Attraverso l’analisi del decreto del Tribunale di Reggio Emilia del 9 giugno 2022, il presente contributo affronta il tema dei presupposti di ammissibilità delle proposte concorrenti nelle procedure di concordato preventivo.
Descrizione della fattispecie
Nell’ambito di una procedura di concordato preventivo (che chiameremo “seconda proposta principale”), aperta a seguito della rinuncia alla prosecuzione di una “prima proposta principale“, e presentante connotati di discontinuità rispetto alla prima (anche con riguardo alla previsione di un soddisfacimento dei creditori chirografari mediamente superiore al 30% – oltre al soddisfacimento integrale dei crediti prededucibili e dei crediti assistiti da privilegio “capiente “-), veniva depositata una “proposta concorrente”, ai sensi dell’art 163, co. 4, l. fall., e nel termine (30 giorni prima dell’adunanza dei creditori) ivi previsto.
La “proposta concorrente“ non era corredata dalla “Relazione attestativa” prevista dall’art 161, co. 3, l. fall.
Successivamente, entro il termine (15 giorni prima dell’adunanza dei creditori) previsto dall’art. 172, co. 2, l. fall., la “proposta concorrente” veniva modificata con la presentazione di quella che il Tribunale fallimentare definisce come “seconda proposta concorrente”. Tale “seconda proposta concorrente” veniva corredata, a differenza della prima, dalla “Relazione attestativa” prevista dall’art 161. co. 3, l. fall.
Esaminata la ammissibilità della “seconda proposta concorrente” il Tribunale fallimentare di Reggio Emilia, con provvedimento del 9 giugno 2022 (Pres. Parisoli, Rel. Stanzani Maserati) ha ritenuto di esprimere un giudizio negativo, per tre ordini ragioni.
Il presupposto della necessità della “Relazione attestativa “di cui all’art. 161, co. 3, l. fall.
L’articolo 163, co 4, l. fall. afferma che “uno o più creditori… possono presentare una proposta concorrente di concordato preventivo e il relativo piano…”.
È evidente che, per essere qualificabile “proposta di concordato preventivo”, l’iniziativa dei creditori per le proposte concorrenti deve essere integrata dalla “Relazione attestativa” di cui all’articolo 161, co. 3, l. fall.: ciò del resto si ricava facilmente dalla previsione, immediatamente seguente, secondo la quale la Relazione in questione “può essere limitata alla fattibilità del piano per gli aspetti che non siano già oggetto di verifica da parte del commissario giudiziale, e può essere omessa qualora non ve ne siano”.
Sono dunque ammissibili le proposte concorrenti cc.dd. “parassitarie”: quelle, cioè, che si basassero sullo stesso “Piano” predisposto dall’imprenditore con la “proposta principale” – e come tale integrata dalla “Relazione attestativa “di cui sopra -, e semplicemente ne aumentassero l’appetibilità (come potrebbe essere nell’ipotesi del deposito di garanzie bancarie funzionali ad assicurare l’apporto di “finanza terza”, in aumento degli attivi posti a servizio dell’esecuzione della “proposta principale”).
Come detto, le “proposte concorrenti” devono essere presentate “non oltre 30 giorni prima dell’adunanza dei creditori” (art. 163, co. 4): peraltro “le proposte di concordato, ivi compresa quella presentata dal debitore” (quindi, se ne deve dedurre, anche le “proposte concorrenti” eventualmente depositate da terzi) “possono essere modificate fino a 15 giorni prima dell’adunanza dei creditori” (art. 173, co. 2).
