Con la sentenza n. 1692 del 26.09.2017, il Tribunale di Modena torna a pronunciarsi sull’argomento del concorso degli interessi di mora alla determinazione del tasso soglia, per confermare la tesi secondo la quale, al fine di verificare l’usurarietà di un contratto di mutuo, non è possibile procedere alla sommatoria tra il tasso contrattualmente pattuito per gli interessi corrispettivi ed il tasso stabilito per gli interessi moratori, attesa la diversità ontologica e funzionale tra gli stessi.
Nella fattispecie in esame, la mutuataria aveva convenuto in giudizio l’Istituto di credito sostenendo che il contratto di mutuo stipulato tra le parti dovesse considerarsi gratuito, stante la nullità ex art. 1815, II comma, c.c. della clausola inerente agli interessi usurari, con conseguente richiesta di condanna della Banca alla restituzione delle somme percepite e al risarcimento del danno non patrimoniale ex artt. 185 c.p. e 2059 c.c. A sostegno delle proprie pretese, parte attrice affermava che il tasso contrattuale e quello di mora, pur nella diversità di funzione, dovessero essere considerati cumulativamente ai fini dell’usura e che, sommati tra loro, superavano il tasso soglia vigente al momento della stipula del contratto.
Nel costituirsi in giudizio, l’Istituto di credito non negava di aver intrattenuto il rapporto negoziale dedotto dall’attore, ma eccepiva che, ai fini del calcolo dell’eventuale superamento del tasso soglia di cui alla legge 108/1996, il tasso contrattuale e quello di mora non potessero essere sommati e che, presi in considerazione singolarmente, nel caso di specie risultavano rispettosi delle rilevazioni trimestrali. La Banca convenuta richiamava, in particolare, il punto C4 delle Istruzioni della Banca d’Italia pro tempore vigenti, ove viene ribadito che, ai sensi del comma 4 dell’art. 644 c.p. come modificato, devono escludersi dal calcolo del tasso soglia usura gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento. Precisava, ancora, la Banca come tale principio fosse stato confermato dalla medesima Banca d’Italia anche nei chiarimenti resi nel 2013, secondo cui gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. Essendo, dunque, gli interessi moratori più alti – per compensare la banca del mancato adempimento -, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela.
La Banca eccepiva, pertanto, l’inammissibilità della operazione matematica consistente nella mera somma algebrica di interessi corrispettivi ed interessi moratori e nel confronto del risultato così raggiunto con i tassi soglia usura, che – al contrario – non sono comprensivi degli interessi di mora, conducendo una tale operazione a risultati del tutto inattendibili e fuorvianti, in quanto basata sulla comparazione di grandezze manifestamente disomogenee.
Con la pronuncia in commento, il Giudice modenese, nel respingere integralmente le domande attrici senza disporre attività istruttoria, coglie l’occasione per ribadire il principio secondo cui «gli interessi corrispettivi e quelli moratori … non sono tra loro cumulabili in considerazione della diversa natura di tali categorie di interessi, evidenziata dalla stessa attrice nell’atto introduttivo del giudizio (cfr. pag. 13-14). Ed invero, la valutazione in termini di usurarietà del contratto deve essere effettuata con esclusivo riguardo agli oneri che costituiscono remunerazione della messa a disposizione del capitale, mentre gli interessi moratori non costituiscono una forma di remunerazione, in quanto la loro funzione è quella di sanzionare l’inadempimento del cliente sulla base di una previsione pattizia riconducibile al genus delle clausole penali (cfr. Trib. Bologna, 28.6.2016, n. 1722)».
Spiega il Tribunale che «l’opinione contraria non prende le mosse dall’analisi della natura degli interessi moratori, basandosi piuttosto su alcune espressioni, normative o della giurisprudenza di legittimità, da cui discenderebbe la necessità di trattare gli interessi moratori “come se” fossero omogenei rispetto agli interessi corrispettivi. Del riferimento a tali incisi, tuttavia, non ci sarebbe bisogno se si potesse sostenere in maniera persuasiva che gli interessi moratori costituiscono, ontologicamente, una forma di remunerazione della messa a disposizione di una somma di denaro, come gli interessi corrispettivi».
