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Profili giuridici delle cartolarizzazioni immobiliari e di beni mobili registrati

26 Giugno 2020

Norman Pepe, Fabrizio Occhipinti e Ludovico Vignocchi, Italian Legal Services

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Profili generali. – 2.1. Cartolarizzazione di “proventi”: cartolarizzazione di “crediti” o cartolarizzazione di “beni”? – 2.2. Quale modello di isolamento del rischio di credito del cedente. – 2.3. La separazione e la destinazione patrimoniale nelle operazioni di cartolarizzazione ex art. 7.2. – 2.4 Regime limited recourse ex lege. – 3. Profili applicativi. – 3.1 Requisiti regolamentari del soggetto cui siano conferiti compiti di amministrazione e gestione. – 3.2. Applicabilità del Regolamento (UE) n. 2402/2017 in materia di cartolarizzazioni semplici, trasparenti e standardizzate (c.d. “Regolamento Cartolarizzazioni”). – 3.3. Individuazione dei beni e diritti (rectius: i cui proventi sono) oggetto di destinazione patrimoniale e formalità di separazione. – 4. Conclusioni.

 

1. Introduzione

Il presente contributo si prefigge di analizzare alcuni specifici aspetti della disciplina di recente introduzione in materia di “cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla titolarità di beni immobili, beni mobili registrati e diritti reali o personali aventi ad oggetto i medesimi beni” (cfr. art. 7, comma 1, lett. b-bis) e art. 7.2 della l. 30 aprile 1999, n. 130).

In particolare, ci occuperemo, nella sezione “Profili generali”, di una serie di tematiche giuridiche qualificanti l’intero impianto del nuovo istituto. A seguire, nella sezione “Profili operativi”, concentreremo la nostra attenzione su questioni più di dettaglio e di presumibile interesse per gli operatori di mercato.

2. Profili generali

2.1. Cartolarizzazione di “proventi”: cartolarizzazione di “crediti” o cartolarizzazione di “beni”?

A parere di chi scrive, l’analisi del modello di cartolarizzazione delineato dall’art. 7.2 si interseca con le riflessioni a suo tempo svolte in materia di cartolarizzazione di crediti futuri mediante finanziamento destinato ad uno specifico affare e di whole business securitisation[1]. Non appare infatti casuale che il regime di separazione patrimoniale previsto dall’art. 2447-decies c.c. abbia anch’esso ad oggetto “proventi” (in quest’ultimo caso, quelli dell’“affare” finanziato). In quella sede, abbiamo notato come la dottrina abbia proposto due possibili interpretazioni del concetto di “proventi”, vale a dire, secondo alcuni, quella di “proventi quali risultato netto che residua dallo svolgimento dell’affare” e, secondo altri, quella di “proventi quale flusso di denaro proveniente dall’affare”. La distinzione appare, peraltro, funzionale alle specificità del dibattito relativo a quell’istituto mentre, ai fini che qui interessano, riteniamo di poter accogliere l’accezione più ampia (vale dire, proventi intesi quali flusso di denaro riveniente da una specifica fonte).

In questa prospettiva (di cui, prima dell’introduzione dell’art. 7.2, il modello delineato dall’art. 2447-decies c.c. costituiva il paradigma) e diversamente da quanto accade nelle tradizionali operazioni di cartolarizzazione di crediti, il “credito” perde di centralità e diventa il passante (peraltro eventuale) tra la fonte del provento e il provento stesso. Al di là dei distinguo tecnico-giuridici e guardando alla sostanza del fenomeno, sussiste dal punto di vista ontologico un continuum economico-funzionale tra questi tre elementi (fonte – credito – provento) che, nell’insieme, costituiscono un unico “ciclo produttivo” del provento.

Nella prospettiva dell’operazione di cui all’art. 7.2, la “fonte” si identifica con la “titolarità di beni immobili, beni mobili registrati e diritti reali o personali aventi ad oggetto i medesimi beni” e il legislatore sembra aver identificato nel relativo “ciclo produttivo” del provento (che dal bene immobile o bene mobile registrato passa per il credito per completarsi con il provento) l’oggetto stesso dell’operazione di cartolarizzazione[2].

2.2. Quale modello di isolamento del rischio di credito del cedente

In stretta coerenza con questa impostazione, il legislatore ha indicato, in maniera precisa, il meccanismo tramite cui il processo di isolamento dell’oggetto dell’operazione di cartolarizzazione dal rischio di credito del cedente viene realizzato. Diversamente dalle fattispecie di cui all’art. 7, comma 1, lett. a)[3] e dello stesso art. 2447-decies c.c., l’art. 7.2 ha previsto più semplicemente che la “fonte” (intesa in questo caso come l’insieme di beni immobili, beni mobili registrati e diritti reali o personali sugli stessi) sia essa stessa isolata dal rischio di credito del cedente mediante trasferimento della titolarità giuridica in capo alla società di cartolarizzazione. In questo senso l’art. 7, comma 1, lett. b-bis) appare chiarissimo: “operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla titolarità, in capo alla società di cui all’articolo 7.2, di beni immobili, beni mobili registrati e diritti reali o personali aventi ad oggetto i medesimi beni”.

Sotto questo profilo (modalità di isolamento dal rischio di credito del cedente), il modello di cui all’art. 7.2 appare in linea con il meccanismo impiegato nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione “tradizionali”.

Secondo questa ricostruzione, le formule “cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla titolarità di beni immobili, beni mobili registrati e diritti reali o personali aventi ad oggetto i medesimi beni” e “cartolarizzazione immobiliare e di beni mobili registrati”[4] diventano, pertanto, tra loro interscambiabili.

