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Giurisprudenza

Profili di rilevanza disciplinare della «crisi di gruppo» a seguito di Cass. n. 20559/2015

27 Ottobre 2015

Ugo Malvagna

Cassazione Civile, Sez. I, 13 ottobre 2015, n. 20559

Di cosa si parla in questo articolo

1.- Quattro società a responsabilità limitata (tre delle quali con sede a Milano, una a Pisa), appartenenti al medesimo gruppo imprenditoriale operante nel settore delle costruzioni navali, costituivano una s.n.c. con sede a La Spezia, cui conferivano la (quasi) totalità dei propri patrimoni. La nuova costituita proponeva nell’immediatezza domanda di concordato preventivo, cui veniva ammessa insieme alle quattro socie illimitatamente responsabili. La proposta di concordato (formalmente riferita alla s.n.c., e solo di riflesso alle s.r.l.) prevedeva la formazione di tre classi: i creditori della società holding; i creditori – in maniera indistinta – di tutte le operative; gli armatori. Unico il giudice delegato, venivano nominati due commissari giudiziali.

Contro l’omologazione del concordato concessa dal Tribunale di La Spezia veniva proposto un reclamo avente ad oggetto – per quanto qui interessa – i profili che si viene di seguito a indicare.

Veniva in contestazione, in primo luogo, il profilo della competenza territoriale: l’affermazione della competenza del Tribunale di La Spezia essendo l’esito dell’operazione societaria appena sopra riferita, la quale, priva di ogni reale dimensione produttivo-imprenditoriale, mirava – inter alia – proprio all’effetto di spostamento di una competenza inderogabile (quale è appunto quella del concordato preventivo ex art. 161 l.f.).

In secondo luogo, i reclamanti contestavano che dal concordato potesse derivare un effetto esdebitatorio totale per le socie, quando invece avrebbero dovuto restarne esclusi – così come prevede l’art. 184, co. 2 l.f. – i debiti personali di quelle.

Ancora, veniva censurata l’operazione di conferimento dei patrimoni di tutte le s.r.l. nella newco, la quale, in addizione con la formazione di classi «trasversali» (composte cioè da creditori delle diverse società operative), veniva a comportare che creditori di società dalla diversa consistenza patrimoniale ricevessero soddisfacimento dei propri crediti nella medesima percentuale, con ingiusto pregiudizio dei creditori delle società più capienti.

Infine, sul piano procedimentale, veniva negata la conformità all’assetto normativo vigente della predisposizione di una procedura di concordato di gruppo condotta mediante un’unica adunanza, un’unica votazione, una valutazione unitaria del raggiungimento delle necessarie maggioranze; ciò che appariva invece giustificabile nell’ottica formale, o se si vuole formalistica, secondo cui il soggetto ricorrente si identificava nella s.n.c.

2.- Decidendo sul reclamo in senso favorevole all’omologazione, la Corte d’Appello mostrava di intendere in termini particolarmente incisivi l’esigenza di valorizzare – nei suoi risvolti sulla disciplina applicabile al concordato preventivo – la dimensione unitaria della crisi di gruppo: con un provvedimento dalle linee argomentative talmente nette, che quasi sfioravano la petizione di principio. Posto che «il concordato di gruppo va comunque ammesso in ragione della meritevolezza giuridica di un concordato fondato su di un piano aziendale riferito all’impresa di gruppo, con legittima valutazione sostanziale e trattazione procedurale unitaria del piano concordatario e, quindi, gestione unitaria del concordato mediante un’unica adunanza e computo delle maggioranze riferito all’unico programma concordatario», ragionava la Corte, «a maggior ragione è ammissibile, come nella specie, quello della società in nome collettivo risultante dal conferimento in essa dei complessi aziendali».