La sentenza in esame conferma l’orientamento già espresso sul tema dal medesimo Tribunale di Modena, rinviando in particolare alle pronunce del 22.6.2017, est. Siracusano, e del 8.2.2017, n. 196, est. Rovatti, delle quali richiama letteralmente il seguente passaggio «Il Tribunale reputa persuasive le argomentazioni di chi (in particolare, Tribunale di Treviso, 12 novembre 2015) ha sostenuto che la norma d’interpretazione autentica del 2000, che parla di interessi dovuti a qualsiasi titolo, non avrebbe potuto fare ciò che i sostenitori della tesi opposta implicitamente assumono che abbia fatto, cioè modificare la struttura normativa dell’art. 644 cp “equiparando gli oneri da inadempimento (quali gliinteressi moratori) a remunerazioni e prestazioni corrispettive all’erogazione del credito”, dal momento che, invece, la funzione tipica delle norme interpretative è quella di chiarire retroattivamente il significato di norme che si prestino a interpretazioni dubbie o controverse».
Alla base dell’orientamento espresso dal Tribunale di Modena vi è, dunque, la condivisione del principio secondo cui «l’espressione “interessi convenuti a qualsiasi titolo” è analoga a quella che già figura nel testo dell’art. 644 cp (“sotto qualsiasi forma”) e, dunque, è ben possibile ritenere che il legislatore del 2000 si sia riferito agli interessi usurari per come già la norma incriminatrice aveva mostrato di qualificarli, cioè dati o promessi, sotto qualsiasi forma, purché “in corrispettivo”. […]». Precisa, inoltre, il Giudice modenese che «Il Tribunale ritiene molto più persuasivi … gli argomenti, ormai noti, tratti dal diritto europeo (art. 19, 2° paragrafo, direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, il quale espressamente esclude dal calcolo del taeg eventuali penali per inadempimento) e dal dirittointerno (art. 1284 comma IV cc, che, “nel commisurare il saggio d’interesse legale a quello previsto dalla normativa sulle transazioni commerciali dal momento della proposizione della domanda giudiziale di pagamento, se le parti non ne hanno determinato convenzionalmente la misura, sembra implicitamente consentire la previsione pattizia di interessi moratori superiori al tasso d’usura, che di regola è ben più basso del saggio d’interessi stabilito dalla citata legislazione sulle transazioni commerciali” cit.) successivi alla legge di interpretazione autentica. Nel caso di specie, gli attori non hanno allegato la misura degli interessi di mora eventualmente pagati e, pertanto, non sussistono i presupposti per valutarne la manifesta eccessività ai fini di una riduzione equitativa».
L’orientamento del Tribunale di Modena si colloca, dunque, nel solco della giurisprudenza maggioritaria (di recente, cfr. Tribunale di Bologna n. 20846 del 29 settembre 2017, su iusletter.com) che, a più riprese, sta tentando di scardinare la tesi della cd. “sommatoria” dell’interesse corrispettivo e dell’interesse moratorio ai fini della verifica di usurarietà del rapporto di mutuo, coltivata nelle aule giudiziarie soprattutto dalle associazioni dei consumatori e avallata da alcuni Giudici (cfr. ad es. la recente pronuncia del Tribunale di Viterbo n. 9 del 5 gennaio 2017, con nota di E. Tamborlini, in giustiziacivile.com), in quanto fondata su una interpretazione equivoca della giurisprudenza di legittimità espressa dalla sentenza della Cassazione n. 350/2013, che a sua volta fa leva sulla dizione dell’art. 1 del d.l. 394/2000 convertito in l. 24/2001 che si esprime in termini di interessi “convenuti a qualunque titolo”.