Questo modello di cartolarizzazione, per quanto forse percepito come innovativo dagli operatori domestici, rientra agevolmente nella definizione che di “cartolarizzazione” viene data dal Regolamento (UE) n. 1075/2013 della Banca Centrale Europea (a sua volta richiamato dal provvedimento di Banca d’Italia contenente le “Disposizioni in materia di obblighi informativi e statistici delle società veicolo coinvolte in operazioni di cartolarizzazione”)[5]. Alla luce di tale definizione non sembrano infatti porsi particolari dubbi circa il fatto che il sottostante dell’operazione di cartolarizzazione detenuto dalla società di cartolarizzazione possa essere costituito da “attività” (rectius: attivi) diverse da crediti. A parere di chi scrive, nel concetto di “attività” non dovrebbe potersi far rientrare lo svolgimento di un’attività imprenditoriale separata dalla mera titolarità di beni e crediti, rimanendo quindi precluso alla società di cartolarizzazione, nel caso di beni immobili, l’esercizio di attività economiche all’interno dei beni immobili da essa posseduti (dovendosi presumibilmente ammettersi solo l’attività di gestione, valorizzazione, messa a reddito e dismissione di tali beni)[6].

2.3. La separazione e la destinazione patrimoniale nelle operazioni di cartolarizzazione ex art. 7.2

Una volta identificato il modello di isolamento dal rischio di credito del cedente, il legislatore ha dovuto approntare ulteriori meccanismi per risolvere potenziali conflitti tra le pretese concorrenti dei creditori – a vario titolo – della società di cartolarizzazione.

A tal riguardo, l’art. 7.2, comma 2, secondo periodo, specifica che «[i] beni e i diritti individuati, le somme in qualsiasi modo derivanti dai medesimi beni, nonché ogni altro diritto acquisito nell’ambito dell’operazione di cartolarizzazione dalle società di cui al comma 1costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello delle società stesse e da quello relativo alle altre operazioni». Sotto un profilo giuridico, tale separazione patrimoniale ha quale principale conseguenza quella di escludere i creditori sociali diversi dai “creditori nell’ambito dell’operazione di cartolarizzazione” (secondo la formulazione utilizzata all’art. 7.2, comma 1), e pertanto sia i creditori “propri” della società di cartolarizzazione sia i creditori nell’ambito di altre operazioni di cartolarizzazione, dalla possibilità di soddisfare le proprie pretese a valere sui beni, diritti e somme oggetto di separazione patrimoniale.

Più articolata e complessa appare, invece, l’analisi in materia di destinazione patrimoniale. A tal riguardo ci sia permesso un piccolo excursus con riguardo alla più generale disciplina che di questo istituto viene offerta all’interno della l. 30 aprile 1999, n. 130.

Da un punto di vista generale, la destinazione patrimoniale è concetto (per così dire) “complementare” rispetto a quello di separazione patrimoniale, nel senso che, mentre quest’ultima, come abbiamo visto, definisce (in negativo) i limiti alla responsabilità patrimoniale della società di cartolarizzazione relativamente a specifici beni e diritti escludendo alcuni creditori sociali, la destinazione patrimoniale identifica (in positivo) la categoria di creditori sociali al soddisfacimento delle cui pretese i proventi o somme derivanti dai predetti beni e diritti sono vincolati. A tal proposito, non può non segnalarsi come, di regola, i creditori beneficiari della destinazione patrimoniale siano gli unici soggetti che possono aggredire il patrimonio separato da cui tali proventi o somme derivano (quanto meno fino a che tali soggetti non siano stati integralmente soddisfatti). Non può peraltro escludersi, in linea di principio, che possa sussistere un’“intercapedine” tra il perimetro di creditori esclusi per effetto della separazione patrimoniale, da un lato, e, dall’altro lato, il novero dei creditori beneficiari della destinazione patrimoniale, vale a dire gli eventuali “creditori nell’ambito dell’operazione di cartolarizzazione” che non beneficino della destinazione patrimoniale.

Precedentemente ai più recenti interventi di riforma della l. 30 aprile 1999, n. 130, questo tertium genus sembrava costituire un’ipotesi del tutto residuale in quanto, dal combinato disposto dell’articolo 1, comma 1, lett. b), dell’articolo 3, comma 2, e dell’articolo 4, comma 2, dovrebbe ragionevolmente concludersi (nonostante qualche piccola incongruenza[7]) che le somme rivenienti dai crediti cartolarizzati siano destinate in via esclusiva a soddisfacimento dei diritti dei portatori dei titoli e degli altri creditori nell’ambito dell’operazione di cartolarizzazione (in altre parole, tutti i creditori della cartolarizzazione), e che questi siano gli unici soggetti che possano aggredire il patrimonio separato.

Questa impostazione non sembra essere stata seguita dalla disciplina sulle cartolarizzazioni immobiliari, ai sensi della quale «i beni ed i diritti [rectius: i proventi da essi derivanti] [sono] destinati al soddisfacimento [solo] dei diritti dei portatori dei titoli e delle controparti dei contratti derivati con finalità di copertura dei rischi insiti nei crediti e nei titoli ceduti» (cfr. art. 7.2, comma 2, primo periodo) e «[s]u ciascun patrimonio separato non sono ammesse azioni da parte di qualsiasi creditore diverso dai portatori dei titoli emessi dalle società ovvero dai concedenti i finanziamenti da esse reperiti ovvero dalle controparti dei contratti derivati con finalità di copertura dei rischi insiti nei crediti e nei titoli ceduti» (cfr. art. 7.2, comma 2, terzo periodo). Tralasciando le problematiche connesse con il parziale disallineamento tra soggetti beneficiari della destinazione patrimoniale e il novero di quelli che possono aggredire il patrimonio separato (essendo i “concedenti i finanziamenti” ricompresi tra questi ultimi ma non inclusi tra i primi)[8], occorre analizzare la posizione giuridica dei “creditori nell’ambito dell’operazione di cartolarizzazione” diversi dai portatori dei titoli, dalle controparti dei contratti derivati e dai concedenti i finanziamenti.

L’idea che l’attuale assetto normativo sia il frutto di una dimenticanza o di mera sciatteria redazionale e non di una precisa scelta legislativa appare poco convincente. In questo senso sembra deporre il fatto che questa impostazione era già presente nel d.l. 25 settembre 2001, n. 351 in materia di cartolarizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato (provvedimento che per molti versi costituisce l’antesignano del moderno art. 7.2). In quel caso sia la destinazione patrimoniale sia le limitazioni all’aggredibilità del patrimonio separato erano dirette a beneficio dei portatori dei titoli e dei concedenti i finanziamenti reperiti dalla società per la cartolarizzazione.

A voler ammettere che si tratti di una scelta consapevole, dovrebbe dedursene che, a mente dell’art. 7.2, sussiste una classe di creditori sociali che sono “creditori nell’ambito dell’operazione di cartolarizzazione” (e come tali vincolati al regime limited recourse ex lege di cui si dirà infra) ma che non beneficiano né della destinazione patrimoniale né della facoltà di aggredire il patrimonio separato. Dato che una tale impostazione apparirebbe quanto meno discutibile, occorre verificare se sia possibile proporre una interpretazione adeguatrice della norma che possa valorizzare il dato testuale preservando profili di coerenza sistematica. A tal riguardo si potrebbe sostenere che alla classe di creditori sociali di cui sopra la legge, oltre a non precludere l’avvio di procedimenti di cognizione volti all’accertamento dei propri diritti nei confronti della società di cartolarizzazione e alla condanna di quest’ultima al pagamento, dovrebbe comunque permettere di esperire azioni esecutive a valere sul residuo patrimonio separato una volta che i soggetti beneficiari della destinazione patrimoniale siano stati integralmente soddisfatti. In altre parole, la segmentazione tra classi di “creditori nell’ambito dell’operazione di cartolarizzazione” si risolverebbe in una sorta di priorità accordata dalla legge ad alcuni di questi creditori rispetto ad altri (e, possibilmente, a questi ultimi rispetto a tutti altri creditori della società di cartolarizzazione). Tutto questo non appare di per sé irragionevole. Nell’ottica delle operazioni S.C.I.P., ad esempio, un tale approccio ben potrebbe aver trovato giustificazione (al di là di quanto poi previsto in via convenzionale) nell’interesse dello Stato a garantire una protezione rafforzata agli investitori (portatori dei titoli e finanziatori) rispetto a quella accordata agli altri soggetti partecipanti. Appare chiaro che in un tale contesto normativo una connotazione particolare verrebbero ad assumere le pattuizioni convenzionali in materia, in particolare, di non petition e di subordination, soprattutto dal punto di vista della classe di creditori che risulterebbero antergati ex lege.

Non nascondiamo, da ultimo, qualche perplessità circa l’effettiva tenuta di questa impostazione rispetto a creditori che, come quelli da illecito aquiliano, siano diventati tali proprio malgrado e senza un’interazione volontaria con la società di cartolarizzazione. A tal riguardo, riteniamo auspicabile che queste operazioni si dotino di coperture assicurative adeguate aventi come beneficiari specifiche categorie di terzi danneggiati, e rispetto ai cui proventi i partecipanti all’operazione (e in particolare i portatori dei titoli, le controparti dei contratti derivati e i concedenti i finanziamenti) abbiano espressamente rinunciato a qualsiasi beneficio loro accordato ex lege.

2.4. Regime “limited recourse” ex lege

La disciplina delle cartolarizzazioni immobiliari diverge anche sotto un altro ed importante profilo rispetto alle operazioni di cartolarizzazione di crediti “tradizionali”. In linea infatti con quanto già disposto nel d.l. 25 settembre 2001, n. 351 in tema di cartolarizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato, l’art. 7.2 prevede, al comma 1, che «[d]elle obbligazioni nei confronti dei portatori dei titoli, nonché di ogni altro creditore nell’ambito di ciascuna operazione di cartolarizzazione, risponde esclusivamente il patrimonio separato con i beni e diritti di cui al comma 2 del presente articolo». Questa disposizione (presumibilmente di natura imperativa e inderogabile) sembra introdurre una limitazione ulteriore alla responsabilità patrimoniale della società di cartolarizzazione nell’ambito di ciascuna operazione, che va ben al di là delle usuali previsioni contrattuali in materia di cc.dd. esigibilità limitata (limited recourse).

Non può passare infatti inosservato il fatto che, data la latitudine della formulazione utilizzata, la norma appaia potenzialmente idonea a vincolare i “creditori nell’ambito dell’operazione di cartolarizzazione” a prescindere dall’assunzione da parte degli stessi di qualsivoglia impegno in tal senso in via convenzionale e, quindi, addirittura, anche in assenza di un loro diretto coinvolgimento in accordi contrattuali di sorta. Se così fosse, sarebbe forse lecito pensare che, consapevole delle peculiarità dell’operazione di cartolarizzazione in questione, il legislatore abbia inteso rafforzare la tenuta della bankruptcy remoteness della società di cartolarizzazione fino al punto di vincolare, ope legis, soggetti quali il fisco e i creditori da illecito aquiliano.

Si tratterebbe di una cautela che potrebbe ben difficilmente non condividersi laddove solo si pensi che, in netta contrapposizione con la tendenziale innocuità di una posizione giuridica attiva quale quella sottesa alla titolarità di un credito, nel caso di specie il coinvolgimento di un bene fisico nell’operazione di cartolarizzazione aumenta esponenzialmente la probabilità di assunzione da parte della società di cartolarizzazione di passività e rischi di natura operativa e non. Peraltro, tale limitazione non sembrerebbe ridurre la possibilità per i creditori da illecito extracontrattuale di agire contro gli eventuali agenti della società di cartolarizzazione cui possa essere ascritto il comportamento doloso o colposo che abbia loro causato il danno.