Ci si può domandare se la “proposta concorrente” cosiddetta “parassitaria”, e per tale ragione non integrata in origine dalla “Relazione attestativa” di cui all’art. 161, co. 3, l. fall., potrebbe essere modificata, nei 15 giorni successivi a tal fine concessi dalla norma richiamata per ultima, al punto da assumere le caratteristiche di una proposta concorrente c. d. “alternativa” (cioè fondata sull’esecuzione di un “Piano” diverso da quello predisposto dall’imprenditore con la “proposta principale “). La risposta che si fa preferire è quella negativa, perché in caso contrario l’ammissibilità dello switch fra una proposta concorrente “parassitaria” ed una proposta concorrente “alternativa” significherebbe consentire l’uso strumentale della prima (magari basata sull’ipotesi di un incremento dell’attivo messo a disposizione dei creditori del tutto improbabile e fantasioso), per potere depositare con 15 giorni di ritardo la seconda (integrata dalla necessaria “Relazione attestativa”)[1].
È comunque certo che anche a volere dare al quesito una risposta positiva, essa dovrebbe essere accompagnata dalla precisazione che la presentazione di una “proposta concorrente modificata” nel termine ridotto di 15 giorni anteriori dall’adunanza dei creditori, postula pur sempre l’ammissibilità della “proposta concorrente originaria”, di cui costituirebbe la modificazione: in caso contrario, si ammetterebbe la possibilità di depositare una proposta concorrente “alternativa” (e come tale bisognosa della “Relazione attestativa”) in violazione del termine dei 30 giorni anteriori all’adunanza dei creditori, per il solo fatto di avere depositato “una cosa qualsiasi” entro il termine suddetto.
Il Tribunale fallimentare ha valutato che la proposta concorrente modificata (la c.d. “seconda proposta concorrente”) non si discostava dalla prima proposta concorrente in termini tali da poter essere qualificata, lei soltanto, di natura “alternativa”, a fronte di una prima proposta che potesse essere qualificata “parassitaria”: e senza avere la necessità di esprimersi sul quesito di carattere generale dell’ammissibilità dello switch fra una proposta concorrente “parassitaria” ed una proposta concorrente “alternativa”, ha dichiarato inammissibile la proposta concorrente perché il deposito della “Relazione attestativa “a corredo di una seconda proposta concorrente, non significativamente divergente da una precedente, dimostrava per ciò solo che anche la proposta concorrente originaria avrebbe avuto necessità di tale integrazione, mancando la quale il giudizio di inammissibilità si rivelava inevitabile.
Il presupposto della titolarità di almeno 10% dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata in funzione dell’ammissione al concordato preventivo
L’art. 163, co. 4, l. fall. attribuisce la legittimazione a depositare una “proposta concorrente” di concordato preventivo al creditore ovvero ai creditori che rappresentino “almeno il 10% dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata ai sensi dell’articolo 161, secondo comma, lettera a)” l. fall.
Nel caso deciso dal Tribunale di Reggio Emilia, come detto, una seconda proposta di concordato preventivo era succeduta ad una precedente, alla quale l’imprenditore aveva rinunciato. Intervenendo una “proposta concorrente “nei confronti della “seconda proposta principale “, si è posto il problema se la massa passiva alla quale rapportare i crediti vantati dai proponenti delle proposte concorrenti, per verificare il raggiungimento del presupposto del 10%, dovesse essere quella presentata dall’impresa concordataria al momento del deposito della “prima proposta principale “; ovvero quella presentata al momento del deposito della “seconda proposta principale “.
Il Tribunale ha optato per questa seconda soluzione, giudicando che la successione di procedure avesse dato vita ad una fattispecie bensì riconducibile al fenomeno della “consecuzione di procedure concorsuali”; ma non qualificabile come “pluralità di fasi di un’unica procedura concorsuale originaria “.
Da un punto di vista sostanziale, la circostanza che la seconda proposta principale garantisse il pagamento di oltre il 30% dei crediti chirografari (oltre al pagamento integrale dei crediti prededucibili e dei crediti privilegiati “capienti”), contrariamente alla prima, induce a ritenere che potessero sussistere dei dubbi sull’ammissibilità della qualificazione della nuova proposta come semplice “modificazione” della prima – e come tale forse non necessitevole di una autonoma “Relazione attestativa “ai sensi dell’articolo 161, co. 3, l. fall., laddove una proposta portatrice di cambiamenti tali da comportare il superamento della menzionata soglia del 30% non potrebbe certamente prescinderne -.
