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Approfondimenti

Quadro RW: profili di (in)compatibilità con il diritto UE

10 Febbraio 2016

Stefano Massarotto, Studio Tributario Associato Facchini Rossi & Soci

Premessa

Forse avremo un Quadro RW più semplice e in linea con il diritto dell’UE: a chiarirlo è l’Agenzia delle entrate a Telefisco 2016.

In presenza di un deposito titoli detenuto all’estero, che tipicamente è oggetto di numerose operazioni di investimento e disinvestimento nel corso dell’anno, la corretta compilazione del Quadro RW impone fino ad oggi di effettuare conteggi piuttosto complessi (e in ogni caso laboriosi), dovendosi effettuare calcoli con riferimento distintamente ad ogni compravendita o rimborso di ciascuna attività finanziaria, tenendo conto dei giorni di possesso e secondo il criterio LIFO[1].

Ora invece l’Agenzia delle Entrate ha introdotto – finalmente – una semplificazione, precisando che:

  • all’interno di un unitario rapporto finanziario, le operazioni di investimento e disinvestimento non devono essere considerate individualmente, poiché occorre riferirsi al rapporto finanziario nel suo complesso; 
  • pertanto, ai fini RW “gli adempimenti dichiarativi previsti dovranno prevedere l’indicazione del valore iniziale e delvalore finale di detenzione della relazione finanziaria, non rilevando le eventuali singole variazioni della composizione di quest’ultima”.

La semplificazione introdotta da parte dell’Agenzia delle entrate è assolutamente apprezzabile anche se ora, forse, occorrerebbe un intervento normativo di riforma del Quadro RW alla luce del principio comunitario della libera circolazione dei capitali.

Ma andiamo con ordine.

Le novità della Legge Europea 2013

Come è ormai noto, la Legge Europea 2013 ha innovato radicalmente la normativa sul monitoraggio fiscale di cui al D.L. n. 167/1990. Il fine dell’intervento del legislatore, come si legge nella Relazione illustrativa, è stato quello di rendere la disciplina in esame “(…) più proporzionale agli obiettivi perseguiti dallo Stato così come richiesto dalla Commissione europea nell’ambito del caso EU Pilot 1711/11/TAXU[2]”.

Nel perseguimento di tale finalità è stato, tra l’altro, eliminato l’obbligo di dichiarare i trasferimenti da, verso e sull’estero (sezioni I e III del modulo RW) e sono state ridimensionate le sanzioni amministrative di cui all’art. 5, comma 2, del D.L. n. 167/1990.

Parallelamente a tali interventi, tuttavia, il legislatore nazionale ha modificato le regole di compilazione del quadro RW – si pensi, ad esempio, oltre a quanto già rappresentato per l’operatività dei dossier titoli, alla necessità di determinare e dichiarare la giacenza media dei conti correnti – ed ha esteso, anche nell’intento di rafforzare il dispositivo di contrasto all’evasione fiscale internazionale, il perimetro applicativo degli obblighi di monitoraggio fiscale anche a coloro che possono essere considerati titolari effettivi di investimenti esteri e attività estere di natura finanziaria secondo i criteri dettati dalla normativa antiriciclaggio[3].

I profili di (in)compatibilità con il diritto UE

Il principio della libera circolazione dei capitali (art. 63, paragrafo 1, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) dispone, in linea generale, il divieto di tutte le restrizioni ai movimenti di capitale tra gli Stati membri dell’Unione Europea, nonché tra gli Stati membri e i Paesi terzi e, quindi, l’ordinamento tributario domestico non potrebbe imporre in capo ai contribuenti maggiori adempimenti amministrativi in relazione ad assets esteri rispetto a quelli previsti per gli assets presenti sul territorio nazionale.

Tuttavia, tale principio è soggetto a talune deroghe, tra cui, per quanto di interesse in questa sede, quelle previste dall’art. 65, paragrafo 1, lettera b), del T.F.U.E. ove viene stabilito che il principio della libera circolazione dei capitali non pregiudica il diritto degli Stati membri  “di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, … o di stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione amministrativa o statisticapurché non costituiscano  “un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali” (art. 65, comma 3, TFUE).

In quest’ambito, eventuali restrizioni sono consentite solo se soddisfano la c.d. “rule of reason” e dunque:

  • siano giustificate da motivi imperativi di interesse generale, tra cui è ricompresa la necessità di assicurare l’efficacia dei controlli fiscali; ma
  • rispettino il principio di proporzionalità, nel senso che devono essere idonee a garantire la realizzazione dell’obiettivo che perseguono senza eccedere quanto necessario a questo fine.

Sulla base di un orientamento che pare desumibile dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. ad es., le sentenze della Corte di Giustizia C- 132/10 Halley, C- 262/09 Meilicke), il principio della libera circolazione dei capitali osterebbe a che l’ordinamento tributario di uno Stato membro dell’Unione Europea imponga al contribuente ivi residente ulteriori adempimenti dichiarativi nell’ipotesi in cui le autorità tributarie di tale Stato dispongano già di indizi e informazioni in merito all’esistenza all’estero di attivi redditualmente rilevanti tali da consentire l’avvio di eventuali indagini al riguardo, sia mediante l’utilizzo degli ordinari poteri di accertamento stabiliti dal diritto interno sia attraverso l’istituto dello scambio di informazioni.

