodotta tardivamente, in presenza dei presupposti ivi previsti, in quanto la comminatoria è direttamente ed oggettivamente riferita agli stessi e non è stabilito alcun ulteriore meccanismo di attivazione di parte, al contrario di quanto avviene per la deroga all’inutilizzabilità che deve essere fatta valere dal contribuente, con le modalità ivi previste, entro il termine per il deposito dell’atto introduttivo di primo grado”.

La sanzione della preclusione amministrativa e contenziosa di cui all’art. 32, co. 4, D.p.r. n. 600/1973 opera, quindi, in conseguenza dell’omissione o della tardiva produzione documentale in risposta agli inviti dell’ufficio, non trovando invece applicazione, spiega ancora la Corte, l’art. 58, D.Lgs. n. 546/1992 che pure dispone la possibilità del deposito di nuovi atti e documenti nel corso del processo tributario. Al contrario, occorre notare come la deroga all’applicazione della sanzione de qua, disposta dal successivo comma 5 dello stesso articolo 32, trova spazio nell’unica ipotesi in cui il contribuente depositi, contestualmente all’atto introduttivo del giudizio, le notizie, i documenti e i registri non trasmessi dichiarando di non aver potuto adempiere alle richieste dell’ufficio per causa a lui non imputabile.

La Corte fa anche notare come nel caso di specie il meccanismo preclusivo in parola non abbia nemmeno incontrato l’unico limite che sempre l’articolo 32 prevede, ovverosia quello codificato nell’ultimo periodo del comma 4: “Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta”. La contribuente, difatti, non ha contestato il mancato avvertimento da parte dell’Agenzia della sanzione di inutilizzabilità dei dati e dei documenti tardivamente prodotti in fase precontenziosa; avviso che adegua la condotta dell’Amministrazione finanziaria al canone di lealtà richiamato anche dalla Corte Costituzionale e dai principi postulati dallo Statuto del contribuente agli artt. 6 e 10.[1]

In definitiva, i giudici di Piazza Cavour asseriscono che l’invito previsto dall’art. 32, co. 4, D.p.r. n. 600/1973 assolve la funzione di assicurare un “[…] dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l’instaurarsi di un contenzioso giudiziario [..]”.

In tale ottica, concludono i giudici, deve rimanere legittimamente sanzionabile la mancata esibizione degli atti, dei documenti, delle scritture e dei libri contabili richiesti in sede amministrativa sia nell’ipotesi di rifiuto da parte del contribuente quanto nel caso di una sua dimenticanza o disattenzione (errore non scusabile, di diritto o di fatto). L’unica deroga, sottolinea la Corte, può essere conseguita dal contribuente al ricorrere delle condizioni prescritte dal comma 5 dell’art. 32, D.p.r. n. 600/1973.

 


[1] Ex multisCass. civ. Sez. V, n. 22126 e 453.

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