Con la pronuncia in oggetto, la Suprema Corte ha analizzato le divergenze tra promessa del fatto del terzo e garanzia fideiussoria e le relative conseguenze in caso di nullità dell’obbligazione altrui. In particolare, data la differenza di queste ultime e notando la motivazione illogica ed insufficiente della pronuncia impugnata della Corte d’Appello di Roma, ha rinviato al giudice di merito per un nuovo esame della causa.
La questione in esame si fonda sull’assunzione ad opera di un istituto di credito dell’impegno di fare in modo che, entro una determinata scadenza, certe partecipazioni acquistate da una società in situazione di grave dissesto economico e finanziario “fossero annullate e sostituite con partecipazioni conformi ai criteri richiesti per le riserve tecniche”. Tuttavia, il contratto di compravendita delle partecipazioni medesime è rimasta inadempiuto dal terzo e, successivamente, la stessa vendita è stata qualificata come simulata con sentenza passata in giudicato in distinto giudizio. La Cassazione non ha condiviso la posizione della Corte d’Appello di Roma che, sposando la linea del giudice di prime cure, aveva evidenziato il venir meno dell’esistenza “di un obbligo giuridicamente rilevante” in capo all’istituto di credito data l’accertata inesistenza degli accordi “aventi ad oggetto la compravendita (totalmente simulata) delle partecipazioni societarie” rilevanti.
In maggior dettaglio, la Suprema Corte ha posto in rilievo come “i giudici di merito avrebbero dovuto accertare in fatto e adeguatamente motivare sulla identità tra l’obbligazione del terzo” e l’obbligazione considerata garantita dall’istituto di credito, dato che esclusivamente “la perfetta identità delle due obbligazioni, ovvero delle relative prestazioni, potrebbe giustificare” il venir meno dell’impegno stesso. Come evidenziato dalla Cassazione, infatti, solo la fideiussione assolve “alla funzione di garantire un obbligo altrui già (pre)esistente”, mentre distinta è la disciplina della promessa del fatto del terzo, in cui il promittente è tenuto ad indennizzare il promissario anche in presenza di rifiuto del terzo ad adempiere quanto “il promittente medesimo ha promesso alla propria controparte”.
Di conseguenza, data l’impossibilità di individuare una “immediata evidenza” della coincidenza delle obbligazioni rilevanti ed essendo assente un adeguato ragionamento in relazione alla “qualificazione giuridica del contestato impegno”, non potendosi limitare lo stesso all’indicazione della mera “preesistenza di un’obbligazione del terzo” ovvero alla “semplice e generica correlazione tra questa e l’impegno assunto” dall’istituto di credito, di per sé non sufficiente per “escludere la configurabilità di una promessa ex art. 1381 c.c.”, la Cassazione ha ritenuto necessario un ulteriore esame nel merito della causa, cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma.