Con il documento di consultazione n. 3 dell’11 marzo 2022 l’Ivass ha sottoposto al mercato uno schema di regolamento che si prefigge l’obiettivo di dettare la nuova disciplina dei contratti unit e index linked, andando così a innovare le previsioni contenute nella Circolare n. 474 del 21 febbraio 2002 e nel Regolamento n. 32 dell’11 giugno 2009, provvedimento ormai risalenti. La consultazione interviene, tra le altre cose, su due tra le tematiche più discusse e attuali in materia di polizze di ramo III: la disciplina degli eligible assets dei fondi collegati alle polizze unit linked e il rischio demografico delle polizze a contenuto finanziario.
La questione degli attivi a copertura delle riserve tecniche delle polizze unit linked è questione di fondamentale rilevanza pratica. In tale tipologia di contratti, infatti, l’ammontare della prestazione dovuta dalle imprese è tipicamente collegata alla valorizzazione dei fondi interni o esterni collegati alla polizza, il che palesa la notevole e imprescindibile rilevanza degli attivi collegati alle polizze ai fini della scelta di un prodotto. I risultati, la redditività e la rischiosità della polizza non possono, infatti, prescindere da quali attivi possono o non possono essere collegati al contratto in quanto gli stessi, in estrema sintesi, costituiscono l’elemento caratterizzante la componente finanziaria del prodotto. In tema di eligible assets degli attivi collegati al contratto la dichiarata finalità della disciplina in consultazione è quella di delineare dei nuovi limiti di investimento delle riserve tecniche che non consentano di distribuire polizze linked più rischiose di OICVM destinati alla clientela retail. Proprio per tale ragione le norme sugli eligible assets dei fondi interni ed esterni ricalcano, ove compatibili, le regole dettate dal Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio di Banca d’Italia in punto di caratteristiche degli attivi selezionabili per gli OICVM.
Il regolatore, dunque, nonostante le evidenti differenze ontologiche tra le polizze a contenuto finanziario e le quote di OICVM, sembra aver adottato un’impostazione volta a parificare tali tipologie di prodotti e a rendere succedanei, dal punto di vista della rischiosità, prodotti che, in realtà non lo possono essere. Le polizze unit linked e gli OICVM, infatti, differiscono in quanto hanno finalità e trattamento normativo, civilistico e fiscale, molto differente, trattandosi di prodotti volti a soddisfare esigenze materiali diverse. Non si deve infatti dimenticare che le polizze linked, nonostante la loro fattuale componente finanziaria, devono necessariamente essere dotate di una componente assicurativa, circostanza ben evidenziata dalla normativa di riferimento che per la distribuzione degli Insurance Based Investments Products, oltre alla valutazione di adeguatezza comune al collocamento di OICR, richiede anche la valutazione di coerenza della polizza alle esigenze assicurative della clientela, ossia lo svolgimento dell’indagine sui c.d. demand & needs. Del resto, come più ampiamente si esporrà in seguito, i prodotti assicurativi linked, a differenza degli OICVM, devono necessariamente essere provvisti del rischio demografico e la loro componente assicurativa deve rispettare tutti i criteri civilisticamente previsti. Inoltre, gli OICR e le polizze linked si distinguono anche per holding period, il che dovrebbe indurre a consentire limiti di investimento differenti per le due categorie di prodotti a fronte del diverso atteggiarsi degli eligible assets in orizzonti temporali diversi. In ultimo si deve osservare che la normativa di matrice assicurativa non prevede la categoria dei clienti retail alla quale Ivass, nell’individuare la rischiosità massima attribuibile alle polizze, fa dichiarato riferimento.
Il documento in consultazione ha poi destato molto scalpore in quanto il suo ambito di applicazione è individuato, oltre che alle imprese con sede in Italia, anche alle imprese comunitarie che operano in Italia in regime di stabilimento e di libera prestazione di servizi. L’Ivass, infatti, oltre a indicare un tale ambito applicativo nello schema di regolamento, ha anche chiaramente evidenziato di ritenere di interesse generale le emanande disposizioni in materia di attivi a copertura delle riserve tecniche.
Questo può essere il preludio di un’evidente e impattante rivoluzione copernicana. Il mercato è infatti abituato a un’impostazione diametralmente opposta, ossia che le norme relative agli attivi a copertura delle riserve tecniche delle polizze sulla vita, in forza del principio dell’home country control che permea la tematica della vigilanza prudenziale sulle imprese di assicurazioni, sono materia di competenza dello Stato membro d’origine. Del resto il Codice delle Assicurazioni Private stabilisce che le imprese di assicurazione che hanno la sede legale in Stati membri diversi dall’Italia sono soggette alla vigilanza prudenziale dell’autorità dello Stato membro d’origine anche per l’attività svolta nel territorio della Repubblica. Tale principio è ancora in vigore, anche a fronte delle modifiche attuative della Direttiva Solvency II che, novellando l’art. 41 del Codice delle Assicurazioni Private, hanno attribuito all’Ivass il potere di limitare i tipi di attivi o i valori di riferimento cui possono essere collegate le prestazioni delle polizze linked nel caso in cui il rischio di investimento sia sopportato dall’assicurato persona fisica. Con ogni probabilità l’Ivass con il richiamo all’interesse generale ha voluto sottendere che le nuove disposizioni oggetto di consultazione non sono volte a salvaguardare la stabilità delle imprese di assicurazione, materia sottoposta al principio dell’home country control, quanto piuttosto a tutelare gli interessi degli assicurati, il che legittimerebbe di estendere l’efficacia del suo intervento sulla materia a tutti i player che operano in Italia, indipendentemente dalla loro nazionalità.