3. Profili applicativi

3.1 Requisiti regolamentari del soggetto cui siano conferiti compiti di amministrazione e gestione

La definizione del regime autorizzativo applicabile al soggetto cui sono conferiti poteri di amministrazione o gestione in forza del richiamo all’articolo 7.1, comma 8, primo periodo, sembra rivestire un ruolo di primaria importanza nel dibattito che si è sviluppato all’indomani della modifica all’art. 7, comma 1, lett. b-bis) e dell’introduzione dell’art. 7.2 da parte dal d.l. 30 aprile 2019, n. 34 (c.d. Decreto Crescita) come convertito dalla l. 28 giugno 2019, n. 58. Ciò evidentemente non solo per questioni di natura squisitamente giuridica ma anche, e soprattutto, per le rilevanti implicazioni che il tema può avere sul piano commerciale.

I primi (pochi) commenti apparsi sembrano indicare due esiti interpretativi divergenti. Da un lato, è stato sostenuto che il soggetto in questione debba necessariamente essere una s.g.r. autorizzata a gestire fondi immobiliari[9]. Ciò in quanto i possibili destinatari della delega gestoria sarebbero individuabili esclusivamente tra i soggetti indicati nel secondo periodo (pur non richiamato dall’art. 7.2) del citato articolo 7.1, comma 8, vale a dire banche, intermediari finanziari, s.i.m. e, appunto, s.g.r., e in considerazione del fatto che banche, intermediari finanziari e s.i.m. possono esercitare l’attività di detenzione e gestione di immobili solamente in maniera accessoria e strumentale. Altri, per converso, hanno assunto una posizione molto più liberale interpretando il generico riferimento all’“adeguata competenza” e alle “necessarie abilitazioni o autorizzazioni in conformità alle disposizioni di legge applicabili” come una clausola di raccordo rispetto a futuribili ed eventuali disposizioni di legge che riconducano questa figura ad un regime autorizzativo specifico[10].

Per quanto ci riguarda, desideriamo notare preliminarmente che dall’analisi letterale del combinato disposto degli articoli 7.2 e 7.1, comma 8, primo periodo emergono due dati. In primis, il conferimento di una delega gestoria a un soggetto terzo sembra configurarsi come necessario nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione immobiliare. In secondo luogo, sembra che detto soggetto possa essere chiamato a svolgere un’attività di property management ovvero una vera e propria “gestione” del portafoglio immobiliare della società di cartolarizzazione ovvero, ancora, entrambe le citate attività.

Posto quanto sopra, a nostro avviso, l’analisi non può prescindere dall’attività concretamente svolta dal soggetto destinatario della delega e ciò sia per identificare i requisiti di competenza richiesti sia il regime autorizzativo applicabile. Così, in caso di property management, l’amministrazione dei singoli beni immobili, infatti, potrà verosimilmente essere delegata a un operatore professionale che possa vantare un track record adeguato rispetto all’attività delegata. Per questo tipo di attività è oggi richiesta solamente una segnalazione certificata di inizio attività presso il comune e la camera di commercio competenti con indicazione del relativo codice Ateco (68.32.00), non essendo più previsto il previo rilascio di licenza del questore ai sensi del T.U.L.P.S.

Per contro, una riflessione più articolata si impone per il caso di attività più propriamente gestoria in quanto potenzialmente riconducibile, a certe condizioni, a forme di gestione collettiva del risparmio. A tal proposito occorre innanzitutto osservare che ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. g) della Direttiva 2011/61/UE (la c.d. Alternative Investment Fund Managers Directive o AIFMD) e dell’art. 32-quater, comma 2, lett. g) del Testo Unico della Finanza, la disciplina in materia di gestione collettiva del risparmio non troverebbe applicazione con riguardo alle “società veicolo di cartolarizzazione”, vale a dire quei soggetti il cui unico scopo sia effettuare una o più operazioni di cartolarizzazione come definite nel Regolamento (UE) n. 1075/2013 della Banca Centrale Europea (cfr. supra, nota n. 5).

Ciononostante, a voler valorizzare le argomentazioni a sostegno della prima (e più restrittiva) delle due tesi sopraesposte, a parere di chi scrive, pur non sussistendo le condizioni per una generale applicazione della disciplina in materia di gestione collettiva del risparmio (e, in particolare, la necessità che il soggetto delegato sia una s.g.r.) dovrà condursi un’analisi di dettaglio (alla luce degli effettivi accordi intercorrenti tra i soggetti coinvolti – in primis, tra la società di cartolarizzazione, i portatori dei titoli e il soggetto delegato -) volta a verificare, alla luce della normativa applicabile, se si sia – nei fatti – di fronte ad un’attività di gestione collettiva del risparmio che richieda il coinvolgimento di un soggetto all’uopo autorizzato[11].

3.2 Applicabilità del Regolamento (UE) n. 2402/2017 in materia di cartolarizzazioni semplici, trasparenti e standardizzate (c.d. “Regolamento Cartolarizzazioni”)

Laddove si intenda impiegare il modello della cartolarizzazione immobiliare nel contesto di operazioni di structured financing rispetto al sottostante asset immobiliare (con prevedibile emissione di più classi di titoli), diventa rilevante verificare se l’operazione rientri nell’ambito di applicazione del Regolamento Cartolarizzazioni.