Come correttamente evidenziato dalla giurisprudenza maggioritaria, la celebre sentenza della Suprema Corte n. 350/2013, invocata a sostegno della tesi della cd. sommatoria, ha semplicemente affermato che il tasso di mora deve essere considerato ai fini della valutazione della usurarietà e che, pertanto, il Giudice deve verificare se il tasso di interesse corrispettivo e quello di mora, considerati singolarmente, superino o meno il tasso soglia. L’opinione contraria non trova, invece, alcun riscontro nel testo della citata sentenza della Cassazione, che non fa alcun cenno ad operazioni di sommatoria tra tassi. Tale operazione matematica risulta priva di supporto logico, prima ancora che giuridico, tenuto conto della rilevata diversità di natura e funzioni tra i tassi di interesse che si pretenderebbe di sommare e confrontare. Da un lato, infatti, gli interessi moratori assolvono ad una funzione risarcitoria, forfetizzata e preventiva, del danno da ritardo nel pagamento di una somma esigibile; quelli corrispettivi, invece, implicano la regolare esecuzione del rapporto e rappresentano il corrispettivo del prestito.
L’usurarietà degli interessi corrispettivi e moratori va, quindi, scrutinata con riferimento all’entità degli stessi, singolarmente considerati, e non già alla relativa sommatoria, atteso che detti tassi sono dovuti in via alternativa tra loro, e la sommatoria rappresenta un ‘non tasso’ od un ‘tasso creativo’, in quanto percentuale relativa ad interessi mai applicati e non concretamente applicabili al mutuatario (in questo senso, cfr. Tribunale di Bergamo, 25.02.2016, n.734; Tribunale di Milano, Dott. Francesco Ferrari, 16.02.2017, n.16873; Tribunale Reggio Emilia 6 ottobre 2015; in termini conformi anche Tribunale di Milano, 06-10-2015, n.11139; Tribunale Torino 14 maggio 2015, Tribunale Padova 27 gennaio 2015, Tribunale Milano 3 dicembre 2014 tutte su www.expartecreditoris.it).
Si ritiene, dunque, di condividere l’opinione di chi sostiene l’irrilevanza giuridica del cumulo delle due voci di interesse menzionate, non solo per la ricordata eterogeneità teleologica, puntualmente confermata dagli artt. 644 c.p. e 1815 c.civ., ma anche in ossequio al principio di civiltà giuridica del “nullum crimen sine lege” di cui all’art. 1 c.p. (così, Tribunale di Verona del 27 aprile 2014, su www.ilcaso.it). Non pare, dunque, corretto sindacare il rispetto del tasso-soglia legale mediante la comparazione del “tasso creativo” derivante dall’aggregazione giurisprudenziale criticata con un T.E.G.M. che non contempla gli interessi moratori, se non nella forma disaggregata. Il superamento del tasso-soglia così generato costituisce, pertanto, il risultato di una comparazione artificiosa di dati del tutto disomogenei (negli stessi termini, anche Tribunale di Treviso, 11-04-2014; Tribunale di Padova, 18-12-2014; Tribunale di Cremona, 09-01-2015; Tribunale di Milano, 29-01-2015, n. 1242).
Dello stesso avviso anche l’Arbitro Bancario Finanziario – Collegio di Napoli, secondo cui l’interesse moratorio non concorre in alcun modo nella rilevazione periodica e, quindi, nella formazione del c.d. tasso soglia. Oltre ad essere espressamente esclusi dal calcolo del TEGM, infatti, questi si pongono su un piano profondamente diverso rispetto agli interessi corrispettivi e non sono determinanti nella concessione del credito. Gli interessi moratori assolvono, dal punto di vista del debitore, ad un ruolo essenzialmente dissuasivo, ricordandogli che l’inadempimento comporta per lui un aggravio dell’onere, mentre, dal punto di vista del creditore, assumono un ruolo puramente risarcitorio, non rappresentando un vero e proprio corrispettivo del credito erogato (così, Arbitro Bancario Finanziario – Collegio di Napoli, provvedimento n. 125/14 del 05/02/2013. Nello stesso senso, cfr. le pronunce n. 5877 del 20-11-2013 e n. 21/14 del 26-11-2013 del medesimo Collegio di Napoli). In sostanza, per il cliente, la concreta applicazione degli interessi moratori dipende solo dal proprio comportamento e ciò – spiega l’ABF – conferma che si è al di fuori del fenomeno dell’usura.All’atto della stipula, infatti, gli interessi moratori si configurano quali interessi solo virtuali, i quali maturano su tutte le somme a qualsiasi titolo dovute dal cliente dal momento dell’inadempimento, ma senza che si verifichi alcuna sommatoria di interessi (corrispettivi e moratori).