Questa impostazione, laddove confermata ad esito della consultazione, risulterebbe di notevole impatto per le imprese comunitarie che, sulla base del principio dell’home country control e del passaporto comunitario, oggi possono commercializzare in Italia polizze che investono in attivi non consentiti dalla normativa prudenziale italiana che, allo stato, è applicabile alle sole imprese domestiche. Ciò è a tal punto evidente che oggi le imprese comunitarie, nell’ambito dell’informativa precontrattuale, devono indicare se il premio versato dai contraenti è investito o meno in attivi non consentiti dalla normativa italiana in materia di assicurazioni sulla vita. Ebbene una tale realtà potrebbe cessare di esistere in quanto, in caso di conferma del documento in consultazione, i fondi di tutti i contratti linked commercializzabili in Italia, indipendentemente dalla sede dell’impresa emittente, potranno investire esclusivamente nelle medesime categorie di asset, che, come detto, ricalcano per tipologia e limitazioni quelle previste per gli OICVM. La disparità tra attivi a copertura delle riserve tecniche basata sulla nazionalità dell’impresa emittente il prodotto potrebbe dunque diventare un retaggio del passato.
Con riferimento al rischio demografico lo schema di regolamento ha dichiaratamente adottato, invece, “un approccio conservativo”, limitandosi, di fatto, a ribadire quanto già previsto nella vigente regolamentazione Ivass, ossia la necessaria sussistenza, non meglio specificata o quantificata, di un effettivo impegno da parte dell’impresa a liquidare prestazioni il cui valore sia dipendente dalla valutazione del rischio demografico. Sul punto la bozza di regolamento richiede alle imprese di dotarsi di un processo interno adeguato e sufficientemente strutturato, cui sono chiamate a contribuire la funzione attuariale, il risk management e la compliance, volto alla valutazione e determinazione del rischio demografico che, inoltre, dovrà essere un elemento oggetto di considerazione anche nell’ambito del processo di product oversight governance.
Questo approccio ha il sapore di un’occasione mancata in quanto il mercato da tempo auspica l’indicazione chiara e netta di “quanto” rischio demografico debbano assumersi le imprese di assicurazione al fine di poter affermare con certezza la sussistenza della componente assicurativa delle polizze unit e index linked. La possibilità, infatti, che le polizze a contenuto finanziario siano riqualificate in prodotti squisitamente finanziari, dichiarate nulle oppure ritenute non soggette alla disciplina di favore prevista dal codice civile, ivi inclusa quella sulla impignorabilità ed insequestrabilità, costituisce un cruccio per gli operatori che, nel rapportarsi con la clientela, hanno difficoltà a garantire la “tenuta” del prodotto.
La ricercata esigenza di chiarezza deriva dal noto e perdurante contrasto giurisprudenziale in punto di qualificazione delle polizze a contenuto finanziario. Nelle pronunce che da anni si susseguono sul tema parte della giurisprudenza ha qualificato le polizze linked come contratti pacificamente assicurativi, mentre un contrastante orientamento, apparentemente avallato dai principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione, ne ha affermato la natura finanziaria ovvero mista. Ai fini della qualificazione del prodotto la giurisprudenza, nell’esaminare i contratti assicurativi sottoposti al suo esame, si è soffermata quasi esclusivamente su due elementi: il rischio demografico e la garanzia di conservazione dei premi versati. La mancanza o l’insufficienza quantitativa di tali elementi hanno spesso condotto alla riqualificazione delle polizze linked in prodotti esclusivamente finanziari, il che con conseguenze di rilevante impatto pratico.
La situazione di incertezza è poi aggravata dal fatto che la giurisprudenza comunitaria non considera né la sussistenza di un rischio demografico economicamente apprezzabile né la garanzia finanziaria quali elementi imprescindibili dei contratti di assicurazione sulla vita. Quello che per la Corte di Giustizia è sufficiente ai fini della qualificazione di un’operazione come assicurativa è che, a fronte del pagamento del premio, l’assicuratore si impegni ad erogare una prestazione al verificarsi dell’evento assicurato attinente alla vita umana.
È dunque chiaro che in questo contesto il mercato, nella speranza di ottenere maggior certezza, auspica un intervento risolutivo dell’Ivass che indichi il quantum del rischio demografico necessario per poter definitivamente affermare la natura assicurativa di una polizza linked, ciò pur nella consapevolezza della difficoltà di quantificare in maniera generalizzata e assoluta tale elemento.
In ogni caso non tutto è perduto. La questione è, infatti, oggetto di particolare attenzione dell’Ivass in altra sede. Nel documento di discussione n. 1 dell’11 marzo 2022, che dà espressamente atto della consultazione in corso, l’Autorità, infatti, al fine di “orientare la propria futura azione di intervento”, ha chiesto al mercato di valutare i costi dell’inserimento nei contratti linked di una garanzia finanziaria compresa tra il 70-100% e di un rischio demografico ipotizzato in misura pari al 10%, ponendo in discussione diversi scenari regolamentari che l’Ivass si è prefigurata, ciò seppure l’intenzione dell’Autorità paia quella di non prevedere soglie quantitative per la determinazione di un capitale assicurato significativo o per l’individuazione di una determinata percentuale di maggiorazione adeguata della prestazione.
Con il documento di discussione in esame l’Ivass ha, dunque, chiaramente dimostrato di essere pienamente consapevole delle tematiche che preoccupano il mercato e degli elementi su cui intervenire al fine di eliminare, o per lo meno, attenuare le perduranti incertezze in punto di qualificazione delle polizze linked. Non resta che attendere per vedere se e come l’Autorità deciderà di intervenire sul punto, ciò nella speranza che venga in qualche modo ristabilita la certezza del diritto che, con riferimento al rischio demografico, sarà senz’altro foriera di soddisfazione tanto per le imprese e i distributori assicurativi quanto per i contraenti e i beneficiari.