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Giurisprudenza

Profili di abuso di dipendenza economica e risarcimento del danno

19 Aprile 2020

Andrea Galleano, Dottorando in Studi Giuridici Comparati ed Europei, Università di Trento

Cassazione Civile, Sez. I, 16 dicembre 2020, n. 28717 – Pres. De Chiara, Rel. Campese

Di cosa si parla in questo articolo

 La società attrice chiedeva la condanna della società convenuta al risarcimento dei danni procuratole mediante una serie di pretese condotte illecite in violazione del divieto di abuso di dipendenza economica di cui all’art. 9 della L. n. 192/1998 o comunque degli obblighi di buona fede e correttezza ex art. 1337, cod. civ. o del principio del neminem laedere di cui all’art. 2043, cod. civ. In particolare, la società attrice sosteneva di essere stata indotta ad acquistare il controllo di una terza società ad opera della convenuta, la quale, agendo esclusivamente secondo un proprio interesse produttivo ed abusando della propria posizione, le aveva infatti prospettato che le avrebbe in seguito appaltato la progettazione e la produzione di un nuovo prodotto. A seguito del mancato realizzarsi di quanto promessole, la società attrice decideva dunque di chiudere lo stabilimento relativo alla società in precedenza acquisita, ma la convenuta la persuadeva a desistere da tale proposito richiedendole piuttosto di operarne un potenziamento in funzione della realizzazione di ulteriori promesse in seguito analogamente disattese. Infine, allo scopo di evitare il blocco delle forniture in suo favore ed il fallimento della società attrice, la convenuta rinunziava ad un credito nei confronti di quest’ultima sotto la condizione che, tra l’altro, tale società fosse cancellata dal registro delle imprese “senza che insorgano opposizioni da parte dei Soci e/o dei terzi”.

La Corte di appello, in totale riforma della sentenza di primo grado, evidenziava che «l’abuso può essere sanzionato nell’ambito dell’art. 2043 c.c., quando si estrinseca in una condotta che, pur in assenza di divieti formali, sia posta in essere con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buonafede nell’ambito dei rapporti commerciali». Pertanto, la società convenuta veniva condannata al risarcimento dei danni derivanti dal mantenimento degli assets originariamente acquisiti dalla società attrice, ma non di quelli relativi alla perdita del patrimonio netto di quest’ultima, i quali risultavano infatti causalmente imputabili alle scelte dei suoi amministratori. In particolare, la Corte territoriale giudicava illecita la suindicata condizione apposta alla rinunzia al credito in quanto contraria a norme imperative e, precisamente, alle norme che attribuiscono ai soci il diritto di chiedere «la revoca della richiesta di cancellazione della società qualora non ne sussistano i presupposti».

La Cassazione avalla parzialmente la ricostruzione della Corte d’appello, accogliendo tuttavia il ricorso incidentale dell’originaria convenuta in ordine alla liceità della condizione. La Suprema Corte premette infatti che la condizione deve ritenersi illecita «per l’abusivo condizionamento della persona del contraente ovvero per la illiceità del fatto dedotto. La prima di tali ipotesi è riscontrabile quando la condizione si sostanzi in un mezzo di coercizione del soggetto, lesivo dei suoi interessi essenziali (ad esempio, una clausola che prevedesse come condizione risolutiva del contratto l’iscrizione della parte ad un determinato partito politico); la seconda riflette la illiceità del fatto dal quale dipende l’efficacia del contratto (si pensi ad un contratto condizionato al risultato positivo di un’indebita pressione su un’amministrazione pubblica). Occorre precisare, inoltre, che la illiceità è configurabile solo in quanto il fatto illecito si assume come presupposto di un effetto favorevole per l’autore del fatto. Se, al contrario, l’inefficacia del contratto costituisce una sanzione per la parte che ha compiuto l’illecito, la condizione deve ritenersi lecita». Pertanto, con specifico riferimento al caso in esame, il Collegio esclude che la clausola condizionale «abbia potuto comportare una coartazione della volontà dei soci e/o di terzi, impedendo loro di impugnare il bilancio di liquidazione (cosa che, peraltro, è poi pacificamente avvenuta), atteso che, da un lato, quell’impugnazione sarebbe stata del tutto indipendente dalla volontà degli stipulanti, e, dall’altro, che l’estraneità alle parti contrattuali della vicenda dedotta in condizione escludeva qualsivoglia elemento di potestatività (e quindi di invalidità) della condizione».

Numero sentenza
Cassazione Civile, Sez. I, 16 dicembre 2020, n. 28717 – Pres. De Chiara, Rel. Campese
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