La terza Sezione penale della Corte di Cassazione, con la recente Sentenza n. 55106 del 29 dicembre 2016, si è pronunciata sul tema della punibilità dei reati tributari in caso di rimpatrio dei capitali c.d. “scudati”.
Tale procedura, disciplinata dall’art. art. 13-bis del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, ha introdotto la possibilità di rimpatriare (in Italia) o regolarizzare (con mantenimento delle attività all’estero) le attività finanziarie e patrimoniali detenute al di fuori del territorio dello Stato in violazione della disciplina sul monitoraggio fiscale (d.l. n. 167/1990) da una data non successiva al 31 dicembre 2008.
Gli effetti prodotti dall’adesione allo “scudo fiscale”prevedono l’inibizione dei poteri di accertamento dei competenti uffici in materia tributaria e previdenziale, nonché l’estinzione delle sanzioni amministrative, tributarie e previdenziali relative alle disponibilità delle attività emerse.
Quanto all’ambito di applicazione della causa di non punibilità, la norma prevede che:
- tale beneficio opera, sussistendone tutti i presupposti normativi, anche nei riguardi delle società di persone e di capitali, ma solo con riferimento a quei soggetti che, in virtù dei requisiti di diritto e di fatto posseduti, possono esserne considerati i dominus;
- rimane onere dell’interessato indicare gli specifici elementi e le circostanze dai quali poter desumere che le somme rimpatriate o regolarizzate corrispondono a quelle oggetto della condotta incriminata o comunque hanno attinenza con il reato contestato.
Il principio enunciato dai Giudici tende a ribadire che la procedura di cui al d.l. n. 78/2009 si perfeziona con il pagamento dell’imposta e che il rimpatrio, invece, non produce gli effetti estintivi della punibilità quando, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, le violazioni penali siano già state constatate o, comunque, siano già iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza.
Nella fattispecie oggetto della controversia, la Procura della Repubblica ricorreva avverso la decisione del Tribunale della libertà di revocare il sequestro dei beni (mobili, immobili e quote societarie) emessa dal Gip eseguito nei confronti di due persone, imputate del reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di false fatture, di cui all’articolo 2 del d.lgs. 74/2000.
Secondo i giudici del riesame, l’avvio della verifica fiscale in data successiva all’entrata in vigore della norma (decreto sullo “scudo fiscale” datato 3 agosto 2009) comportava l’applicazione della non punibilità penale degli interessati, in quanto, gli stessi, si erano legittimamente avvalsi della normativa sullo scudo fiscale presentando le relative dichiarazioni riservate prescritte dalla legge.
La Procura ricorreva per Cassazione avverso tale decisione, lamentando l’esistenza di altre cause ostative alla fruizione dei benefici derivanti dall’adesione allo scudo fiscale non considerate dal Tribunale. Nel dettaglio, l’attività ispettiva nei confronti dei due imputati era iniziata rispettivamente in data 11 agosto e 11 settembre 2009, mentre le dichiarazioni riservate erano presentate il 30 settembre in un caso e il 26 novembre nell’altro.
Come chiaramente puntualizzato dalla Corte “le dichiarazioni riservate, dunque, sono tutte successive all’inizio delle attività d’indagine ostative al perfezionamento dello scudo fiscale, che comunque non si è perfezionato, non essendo stata pagata l’imposta straordinaria”.
Per tale ragioni, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della Procura, che non ha ravvisato la ricorrenza dei presupposti per escludere la punibilità e ha, pertanto, annullato l’ordinanza del tribunale del riesame con cui era stata disposta la revoca del sequestro dei beni degli imprenditori.
Secondo i giudici di legittimità, la normativa sullo scudo fiscale escludeva la punibilità per i reati tributari in caso di rimpatrio dei capitali c.d. scudati e si perfezionava con il pagamento dell’imposta, ai sensi dell’art 13-bis del d.l. 78/2009. Il rimpatrio non produceva gli effetti estintivi della punibilità quando, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, le violazioni fossero state già constatate o comunque fossero già iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati avevano avuto formale conoscenza.
Nella sentenza in commento, come risulta dagli atti processuali, il procedimento penale non era iniziato alla data di entrata in vigore della norma (ricordiamo che la norma è entrata in vigore in data 3 agosto 2009) e, quindi, sarebbe stato possibile perfezionare il rimpatrio mediante il pagamento dell’imposta e non con la mera presentazione della dichiarazione riservata, peraltro inoltrate successivamente rispetto all’avvio ufficiale dei controlli.
In sostanza, rileva la sentenza, non era stato eseguito il pagamento e le istanze erano state inviate successivamente all’inizio delle attività di verifica.
In conclusione, si può quindi sostenere che la presentazione della dichiarazione per avvalersi dello scudo fiscale e il pagamento dell’imposta sostitutiva in data successiva all’avvio dell’attività di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria, impedisce di beneficiare della non punibilità ai fini penali. Ne è conseguito l’accoglimento del ricorso della Procura, con rinvio della causa al tribunale per un nuovo esame.