Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione, in materia di “frodi carosello”, ha stabilito che sussiste la responsabilità penale dell'amministratore di diritto, a titolo di concorso nel reato di utilizzo di false fatturazioni, con l’amministratore di fatto.
Quest’ultimo, in particolare, anche con riferimento ai reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, risponde, in base ad ormai consolidata giurisprudenza, o quale autore principale dei reati omissivi propri, in quanto titolare effettivo della gestione sociale, o comunque perché equiparato all’amministratore di diritto.
La controversia trae origine da una verifica svolta dalla Guardia di Finanza che aveva portato all’emersione di una elaborata “frode carosello” .
In particolare, una società con sede in Austria, importava in Italia merci acquistate sul mercato cinese che venivano inviate a Livorno e qui inserite in un deposito IVA (beneficiando della temporanea sospensione dal pagamento del tributo sulla merce). Successivamente la merce veniva estratta dal deposito IVA da società “cartiere”, che svolgevano una funzione di “lavaggio” dell’IVA e poi risultate, dagli accertamenti, non operative. Le suddette “cartiere” intervenivano fittiziamente, a loro volta, cedendo la merce ad alcune società italiane, tra loro soggettivamente collegate (i legali rappresentanti erano, infatti, in rapporti di parentela). In sostanza, tramite un complesso di operazioni di compravendita cartolari le società acquirenti, destinatarie finali, da un lato, acquistavano la merce ad un prezzo altamente competitivo (in quanto privo di tributi) e, dall’altro, esponevano un credito IVA inesistente.
I diversi soggetti coinvolti, quali gli amministratori di diritto e amministratori di fatto delle diverse società della filiera, erano stati condannati sia in primo e in secondo grado di giudizio.
Nello specifico, a detti soggetti venivano, tra l’altro, ascritti diversi reati tributari, quali la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, d.lgs. n. 74 del 2000), l’omessa dichiarazione (art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000), l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8, d.lgs. n. 74 del 2000), l’occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10, d.lgs. n. 74 del 2000) e la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11, d.lgs. n. 74 del 2000), ciascuno a seconda della condotta tenuta e in concorso con gli altri.
Giunta la controversia all’attenzione della Suprema Corte, questa dopo aver ricordato i tratti essenziali delsistema delle frodi carosello, ha ricostruito la natura della responsabilità penale dei soggetti coinvolti, che rispondono a diverso titolo.
Da un lato, la responsabilità è ascrivibile agli amministratori di fatto, quali autori principali del reato ai sensi dell’art. 2639 cod. civ., che la Suprema Corte ritiene operi anche in ambito tributario: tali soggetti, in particolare, rispondono o quale autori principali, in quanto titolari effettivi della gestione sociale, o comunque perché equiparati a quello di diritto.
La norma citata, infatti, in base al ragionamento della Corte, sebbene dettata in materia di reati societari, costituirebbe la codificazione di un principio generale applicabile anche ad altri settori penali dell'ordinamento, incidendo non solo sulla configurabilità del concorso dell’amministratore di fatto nei reati commissivi, ma anche in quelli omissivi propri, nel senso che autore principale del reato è proprio l'amministratore di fatto e non l’amministratore di diritto.
La responsabilità di quest’ultimo si fonda, invece, sull’art. 40, comma 2, c.p. e trova ragione nella circostanza che lo stesso, omettendo di esercitare il dovere di controllo, impostogli ex lege in considerazione della carica rivestita, sull’operato dell'amministratore di fatto, non ha impedito la commissione delle condotte illecite da parte dell’amministratore di fatto e, quindi, l’evento che avrebbe dovuto impedire.
In particolare, la Suprema Corte ha ribadito il suo costante orientamento per il quale, in tal caso, il prestanome che, accettando la carica ha anche accettato i rischi ad essa connessi, risponde comunque a titolo di dolo eventuale esponendosi alle conseguenze dell'operato dei gestori reali e dunque alla possibilità che questi pongano in essere, attraverso il paravento loro prestato con la carica ricoperta, attività non legali, in base alla posizione di garanzia di cui all'art. 2392 cod. civ., in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi, salvo che sia privo di qualunque potere o possibilità d’ingerenza nella gestione della società.