È appena il caso di accennare in questa sede che il Regolamento Cartolarizzazioni, applicabile ad operazioni i cui titoli siano emessi a decorrere dal 1° gennaio 2019, richiede che il cedente, il promotore o il prestatore originario mantenga un interesse significativo nelle esposizioni sottostanti alla cartolarizzazione, mantenendo una esposizione economica netta ai rischi sottostanti in questione (c.d. retention requirement), nonché il rispetto di una serie di onerosi impegni informativi a beneficio degli investitori finali. Ciò al fine di fornire a tali investitori una fonte individuata e controllata che consenta loro un’adeguata analisi dei dati necessari per lo svolgimento di una due diligence che permetta la valutazione dei relativi rischi, così rafforzando, più in generale, la fiducia tra i partecipanti al mercato.

A tal proposito, rileviamo che, ai sensi dell’art. 2 del Regolamento Cartolarizzazioni, per “cartolarizzazione” si intende «l’operazione o lo schema in cui il rischio di credito associato ad un’esposizione o a un portafoglio di esposizioni è diviso in segmenti, avente tutte le seguenti caratteristiche: a) i pagamenti effettuati nell’ambito dell’operazione o dello schema dipendono dalla performance dell’esposizione o del portafoglio di esposizioni; b) la subordinazione dei segmenti determina la distribuzione delle perdite nel corso della durata dell’operazione o dello schema; c) l’operazione o lo schema non crea esposizioni che possiedono tutte le caratteristiche elencate all’articolo 147, paragrafo 8, del regolamento (UE) n. 575/2013» (enfasi nostra).

Di particolare interesse a questi fini è l’esclusione operata dalla lettera (c) della definizione di “cartolarizzazione”con riguardo a quelle operazioni che creano esposizioniderivanti da c.d. “finanziamenti specializzati”, come identificate all’articolo 147, paragrafo 8, del Regolamento (UE) n. 575/2013 (c.d. Capital Requirements Regulation o CRR). Si tratta di esposizioni a) vantate verso un’entità creata ad hoc per finanziare o amministrare attività materiali o esposizioni economicamente analoghe, b) le cui condizioni contrattuali conferiscono al finanziatore un sostanziale controllo sulle attività e sul reddito da esse prodotto e c) la cui fonte primaria di rimborso dell’obbligazione è rappresentata dal reddito generato dalle attività finanziate piuttosto che dall’autonoma capacità di una più ampia impresa commerciale.

Le previsioni della CRR sono riprese dalle linee guide proposte dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (Bank for International Settlements) nel documento Basel III: Finalising post-crisis reforms del dicembre 2017, le quali possono pertanto fornire un utile supporto nell’individuazione delle esposizioni che costituiscono “finanziamenti specializzati” al fine di determinare quali operazioni ricadano tra quelle che il Regolamento Cartolarizzazione esclude dal proprio ambito applicativo. In particolare, nel suddetto documento sono individuate cinque categorie di “finanziamenti specializzati”, vale a dire i finanziamenti di project finance, high volatility commercial real estate, object finance, commodities finance ed income-producing real estate (o “IPRE”).

Con particolare riguardo a tale ultima categoria, nel quadro di Basilea III per IPRE si intende una modalità di finanziamento immobiliare (avente ad oggetto, per esempio, edifici adibiti ad uso ufficio per la successiva locazione, spazi per il commercio al dettaglio, magazzini per logistica, hotel) in cui le prospettive di rimborso e recupero dell’esposizione dipendono principalmente dai proventi generati dall’immobile medesimo. La fonte primaria di tali proventi è frequentemente da individuare nei canoni di locazione o affitto ovvero nella vendita del sottostante immobiliare. La caratteristica distintiva di tale modalità di finanziamento rispetto al classico finanziamento verso imprese garantito da ipoteca su immobili sarebbe, quindi, costituita dalla stretta correlazione positiva che intercorrerebbe nella prima (e non nel secondo) tra, da un lato, la capacità del sottostante immobiliare di generare flussi di cassa (sotto forma, ad es., di canoni o prezzo di rivendita) e, dall’altro lato, le prospettive del soggetto finanziatore rispetto al rientro della posizione sia in uno scenario di regolarità di pagamenti (rimborso) sia in uno scenario di inadempimento (recupero). Nel finanziamento alle imprese garantito da ipoteca, all’opposto, il soggetto finanziatore farebbe tipicamente affidamento, quanto alle finalità del rimborso, alla generica capacità reddituale dell’impresa prenditrice laddove il sottostante immobiliare oggetto della garanzia rileverebbe unicamente in una prospettiva liquidatoria nell’eventuale fase patologica del rapporto.

Si potrebbe, pertanto, forse sostenere che, mentre nei finanziamenti IPRE il rischio assunto dal soggetto finanziatore sia in ogni momento un rischio di mercato (vale a dire quello immobiliare), la cartolarizzazione (intesa nel significato attribuitole dal Regolamento Cartolarizzazioni) postuli l’assunzione di un rischio di credito.

A tal proposito, sembra rilevante segnalare come sempre nel quadro di Basilea III, preso atto che le cartolarizzazioni possono essere strutturate in vari modi tra loro diversi e che i requisiti di capitale rispetto a posizioni verso la cartolarizzazione debbano essere determinati in base alla sostanza economica e non alla forma giuridica impiegata, ha invitato gli operatori a consultare l’autorità di vigilanza nazionale in caso di incertezza circa la riconducibilità di una data operazione alla figura della cartolarizzazione, precisando che le operazioni che prevedono flussi di cassa derivanti da beni immobili (come, ad esempio, fitti e pigioni) possono costituire “finanziamenti specializzati”, qualora così disponga detta autorità[12].