Potrebbero dunque sussistere profili di incompatibilità con il citato principio della libera circolazione dei capitali qualora le autorità tributarie dello Stato di residenza (i.e. l’Italia) impongano ulteriori adempimenti dichiarativi ai contribuenti, quali, ad esempio, l’indicazione nel quadro RW dei dati relativi ai conti correnti esteri e degli investimenti effettuati dalle società partecipate dal contribuente, pur disponendo di indizi in merito all’esistenza di tali attivi esteri: infatti, a partire dal periodo di imposta 2016, le Autorità fiscali degli Stati UE ed extra-UE partecipanti al Common Reporting Standard OCSE si scambieranno automaticamente e reciprocamente le informazioni ottenute dalla comunità degli intermediari finanziari relative a conti finanziari e ai titolari dei medesimi, inclusi i dati dei titolari effettivi di entità (trusts, fondazioni, etc.) e dei beneficiari di polizze assicurative di natura finanziaria[4].

Occorre una riforma del Quadro RW

Sulla base di quanto esposto molto brevemente finora, le norme sull’RW, per la latitudine degli obblighi a carico dei soggetti residenti, non hanno ridotto sostanzialmente le differenze di trattamento tra operazioni estere e domestiche, mantenendo in vita, invece, una serie di adempimenti che, in una prospettiva comunitaria, potrebbe essere giustificata solo quando le attività e gli investimenti esteri siano localizzati in Stati o territori che non cooperano nella lotta all’evasione.

Ma quanto meno per conti finanziari, già oltre 90 giurisdizioni – anche quelle storicamente “opache”, Svizzera, Austria, Jersey, Guernsey, etc. – hanno annunciato la loro adesione allo scambio automatico obbligatorio di informazioni fiscali secondo lo standard OCSE (c.d. Common Reporting Standard): 56 giurisdizioni si sono impegnate a darvi attuazione nel 2016, per poi scambiare i dati nel 2017; mentre circa 40 giurisdizioni si sono impegnate allo scambio con una tempistica posticipata di un anno (2018).

Come detto, dal Telefisco 2016 è emerso un RW più semplice per i dossier titoli: secondo l’Agenzia delle Entrate è sufficiente indicare il valore iniziale e finale della relazione bancaria (non rilevando le eventuali singole variazioni della composizione di quest’ultima).

La semplificazione è sicuramente apprezzabile: ora dovrà essere recepita anche nelle Istruzioni alla dichiarazione dei redditi modello UNICO 2016 (e allineare, in tal senso, i calcoli dell’IVAFE).

Ma forse occorrerebbe ora un serio intervento normativo di riforma del Quadro RW alla luce dello scambio automatico di informazioni finanziarie.

 


[1] La complessità deriva dal fatto che i dati richiesti ai fini RW devono essere determinati con gli stessi criteri validi ai fini delle imposte patrimoniali sulle attività all’estero (IVAFE e IVIE). In particolare, il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 5 giugno 2012, Prot. n. 2012/72442 prevede che l’IVAFE sia “rapportata ai giorni di detenzione” così imponendo calcoli separati per ogni operazione di compravendita (o rimborso), sebbene la norma istitutiva dell’IVAFE (art. 19, comma 20, D.L. n. 201/2011) prevede semplicemente che l’imposta sia applicata sul valore delle attività finanziarie “al termine di ciascun anno solare”; la base imponibile dell’IVAFE deve (o dovrebbe) coincidere con quella dell’imposta di bollo, che è rapportata al periodo rendicontato oggetto di comunicazione (e non al periodo di possesso), tant’è che l’IVAFE è già stata modificata con la legge europea 2013-bis al fine di superare i rilievi mossi dalla Commissione europea.

[2] La Commissione europea aveva rilevato alcuni potenziali profili di incompatibilità della disciplina sul monitoraggio fiscale con il diritto comunitario, quali, ad esempio:

  • l’onerosità degli adempimenti dichiarativi richiesti ai contribuenti  in presenza di strumenti, quali lo scambio di informazioni e l’assistenza reciproca in materia fiscale, che consentirebbero all’Amministrazione finanziaria di ottenere le medesime informazioni senza gravare sui contribuenti; e
  • un regime sanzionatorio, in caso di violazione dei relativi obblighi dichiarativi, sproporzionato e non correlato agli eventuali redditi non dichiarati.

[3] Per ulteriori approfondimenti, ci sia consentito rimandare a S. Massarotto-M. Altomare, Il monitoraggio fiscale degli investimenti all’estero e delle attività estere di natura finanziaria, in AA.VV., Temi di fiscalità nazionale e  internazionale, Cedam, 2014, pagg. 772 e segg..

[4] La categoria degli intermediari finanziari tenuti al “reporting”e le informazioni finanziarie oggetto di scambio sono notevolmente ampie, al fine di limitare le “scappatoie fiscali”; in particolare:

  • le informazioni saranno ricevute dalle Autorità fiscali degli Stati partners in formato elettronico, annualmente, e in modo automatico;
  • saranno oggetto di comunicazione le informazioni di ogni conto finanziario intrattenuto presso una giurisdizione partner e intestato a persone fisiche o entità – ad esempio, fondazioni e trust – di cui una o più persone fisiche risultino “titolari effettivi” ai fini antiriciclaggio (c.d. look-through approach), nonché i beneficiari dei contratti di assicurazione sulla vita a contenuto finanziario;
  • per ogni conto saranno forniti, tra gli altri, tutti gli estremi identificativi della persona oggetto di comunicazione (ad esempio, nome, indirizzo, Stato di residenza, codice fiscale), nonché del conto finanziario e dell’intermediario finanziario, i redditi di capitale – quali cedole, interessi e dividendi – ma altresì i saldi di conto e i corrispettivi delle vendite e riscatti degli strumenti finanziari.
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