Una simile premessa privava quindi di fondamento le censure di cui al reclamo. Così, veniva rigettata «l’eccezione di incompetenza territoriale, perché la s.n.c. ha sede sin dalla sua effettiva costituzione in La Spezia», e pure «la sede effettiva delle società di essa socie è» – per la dimensione di gruppo che le avvince, a quanto pare – «in tale città». Parimenti, discendeva dalla medesima premessa l’affermazione favorevole alla «estensione dell’effetto esdebitatorio alle società del gruppo, socie della s.n.c., in quanto [quelle] hanno dichiarato di agire “in proprio” chiedendo di essere ammesse tutte alla procedura, con conseguente superamento dell’effetto esdebitatorio parziale previsto dall’art. 184 l.f.». Da ultimo, ogni motivo di contestazione avente per oggetto i profili – sostanziali – della confusione delle masse attive delle società del gruppo, nonché quelli – procedimentali – delle regole di approvazione del concordato, rimaneva neutralizzato dalla considerazione della «intrinseca meritevolezza» del concordato di gruppo, negli specifici termini secondo cui era inteso dalla Corte d’Appello (e cioè come fondante una «legittima valutazione sostanziale e trattazione procedurale unitaria del piano concordatario»).

3.- Si assesta su posizioni pienamente contrastanti con quelle appena riferite la sentenza di Corte di Cassazione, sez. I, 13 ottobre 2015, n. 20559 (est. Nazzicone). In termini esattamente speculari rispetto al provvedimento della Corte d’Appello, anche la decisione del Supremo Collegio non viene a trattare i diversi profili disciplinari, sollevati dalla fattispecie concreta all’origine della controversia, in maniera analitica e autonoma – ammettendo cioè la possibilità di soluzioni opposte in relazione ai diversi temi in discussone –, bensì centra l’intera trattazione dei motivi di ricorso su una premessa, in sé asseritamente idonea a esaurire l’intero arco dei problemi: «precede l’esame dei motivi la considerazione che il giudizio non avrebbe potuto essere proposto, atteso che l’ordinamento giuridico italiano, allo stato attuale della legislazione, non contempla il cd. concordato preventivo di gruppo».

Alla rigida posizione di sconfinata apertura alla gestione unitaria del concordato di gruppo della Corte genovese viene così a contrapporsi una (altrettanto rigida) negazione dell’ammissibilità del «concordato di gruppo», adottata dalla Cassazione. La motivazione dell’assunto si arresta al rilievo secondo cui «l’attuale sistema del diritto fallimentare, in particolare per quanto attiene al concordato preventivo, non conosce il fenomeno, non dettando alcuna disciplina al riguardo, che si collochi sulla falsariga di quella enunciata in tema di amministrazione straordinaria …, [o di] ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza, … o con riguardo ai gruppi bancari od assicurativi insolventi». Dalla opposta soluzione al quesito sulla questione (presentata come) pregiudiziale, circa l’ammissibilità in sé del concordato di gruppo, vengono così a discendere opposte conseguenze sul piano disciplinare.

In tema di competenza territoriale, se è vero che «l’art. 161, co.1, l.f. non prevede l’attrazione degli altri fori a favore di quello della capogruppo, o di altro foro, allorché le società coinvolte abbiano sede legale in circondari diversi», allora «neppure l’operazione societaria posta in atto nella vicenda in esame … può superare in via interpretativa l’assenza di una disciplina positiva». Competenze anche diverse, quindi, per le distinte società.

Sotto il profilo dei limiti dell’effetto esdebitatorio, afferma il Collegio che il conferimento dell’intera azienda delle quattro s.r.l. non muta i debiti «personali» di quelle in debiti «sociali» della s.n.c.: e ciò impedisce la liberazione delle socie da tutti i propri debiti.

Netta è poi la chiusura nei confronti della substantive consolidation (i.e. della creazione di classi «trasversali» di creditori e della «confusione» delle masse attive destinate all’adempimento del concordato): «in presenza di un concordato di diverse società legate da rapporti di gruppo, occorre tenere distinte le masse attive e passive, che conservano la loro autonomia giuridica, dovendo restare separate le posizioni debitorie e creditorie delle singole società». Nel caso di specie, però, «il pregresso conferimento dei patrimoni nella neonata società ha nei fatti operato una commistione dei medesimi»; e, d’altra parte, il conferimento del patrimonio delle s.r.l. alla s.n.c. ha fatto sì che «tutti i creditori delle quattro società sono confluiti nel medesimo numero di classi, onde i creditori delle società meno capienti hanno inammissibilmente concorso con quelli delle società più capienti».