Volgendo quindi l’attenzione alla regolamentazione domestica, la Banca d’Italia espressamente include, tra le sottoclassi dei “finanziamenti specializzati”, i “finanziamenti da immobili di investimento” (ossia, appunto, gli IPRE), individuandoli nei finanziamenti il rimborso della cui esposizione dipende dai flussi finanziari generati dal cespite, generalmente rappresentati dai canoni di affitto e di leasing o dalla vendita dell’immobile[13]. In linea con quanto espresso dalle linee guida di Basilea III, è previsto che i finanziamenti IPRE si distinguono dalle esposizioni verso imprese garantite da ipoteca in quanto il rimborso del credito dipende principalmente dal cash flow generato dal cespite.

3.3 Individuazione dei beni e diritti (rectius: i cui proventi sono) oggetto di destinazione patrimoniale e formalità di separazione

Nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione immobiliare, all’esigenza – già ovviamente percepita nelle operazioni di cartolarizzazione di crediti “tradizionali” – di costituire il vincolo di destinazione patrimoniale, si aggiunge la necessità, per espressa previsione di legge, di “individuazione” dei beni e diritti (rectius: i cui proventi) sono oggetto di tale vincolo (cfr. art. 7.2, comma 1, ultimo periodo).

Prima di addentrarci nel merito di questa complessa tematica, ci sia permessa, a fini ricostruttivi, una breve digressione con riguardo alla disciplina prevista per le operazioni di cartolarizzazione di crediti “tradizionali” e di quella applicabile nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato.

Quanto alla prima, ai sensi dell’articolo 4, comma 3, la pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale assolve per espressa previsione di legge a due principali funzioni: a) costituire la formalità di perfezionamento della cessione ai fini dell’opponibilità della cessione stessa nei confronti degli altri aventi causa del cedente e dei suoi creditori; e b) indicare il momento a partire dal quale sui crediti acquistati e sulle somme da essi derivanti non sono ammesse azioni da parte di soggetti diversi dai beneficiari della destinazione patrimoniale.

Volgendo ora lo sguardo alle cartolarizzazioni del patrimonio immobiliare dello Stato, notiamo che il d.l. 25 settembre 2001, n. 351 prevedeva, all’art. 1, un articolato regime ad hoc incentrato sull’impiego di decreti di natura non regolamentare (da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale) con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze, tra le altre cose, era chiamato a: a) individuare i beni del patrimonio immobiliare dello Stato e degli altri enti pubblici destinati al soddisfacimento dei diritti dei portatori dei titoli e dei concedenti i finanziamenti; b) provvedere al loro trasferimento a titolo oneroso alla società di cartolarizzazione; c) stabilire che, con decorrenza dalla pubblicazione del relativo decreto ministeriale, i beni immobili trasferiti costituivano patrimonio separato a tutti gli effetti; d) confermare che la pubblicazione del relativo decreto ministeriale avrebbe prodotto gli effetti previsti dall’articolo 2644 c.c. in favore della società di cartolarizzazione (rimandando poi ai competenti uffici lo svolgimento, ove necessario, delle conseguenti attività di trascrizione, intavolazione e voltura).

Tornando a questo punto alle operazioni di cartolarizzazione immobiliare di cui all’art. 7.2, ci sembra che si rendano necessarie una serie di deviazioni rispetto a entrambi i modelli sopra analizzati. Anzitutto, con riguardo al perfezionamento della cessione degli immobili ai fini dell’opponibilità ai terzi (ivi inclusi gli altri aventi causa del soggetto cedente e i suoi creditori), certo non potrà farsi in questo caso ricorso ad una pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, dovendo trovare necessariamente applicazione le disposizioni in materia di trascrizione del titolo (atto di compravendita, decreto di trasferimento, altro) di cui all’articolo 2644 c.c.

Discorso a parte occorre svolgere, invece, con riguardo alla idoneità di tale trascrizione ad assolvere anche alle funzioni di individuazione dei beni e diritti (rectius: i cui proventi sono) oggetto di destinazione patrimoniale e di inclusione degli stessi nel patrimonio separato. Teoricamente, il richiamo degli estremi della trascrizione del titolo all’interno dei contratti dell’operazione (anche per effetto dell’adempimento di specifici obblighi di notifica in essi previsti) potrebbe assolvere a tale funzione di individuazione ma solo limitatamente ai “creditori nell’ambito dell’operazione di cartolarizzazione” che siano altresì parte della relativa documentazione contrattuale. Al di fuori di questo ristretto novero di soggetti, i limiti intrinseci di questa sistema di pubblicità sembrano escludere che esso possa costituire, da un lato, il meccanismo in grado di garantire quanto meno la conoscibilità – da parte degli altri “creditori nell’ambito dell’operazione di cartolarizzazione” – dell’oggetto del vincolo di destinazione e dell’estensione della responsabilità patrimoniale della società di cartolarizzazione nei loro confronti per effetto del regime di limited recourse ex lege e, dall’altro lato, la formalità di perfezionamento del vincolo di separazione patrimoniale nei confronti dei creditori “propri” della società di cartolarizzazione e dei creditori nell’ambito di altre operazioni di cartolarizzazione.