Da un punto di vista processuale, il Tribunale riferisce che “la procedura [originaria] è stata dichiarata improcedibile seguito di rinuncia alla domanda da parte “dell’imprenditore concordatario; che “è stato approvato e non contestato il rendiconto finale presentato dal commissario giudiziale”; che “è stato liquidato il compenso finale (non acconto) in favore del commissario giudiziale “: e ciò, senza che i creditori concorrenti (né altri creditori) avessero sollevato alcuna obiezione. L’attribuzione al procedimento originario della qualifica di semplice “fase” di un procedimento unitario di cui la “seconda proposta principale” rappresenterebbe soltanto il secondo tempo dello stesso film “concorsuale”, appare effettivamente poco convincente[2].
Stabilito in questo modo che la massa passiva alla quale rapportare l’entità dei crediti vantati dai creditori concorrenti doveva essere individuata con quella risultante dalla situazione patrimoniale depositata a corredo della “seconda proposta principale”, il Tribunale accenna alla irrilevanza della circostanza che parte di detta massa passiva fosse rappresentata da crediti prededucibili (sorti nel corso della prima procedura concordataria, rispetto alla quale la seconda presentava connotati di “consecutività”).
La conclusione è totalmente condivisibile, e ciò tanto nell’ipotesi nella quale detti crediti prededucibili fossero nel frattempo rimasti a comporre la “massa passiva“; quanto all’ipotesi nella quale essi, nel frattempo, fossero stati, in tutto in parte, soddisfatti, proprio in considerazione della loro natura.
Detti fenomeni, infatti, sono comuni anche all’ipotesi nella quali la “massa passiva” di riferimento sia unica, perché unica fosse la procedura da prendere in considerazione, dal momento che (i) essa potrebbe comunque ricomprendere crediti prededucibili, in quanto derivanti da finanziamenti erogati ai sensi e per gli effetti dell’arte. 182-quater, co. 2, l. fall. (e “disposta nel provvedimento .. di ammissione”); e (ii) la “massa passiva” potrebbe comunque essersi ridotta prima della presentazione di una “proposta concorrente”, o per il pagamento dei crediti prededucibili formatisi “in funzione della presentazione della domanda” concordataria, ovvero per l’autorizzazione al pagamento di “fornitori strategici” ai sensi dell’art. 182-quinquies, co. 5, l. fall.
Il presupposto della mancata assicurazione da parte della “proposta principale” del pagamento di almeno il 30% dell’ammontare dei crediti chirografari – nel concordato preventivo – “in continuità aziendale”
A) La nozione di “pagamento”
Nel caso esaminato dal Tribunale di Reggio Emilia la [seconda] ”proposta principale” assicurava il soddisfacimento del 30% , mediamente[3], dei crediti chirografari, ma – secondo i creditori concorrenti – non integralmente “per contanti”. Il Tribunale ha pertanto dovuto pronunciarsi sull’interrogativo se il termine “pagamento”, utilizzato dall’art. 163, co. 5, l. fall. per escludere l’ammissibilità di proposte concorrenti quando la proposta principale ne assicurasse la percentuale del 30% ai creditori chirografari (nel Concordato in continuità aziendale), equivalga a” soddisfacimento”, oppure significhi “pagamento per contanti”.
Il Tribunale osserva che in realtà la [seconda] “proposta principale “assicurava effettivamente un “pagamento in contanti” per almeno 30% dei crediti chirografari. In ogni caso, affrontando comunque il problema interpretativo sopra rappresentato, opta per la prima soluzione, adducendo argomenti convincenti.