Non dissimile è infine la posizione fatta propria dalla decisione nei confronti dell’ammissibilità di una consolidation nella formazione delle «masse passive» (sub specie della formazione di un’unica adunanza, dell’esperimento di un’unica votazione e del calcolo «in monte» del raggiungimento delle maggioranze necessarie): che è di totale rigetto.

Nessuno spiraglio di ammissibilità, dunque, per l’operazione strutturata dalle quattro società capitalistiche: la quale altro non è – nella prospettiva del Collegio – se non un fallito tentativo empirico di aggirare i limiti attuali della disciplina fallimentare. O, se si vuole, una inammissibile forzatura del dato di legge.

4.- Non è difficile scorgere nella sentenza in discorso il suo intento preminente: che è nel senso di dissuadere la prassi giudiziaria da quegli orientamenti che, con sfumature e intensità differenti, sono venuti ad attribuire rilevanza disciplinare immediata alla dimensione produttivamente unitaria che unisce distinti soggetti del diritto, all’interno di un gruppo imprenditoriale; e dei quali la decisione della Corte d’Appello di Genova, cassata dalla Suprema con il provvedimento qui in commento, costituisce – quanto al merito delle soluzioni ivi accolte – punta avanzata, se non proprio estrema.

In crescita negli anni più recenti[1], l’orientamento in parola vede la propria genesi intorno alla metà degli anni novanta. Si tratta di un insieme di pronunce non certo esteso nei numeri, ma neppure irrilevante; oltre che – ed è questo un profilo che la Cassazione sembra aver obliterato – fortemente differenziato nei contenuti. In effetti, non esiste alcuna necessità logica o sistematica di alternative secche e unitarie (da «dentro o fuori», per intendersi) rispetto ai numerosi e diversi problemi disciplinari che la locuzione «concordato di gruppo» viene a racchiudere in sé. La soluzione positiva a uno dei quali non impone, cioè, una soluzione positiva per gli altri, né vale il contrario: così come dimostra un veloce elenco dei contenuti salienti di quelle pronunce.

Così, un primo profilo di rilevanza della crisi di gruppo ha riguardato il problema processuale dell’ammissibilità di un ricorso formalmente unitario al Tribunale; nonché quello, intrinsecamente connesso al primo, dell’ammissibilità di un unico decreto di ammissione alla procedura[2]. Altro tema affrontato, e talora risolto positivamente, in giurisprudenza – e la cui soluzione non dipende da quello, appena menzionato, dell’unità del ricorso – è quello relativo alla possibile nomina dei medesimi organi (giudice delegato; commissario giudiziale[3]) per la procedura delle diverse società del gruppo.

Un ulteriore blocco tematico su cui si registrano posizioni di apertura è quindi quello – discusso anche dalla Cassazione in commento – relativo alla competenza territoriale: in particolare, talune pronunce hanno stimato come ammissibile un effetto di attrazione della competenza delle società controllate verso la sede della capogruppo, mediante l’identificazione della sede effettiva della società del gruppo con quella della società «madre»[4].

In relazione ai requisiti contenutistici del piano necessari alla sua omologazione, un precedente valorizza – in maniera autonoma rispetto ai relativi profili procedurali – la dimensione unitaria della programmazione del risanamento di gruppo, subordinando il positivo esito delle procedure delle singole società a una valutazione di complessiva fattibilità del piano (recte dei piani) delle società del gruppo[5].

Ancora, pronunce dai contenuti opposti si registrano in tema di maggioranze necessarie all’approvazione. Così, se alcuni provvedimenti condizionano – stante la dipendenza della concreta attuabilità del piano di ristrutturazione del gruppo dal positivo riscontro di tutte le singole procedure – l’omologazione del concordato di ciascuna società del gruppo all’approvazione del medesimo piano da parte di tutte le altre società (con soluzione che è più restrittiva rispetto a quella, accolta dalla Cassazione, di non rilevanza del fenomeno di gruppo), una decisione ritiene al contrario – e per la medesima ragione – di superare il mancato raggiungimento della maggioranza richiesta in relazione a una delle società del gruppo, così omologando il concordato per tutte le società[6]. In quella pronuncia era stata pure ammessa la formazione di una unica adunanza e l’esperimento di una sola votazione; ma è chiaro che il primo tema (calcolo delle maggioranze) non dipende dal secondo (adunanza unitaria o separata; votazioni separate o unitarie). E infatti, la fissazione di una sola adunanza per tutte le società proponenti non implica di per sé la necessità deliberazioni unitarie, e quindi del calcolo «in monte» del raggiungimento delle maggioranze: ciò di cui pure taluni precedenti offrono la prova[7].