Se così fosse, sarebbe allora compito del giurista verificare l’eventuale esistenza nell’ordinamento giuridico di ulteriori strumenti in grado di permettere il raggiungimento degli obiettivi prefissi. A nostro avviso, andrebbero considerate (peraltro anche in via cumulativa) due formalità concorrenti, vale a dire l’impiego anche in questo caso della pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale e l’indicazione all’interno di un’apposita sezione della nota di trascrizione della circostanza che il nuovo titolare del diritto reale in questione sul bene immobile è una società di cartolarizzazione costituita ai sensi del combinato disposto degli artt. 7, comma 1, lett. b-bis) e 7.2 della l. 30 aprile 1999, n. 130 e che tale diritto e le somme in qualsiasi modo derivanti dallo stesso sono destinati al soddisfacimento dei diritti dei portatori degli specifici titoli emessi nel contesto della relativa operazione di cartolarizzazione e degli altri creditori della società di cartolarizzazione nell’ambito della stessa.. Non apparendo questa la sede in cui sviluppare compiutamente questa indagine, ci limitiamo a segnalare che, laddove si dovesse propendere per la pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale, riterremmo che tale avviso dovrebbe riportare, de minimis, le generalità del bene immobile interessato[14], il tipo di diritto sullo stesso di cui sia diventata titolare la società per la cartolarizzazione (proprietà, usufrutto, diritto di superficie, locazione, altro), gli estremi dell’atto di trasferimento e della relativa trascrizione, e l’operazione di cartolarizzazione immobiliare nel cui patrimonio separato il bene immobile debba entrare a fare parte.

4. Conclusioni

In conclusione, l’istituto della cartolarizzazione ex art. 7.2 può senz’altro rappresentare un nuovo e importante strumento per gli investitori nel settore immobiliare, potenzialmente in grado di ravvivare il mercato di riferimento sostenendone i valori (specialmente rispetto ad alcuni segmenti maggiormente esposti al downturn economico). Il regime di favore in materia di imposte dirette conseguente a quello di segregazione patrimoniale che contraddistingue l’istituto della cartolarizzazione in generale, potrebbe risolversi, su base netta, in una contenuta perdita di gettito per l’erario laddove l’incentivazione si traduca in un maggior numero di transazioni e per corrispettivi superiori (rispetto a quanto accadrebbe in assenza delle agevolazioni) con annesse maggiori entrate sotto forma di imposte indirette.

Quanto alle critiche mosse dai detrattori di questo nuovo strumento, ci sembra che esse si muovano sostanzialmente lungo tre direttrici. Sotto un primo profilo, la possibilità di cartolarizzare beni diversi dai crediti è stata ritenuta “eversiva” rispetto al modello domestico. Per altro verso, è stata fortemente avversata la tecnica redazionale adottata in sede di riforma della legge sulla cartolarizzazione. Da ultimo, si è gridato allo scandalo lamentando che il nuovo istituto costituisce una forma surrettizia di concorrenza sleale a danno dei gestori di FIA immobiliari.

Per quanto il dettato normativo sia senz’altro suscettibile di miglioramento, in linea di massima la nostra valutazione del nuovo istituto è generalmente più favorevole rispetto alle posizioni per certi profili estreme assunte da una parte della dottrina. Quanto al primo profilo, le critiche sembrano prendere le mosse da una visione dogmatica dello strumento della cartolarizzazione (sicuramente ben più rigida rispetto all’impostazione seguita dalla stessa Autorità di Vigilanza europea, come abbiamo avuto modo di vedere). Quanto agli aspetti redazionali, condividiamo l’opinione che – in un mondo ideale – la legge sulla cartolarizzazione dovrebbe essere sottoposta – a questo stadio del suo processo evolutivo – ad una seria opera di coordinamento sistematico e, nel mentre, a qualche piccolo intervento ad hoc per procedere con alcuni opportuni chiarimenti e correzioni. Peraltro, non ci sembra trattarsi di considerazioni in grado di mettere in discussione la bontà, nel suo complesso, dell’innovazione giuridica introdotta. Sotto un diverso angolo visuale, siamo poi dell’avviso che, in un settore così specialistico come quello del mercato dei capitali, l’uso della terminologia di origine finanziaria o di neologismi acquisiti dalla prassi operativa a trasposizione di vocaboli e concetti sviluppati in altre giurisdizioni, anche in sostituzione di termini più familiari alla nostra tradizione giuridica, sia un segno dei tempi e di un processo di ibridazione e contaminazione del diritto (in senso lato e, quindi, anche del linguaggio giuridico) che ha oramai travalicato i confini del contratto c.d. alieno per coinvolgere la stessa produzione della normativa primaria. Né tutto questo deve essere necessariamente percepito come una forma di imbarbarimento giuridico, potendosi ben trattare di un momento storico di passaggio nel contesto del più ampio processo di evoluzione del pensiero giuridico moderno.

Da ultimo, l’allarmismo in fatto di competizione sleale appare francamente ingiustificato. Il punto di partenza di una riflessione giuridica al riguardo non può essere dato dalle dinamiche del mercato di riferimento (nel caso di specie, il mercato immobiliare) avulse da un’analisi delle diverse funzioni che i vari istituti previsti dall’ordinamento per quel mercato sono chiamati ad assolvere. In questa prospettiva, ci sembra chiaro che l’introduzione delle cartolarizzazioni immobiliari aumenti l’offerta di strumenti giudici a disposizione degli investitori che desiderino operare in quel mercato permettendo loro di scegliere tra due modelli di governance alternativi, vale a dire, per un verso, quello degli organismi di investimento collettivo del risparmio, incentrato sulla figura della società di gestione del risparmio e, per altro verso, quello delle società di cartolarizzazione, in cui le decisioni di investimento e disinvestimento e, più in generale, di natura strategica sono mantenute dall’investitore stesso. Si potrebbe all’opposto sostenere che l’introduzione della cartolarizzazione immobiliare fosse un intervento non solo ammissibile ma addirittura auspicabile per permettere al sistema di meglio gestire quelle situazioni in cui esigenze commerciali richiedano l’attribuzione agli investitori (soprattutto quelli più sofisticati e specializzati) di poteri di governance che travalichino i ristretti confini dei poteri consultivi dell’advisory committee e dei poteri di nomina della società di gestione del risparmio.

 


[1] N. Pepe, La cartolarizzazione dei crediti futuri mediante finanziamento destinato ad uno specifico affare, in Contr. Impr., 2011, 1460.