La tesi, qui contestata, della cd. “sommatoria” tra tasso moratorio e tasso corrispettivo è stata ritenuta da alcuni Tribunali talmente infondata e pretestuosa da definirla una “mostruosità” (in questi termini, Tribunale di Padova, sentenza del 10 marzo 2015, Giudice Dr. Giorgio Bertola), tanto da giustificare la condanna per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 c.p.c. In quella occasione, il Giudice di merito, mandando in decisione la causa senza disporre attività istruttoria, aveva sottolineato come la fantasiosa deduzione di parte attrice non trovasse alcun riscontro nel testo della sentenza della Cassazione n. 350/2013 e come l’ostinazione nel sostenere tale tesi fosse sintomo di ignoranza del dettato normativo, nonché dell’evoluzione giurisprudenziale o in alternativa potesse qualificarsi quale dolo processuale, che si concretizza nel tentativo di indurre in errore l’organo giudicante e di creare un contenzioso seriale in materia bancaria, una materia estremamente tecnica e complessa che meriterebbe un diverso approccio.
Dello stesso avviso anche il Tribunale di Torino che, con sentenza del 17 settembre 2014, n. 5984, ha condannato l’attore ex art. 96, comma 3, c.p.c. al pagamento di una somma ulteriore pari alle spese liquidate, rilevando la manifesta inconsistenza della opposizione a decreto ingiuntivo dallo stesso promossa in quanto fondata sulla tesi della sommatoria tra il tasso d’interesse corrispettivo e quello moratorio ai fini della verifica del superamento del tasso soglia, tesi ritenuta contraria al dato normativo (da cui si ricava la diversa natura degli interessi corrispettivi e moratori, nonché il diritto della banca a pretendere interessi moratori sulla rata scaduta di un mutuo bancario con modalità conformi a quanto stabilito dalla Delibera del CICR del 9/2/2000),
Con la pronuncia in commento, invece, il Tribunale di Modena ha preferito optare per l’adozione di un atteggiamento più temperato, ritenendo non ricorrenti i presupposti per l’applicazione dell’art. 96 c.p.c., «tenuto conto che alcune questioni poste da parte attrice non sono risolte in modo univoco in giurisprudenza».
La pronuncia in esame si segnala, da ultimo, per aver preso posizione altresì sulla problematica degli effetti derivanti dalla asserita errata indicazione, nel contratto di mutuo, dell’indicatore sintetico di costo (ISC). Trattasi di una contestazione frequentemente formulata (si sarebbe portati a dire “ad abundantiam”, stante il carattere il più delle volte manifestamente generico delle relative allegazioni) nelle cause promosse contro gli Istituti di credito, volte a far dichiarare la nullità dei contratti di finanziamento (anche) per asserita indeterminatezza dei tassi ivi pattuiti.
Nel caso di specie, parte attrice aveva dedotto che l’ISC dichiarato nel contratto di mutuo fosse inferiore al TAEG verificato, con conseguente nullità della clausola ex art. 117, VI comma, TUB e sostituzione del tasso contrattuale con quello sostitutivo previsto dalla norma citata.