Infine, un gruppo di decisioni affronta e risolve in termini positivi il quesito, tra i più delicati, circa la possibile destinazione di cespiti di una delle società del gruppo al soddisfacimento dei creditori delle altre (e cioè dell’unificazione delle «masse attive» delle società in crisi); lasciando quindi in capo ai creditori, attraverso l’esercizio del voto, la valutazione circa la convenienza di un simile progetto di gestione unitaria[8]. In merito a questi profili, va peraltro rilevato che la differente conformazione che tale unificazione riveste nelle varie fattispecie concrete sottrae l’argomento a ogni possibilità di generalizzazione[9].

5.- La varietà dei temi oggetto degli orientamenti delle Corti di merito appena riferiti e, soprattutto, la riscontrata assenza della necessità di risposte monolitiche e indifferenziate nel senso della ammissibilità o meno del «concordato di gruppo» consigliano di ridimensionare – al di là delle intenzioni dichiarate nella motivazione – il reale portato decisorio della pronuncia della Suprema Corte qui in commento. Portato che non è (né può essere inteso come) quello di una chiusura generalizzata e indiscriminata a ogni profilo di immediata rilevanza disciplinare del fenomeno della «crisi di gruppo». Piuttosto, il dictum della Cassazione va inteso per ciò che effettivamente stabilisce: e cioè, da un lato, che il legame di gruppo non è di per sé solo sufficiente a unificare la competenza per la procedura di concordato nel Tribunale della capogruppo; e, dall’altro, che il tentativo «empirico» di fusione delle masse attive e passive, realizzato nella forma di cui alla fattispecie concreta alla quale la sentenza si riferisce (costituzione di s.n.c. e contestuale conferimento del patrimonio delle società di capitali di quella socie), non è legittimamente realizzabile; né il conseguente effetto esdebitatorio «totale» è raggiungibile mediante un’operazione siffatta.

Ciò detto, risulta allora evidente che una serie molto più numerosa di profili che gravitano attorno alla nozione (polisemica, può ora dirsi) di «concordato di gruppo» restano al di fuori del perimetro decisionale della pronuncia del Supremo Collegio.

Così quello, relativo alla determinazione della competenza territoriale, della verifica in fatto che la società soggetta a direzione e coordinamento sia così strettamente sottoposta alle direttive della capogruppo, da doversi ritenere che il «centro direttivo ed amministrativo degli affari dell’impresa» (così Cass., Sez. Un., 25 giugno 2013, n. 15872) della prima venga a trovarsi nella sede di quest’ultima.

Il medesimo discorso vale poi per il profilo della facoltà/opportunità che gli uffici giudiziari nominino i medesimi organi per procedure formalmente distinte, ma economicamente e fattualmente connesse. E quindi, in via ulteriore, per quello di un’eventuale unificazione delle «masse attive» mediante operazioni societarie (ad es., una fusione tra le società del gruppo soggette a concordato) da realizzarsi – non prima di accedere alla procedura, come nella fattispecie di cui al decreto del Tribunale di La Spezia, bensì – in esecuzione del piano[10]. Facoltà (quella della fusione con altre società, le quali a loro ragionevolmente avranno delle esposizioni debitore) che è concessa per concordati «monadi», e non vi è ragione di negare per quelli di gruppo.