In primo luogo, osserva che se il concetto di “pagamento“ dovesse essere circoscritto al “pagamento in contanti”, si assisterebbe alla incomprensibile situazione nella quale il creditore privilegiato destinato ad essere soddisfatto integralmente, in conseguenza della prelazione assicuratagli dalla natura del credito, sarebbe tuttavia ammesso ad esprimere il voto sulla proposta concordataria, per il solo fatto che il soddisfacimento integrale delle sue pretese non avverrebbe “per contanti “(cfr. art. 177, co. 2).
In secondo luogo, osserva che l’accoglimento della interpretazione più restrittiva renderebbe improbabile il perseguimento ed il conseguimento dell’obiettivo della conclusione di concordati liquidativi (che richiedono il “pagamento” di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari), contraddicendo la ratio dell’istituto – secondo la quale “la soddisfazione dei crediti” può avvenire “attraverso qualsiasi forma”: art. 160, co. 1, lett. a) -.
Infine esprime l’opinione che con il termine “pagamento” si intenda fare riferimento ai modi di estinzione dell’obbligazione, dovendosi utilizzare l’espressione “pagamento in denaro “quando si volesse escludere il ricorso a mezzi estintivi alternativi.
L’argomento non risulta affrontato sovente in giurisprudenza: i pochi precedenti sono comunque conformi.[4]
B) La sufficienza di un soddisfacimento “medio” dei crediti chirografari
Il Tribunale di Reggio Emilia ha dovuto infine dare una risposta al dubbio interpretativo se il requisito del pagamento di “almeno il 30% dell’ammontare dei crediti chirografari”, necessario per sottrarre la “proposta principale” al confronto con possibili “proposte concorrenti”, debba essere riferito a ciascuno dei creditori chirografari, oppure, mediamente, all’ammontare delle passività chirografarie.
Il Tribunale opta per la seconda soluzione, la quale si fa preferire sia per ragioni di carattere letterale; sia per ragioni di carattere logico.
Dal punto di vista letterale, l’espressione “ammontare dei crediti chirografari” pare fare riferimento più all’entità complessiva delle passività contrassegnate da tale natura, piuttosto che ai singoli portatori di tali pretese.
Da un punto di vista logico, il principio affermato dal legislatore nel momento in cui ha introdotto per l’imprenditore concordatario il rischio di vedersi sostituito da “proponenti concorrenti” nella titolarità e nella gestione della propria impresa, pare dover essere individuato nella volontà di imporgli la assicurazione ai creditori di un risultato economico “dignitoso”: il ché si ottiene incidendo sull’entità delle risorse messe a disposizione per il complessivo soddisfacimento della massa passiva, piuttosto che sulla valutazione del soddisfacimento conseguibile dalle singole categorie dei creditori che la compongono. D’altro canto, le categorie che risultassero penalizzate – cioè soddisfatte in misura inferiore al 30% – a vantaggio di altre – di cui si prevedesse invece un soddisfacimento superiore al 30% – saranno in condizione di opporsi alla proposta concordataria esprimendo un voto contrario, o più semplicemente non esprimendo alcun voto (stante la regola del “silenzio-rifiuto”).
Anche questo argomento non risulta affrontato sovente in giurisprudenza: i pochi precedenti sono comunque conformi.[5]
[1] La considerazione nasce spontanea dalla osservazione fatta dal Tribunale, secondo la quale l’incarico dei creditori concorrenti all’esperto indipendente per la predisposizione della “Relazione attestativa” era stato conferito prima del deposito della “prima proposta principale”.
[2] Il Tribunale aggiunge che le conclusioni alle quali è pervenuto sul punto “trovano conferma anche nella pronuncia della Corte d’appello di Bologna datata 13 ottobre 2020, che ha rigettato il reclamo… avverso i distinti decreti di improcedibilità del concordato [originario] e di concessione del termine nella presente procedura ..”.
[3] Su questo profilo v. infra, nel testo.
[4] Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015, inedita.
[5] Trib. Reggio Emilia, 29 marzo 2022, inedita.