Rispetto a tale ulteriore profilo di nullità del contratto, il Giudice modenese osserva in primo luogo come le allegazioni di parte attrice risultino estremamente generiche, non essendo neppure stato indicato in cosa consisterebbe lo scostamento tra ISC dichiarato e TAEG verificato e, in particolare, quali sarebbero i parametri dei quali la banca convenuta non avrebbe tenuto conto. In ogni caso, precisa il Tribunale di Modena, «non si può non rilevare che l’art. 117 TUB richiamato da parte attrice commina espressamente la nullità delle clausole contrattuali che rinviano agli usi per la determinazione dei tassi di interesse o quelle che prevedono tassi, prezzi o condizioni più sfavorevoli di quelli pubblicizzati. In caso di inosservanza della disposizione citata, sono effettivamente previsti tassi sostitutivi (comma VII). L’indicatore sintetico di costo (ISC), invece, trova specifica disciplina nella delibera CICR 4.3.2003, adottata in attuazione dell’art. 116, III comma, TUB che attribuisce al CICR il potere di dettare disposizioni in materia di pubblicità delle operazioni e dei servizi. E’ un indice comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente, secondo la formula stabilita dalla Banca d’Italia; la circolare 21.4.1999, n. 299 modificata in conseguenza, ha stabilito che “il contratto e il documento di sintesi di cui al par. 8 della presente sezione riportano un “indicatore sintetico di costo” (ISC), calcolato conformemente alla disciplina sul tasso annuo effettivo globale (TAEG) ai sensi dell’ 122 del TU e delle relative disposizioni di attuazione, quando hanno ad oggetto le seguenti categorie di operazioni indicate nell’allegato alla delibera del CICR del 4.3.2003: – mutui; – anticipazioni bancarie; altri finanziamenti” (cfr. Trib. Bologna 28.6.2016, n. 1722). In materia di credito al consumo (fattispecie estranea a quella oggetto del presente giudizio), l’art. 125 bis, VI comma, del TUB commina espressamente la nullità delle clausole del contratto relative a costi non inclusi o inclusi in modo non corretto nel TAEG. Come osservato dal Tribunale di Bologna nella sentenza citata (cfr. 1722/2016), il legislatore ha espressamente sanzionato con la nullità (del contratto o di singole clausole) solo i casi di non corretta indicazione del TAEG (indice di costo nel finanziamento al consumo), ma non anche quelli di violazione dell’ISC “la cui non corretta indicazione può integrare, al più, una violazione della normativa in tema di trasparenza e quindi dare luogo ad una violazione del criterio di buona fede nella predisposizione e nell’esecuzione del contratto”».
La sentenza in commento conclude, quindi, nel senso della non configurabilità di alcuna ipotesi di nullità del contratto di mutuo e della non applicabilità dell’invocato tasso sostitutivo previsto dall’art. 117 TUB, «poiché nel caso in esame l’indicazione del costo o della condizione è presente nel contratto, ma non sarebbe stata correttamente inserita nell’ISC. Il dedotto inadempimento, che potrebbe astrattamente integrare una violazione della normativa contenuta nelle circolari CICR, non ha nel caso concreto cagionato alcun danno al mutuatario, che non ne ha neppure dedotto l’esistenza».
Il predetto indicatore non costituisce, dunque, elemento essenziale del contratto, poiché è un mero indicatore sintetico del costo complessivo dell’operazione e non incide sul contenuto della prestazione a carico del cliente ovvero sulla determinatezza o determinabilità dell’oggetto contrattuale, definita dalla pattuizione scritta di tutte le voci di costo negoziali (in questi termini, anche la già citata pronuncia del Tribunale di Bologna n. 20846 del 29 settembre 2017, su iusletter.com; in senso conforme, anche Trib. Salerno 31.1.2017; Trib. Mantova 2.5.2017; ABF collegio Napoli 9686 del 27.10.2016).
In altri termini, quale mero indicatore del costo complessivo del contratto, a sostanziale valenza informativa a fini di trasparenza contrattuale, l’ISC ha, semmai, valenza di regola di comportamento, integrante una mera obbligazione risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale, con la conseguenza che l’eventuale indicazione erronea potrà al più comportare una responsabilità per informazioni inesatte – sempre che sussista specifica domanda in tal senso e sia soddisfatto il corrispondente onere probatorio – ma non certo l’applicazione dell’art. 117 TUB (cfr in linea Trib. Monza 13.12.2016; Trib. Verbania 396/2016; ABF n. 9403 del 21.10.2016 Collegio Milano e n. 4953 del 26.5.2016 Collegio Roma).