La stessa valutazione è riferibile anche al tema dei criteri secondo cui condurre la valutazione di fattibilità di ciascun concordato, nelle distinte sedi di omologazione. In particolare, la dimensione unitaria del progetto di rilancio dell’impresa organizzata in forma di gruppo dovrebbe emergere in quelle ipotesi in cui la mancata approvazione/omologazione del piano relativo a una società impedisca l’effettiva e concreta attuazione di piani delle altre: perché il piano di risanamento è, dal punto di vista industriale, unitario; oppure perché tra quelle società intercorrono posizioni creditorie reciproche (com’è evidente, al di fuori dei casi in cui risulta applicabile l’art. 2497-quinquies c.c.).

E infine, nella medesima prospettiva, conviene rilevare che la Cassazione in discorso nemmeno tocca il problema della adeguata pianificazione, da parte dell’ufficio fallimenti, dell’ordine delle votazioni nei concordati – che pure restano strutturalmente distinti – appartenenti a un unico disegno di risanamento/liquidazione; nonché dell’eventuale rilievo del voto contrario di un’altra società del gruppo, alla stregue di una sopravvenienza rilevante ai sensi dell’art. 179, co. 2, l.f. Ma è chiaro che l’elenco potrebbe continuare.

In merito a tali vasti profili, resta comunque sicuro che, se è vero che il vincolo di gruppo non può costituire un lasciapassare per soluzioni disciplinari «di favore» extra ordinem, sarebbe altrettanto irragionevole negare che quel vincolo non possa, e non debba, ricevere adeguato rilievo – nella prospettiva di una più efficace gestione delle procedure – all’interno dei limiti segnati dall’ampia libertà nella conformazione del piano, che spetta all’imprenditore (basta, in questo senso, rinviare alla formulazione dell’art. 160 l.f.), nonché dei poteri ordinatori della trattazione e valutativi della proposta di concordato, che l’ordinamento attribuisce agli uffici giudiziari.

 


[1] Trib. Trani, 29 dicembre 2010, su IlCaso.it; Trib. Roma, sez. Fallimentare, 7 marzo 2011, su IlCaso.it; Trib. Roma, sez. Fallimentare, 25 luglio 2012, su IlCaso.it; Trib. Ravenna, sez. Fallimentare, 6 marzo 2013, su IlCaso.it; Trib. Terni, sez. Fallimentare, 17 gennaio 2014, su Unijuris.it; Trib. Ferrara, sez. Fallimentare, 8 aprile 2014, su IlFallimentarista.it; Trib. Palermo, sez. IV, 4 giugno 2014, su Unijuris.it.

[2] Tribunale Ivrea, 21 febbraio 1995, in Fallimento, 1995, 969, con nota di Fabiani; del medesimo tenore, a quanto riferisce Poli, Il concordato preventivo di gruppo. Rassegna di giurisprudenza, in Giur. Comm., 2014, II, 735, Trib. Parma, 10 luglio 2008, inedita, e Trib. Bologna, 8 ottobre 2009, inedita.

[3] Nel caso affrontato dalla Cassazione qui in commento il giudice delegato era il medesimo, mentre diversi erano i commissari giudiziali; così anche nel caso deciso dal Trib. Bologna (nt. 2). In Trib. Parma (nt. 2) c’era invece totale identità degli organi (anche i commissari giudiziali coincidevano).

[4] V. ad esempio Trib Ravenna (nt.1).

[5] Si tratta di Trib. Ivrea, 21 febbraio 1995, in Fallimento, 1995, 969, con nota di Fabiani.

[6] Cfr., Trib. Crotone, 28 maggio 1999, in Giust. Civ., 2000, I, 1533, con nota di Colognesi, Ancora in tema di concordato preventivo di gruppo.

[7] V. infatti Trib. Roma, 7 marzo 2011 (nt. 1).

[8] Cfr. Trib. Palermo (nt. 1).

[9] Cfr. Trib. Ferrara (nt.1), in cui le società del gruppo avevano avviato diverse procedure, tutte aventi per oggetto il medesimo piano di concordato, che avrebbe dovuto portare a una fusione delle società a seguito dell’omologazione. Diverso è il caso deciso dalla Cassazione qui in commento, in cui la «confusione» delle masse attive precedeva l’avvio della procedura di concordato.

[10] È il caso deciso dal Trib. Ferrara (nt.1).

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