[2] Su queste basi si potrebbe ritenere applicabile anche al pagamento dei “proventi” il regime di esenzione dall’azione revocatoria fallimentare e da quella di inefficacia dei pagamenti previsto all’art. 4, comma 3, della l. 30 aprile 1999, n. 130.

[3] In cuila “fonte” dei proventi – in questo caso i crediti – è mantenuta presso l’originator, con tutte le conseguenti complicazioni e difficoltà legate alla realizzazione dell’isolamento dal rischio di credito dell’originator attraverso il nuovo “pegno” di cui all’art. 7, comma 2-octieso secondo quanto disposto dall’art. 4, comma 2, deldecreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 (come convertito in legge dalla l. 28 febbraio 2020, n. 8).

[4] Nel prosieguo, per semplicità e considerando la maggiore rilevanza del mercato immobiliare, ci si riferirà a questo strumento solo come “cartolarizzazione immobiliare”, omettendo quindi il riferimento ai beni registrati.

[5] Cfr. art. 1, n. 2, delRegolamento (UE) n. 1075/2013 della Banca Centrale Europea secondo cui: «per “cartolarizzazione” si intende un’operazione o uno schema in cui un soggetto che è distinto dal cedente o dall’impresa di assicurazione o riassicurazione ed è creato o serve ai fini dell’operazione o dello schema, emette degli strumenti di finanziamento destinati agli investitori, e ricorrono una o più delle seguenti circostanze: a) un’attività o un insieme di attività, o una parte di esse, è trasferito a un soggetto che è distinto dal cedente ed è creato o serve ai fini dell’operazione o dello schema, attraverso il trasferimento della titolarità giuridica o effettiva di tali attività da parte del cedente oppure attraverso sottopartecipazione; b) il rischio di credito di un’attività o di un insieme di attività, o di parte di esse, è trasferito, attraverso il ricorso a derivati creditizi, garanzie o qualunque meccanismo simile, agli investitori negli strumenti di finanziamento emessi da un soggetto che è distinto dal cedente ed è creato o serve ai fini dell’operazione o dello schema; c) i rischi assicurativi sono trasferiti da parte di un’impresa di assicurazione o riassicurazione a un soggetto distinto che è creato o serve ai fini dell’operazione o dello schema, di modo che il soggetto finanzi interamente tali rischi attraverso l’emissione di strumenti di finanziamento e i diritti di rimborso degli investitori in detti strumenti di finanziamento siano subordinati agli obblighi di riassicurazione del soggetto, laddove tali strumenti di finanziamento siano emessi, essi non rappresentano obblighi di pagamento del cedente o dell’impresa di assicurazione o riassicurazione».

[6] Ciò si pone peraltro in continuità con l’opinione, già condivisa dalla dottrina prevalente rispetto alle operazioni di cartolarizzazione di crediti “tradizionali”, circa il rischio che l’imputazione in capo alla società di cartolarizzazione di rapporti giuridici diversi dalla titolarità degli attivi oggetto di cartolarizzazione possa comprometterne la caratterizzazione quale «mero “diaframma societario” tra il cedente dei crediti [rectius, degli attivi] e gli investitori che acquistano i titoli ABS». Così, in particolare, A. Giannelli, La società per la cartolarizzazione dei crediti: questioni regolamentari e profili di diritto societario e dell’impresa, in Riv. soc., 2002, IV, 920.

[7] Ci si riferisce, in particolare, al parziale disallineamento tra quanto previsto, da un lato, dall’articolo 1, comma 1, lett. b) e dall’articolo 4, comma 2, e, dall’altro lato, dall’articolo 3, comma 2, ove non sono menzionati tra i soggetti beneficiari della separazione patrimoniale i creditori nell’ambito dell’operazione di cartolarizzazione diversi dai portatori dei titoli. Sul punto si rinvia a AA. VV., Legge 30 aprile 1999, n.130. Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti. Commentario a cura di A. Maffei Alberti, in Nuove leggi civ. comm., 2000, 997.

[8] Tale disallineamento sembrerebbe potersi attribuire ad un mancato coordinamento in sede di stesura del testo normativo, per cui i concedenti i finanziamenti dovrebbero plausibilmente considerarsi inclusi tra i beneficiari della destinazione patrimoniale.

[9] Si tratta della posizione espressa da P. Carrière, La (ambigua) definizione delle nuove frontiere della cartolarizzazione: “dei proventi immobiliari” o “degli immobili”?in Diritto Bancario, www.dirittobancario.it, 2019.

[10] Cfr. Giulio Tognazzi, Le cartolarizzazioni immobiliari ai sensi dell’articolo 7.2: alcune riflessioni, in Zenith Service S.p.A. – Newsletter n. 65, luglio 2019.

[11] Ai fini di questa valutazione, rilevano, oltre alla AIFMD e al TUF, le linee guida predisposte dall’ESMA (Guidelines on key concepts of the AIFMD – ESMA/2013/611) e il Provvedimento di Banca d’Italia del 19 gennaio 2015 (Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio).

[12] Si veda, al riguardo, la parte introduttiva del documento intitolato “Revisions to the securitisation framework – Amended to include the alternative capital treatment for “simple, transparent and comparable” securitisation” predisposto dalla Banca dei Regolamenti Internazionali nel dicembre 2014 e successivamente modificato nel luglio 2016.

[13] Cfr. la Circolare di Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013 (Disposizioni di Vigilanza Prudenziale per le Banche), Titolo II, Capitolo 1.

[14] In proposito potrebbe forse prendersi spunto dagli elementi identificativi (codice, dante causa, regione, comune, indirizzo, foglio, particella, subalterno) utilizzati nel contesto dei decreti dirigenziali dell’Agenzia del demanio previsti dall’art. 1 del d.l. 25 settembre 2001, n. 351.

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