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Qualifica di investitore istituzionale e tassazione proventi dal fondo

18 Febbraio 2025

Enrico Matano, Dottorando di ricerca in diritto tributario, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Di cosa si parla in questo articolo

La recente risposta n. 18/2025 dell’Agenzia delle Entrate, ha offerto un chiarimento in merito alla qualifica di “investitore istituzionale”, ai sensi dell’art. 32, c. 3, lett. g), del D.L. 78/2010, con particolare riferimento a enti ecclesiastici che detengono partecipazioni in fondi immobiliari chiusi gestiti da SGR.

Prima di entrare nel merito della questione, occorre delineare i due principali regimi fiscali applicabili ai partecipanti ai fondi immobiliari:

  • regime di tassazione “per trasparenza”: previsto dall’art. 32, comma 3-bis, D.L. 78/2010, si applica ai soggetti partecipanti “non istituzionali”, che detengano una partecipazione pari o superiore al 5 per cento del fondo immobiliare. In questo caso, il partecipante deve dichiarare e tassare direttamente il reddito del fondo, indipendentemente dall’effettiva distribuzione dei proventi
  • per tutti gli altri soggetti, regime di tassazione con ritenuta alla fonte: disciplinato dall’art. 7 del D.L. 351/2001, prevede l’applicazione di una ritenuta del 26% a titolo d’imposta sui proventi distribuiti dal fondo immobiliare. Detto regime si applica, in ogni caso, agli “investitori istituzionali”, che detengano una partecipazione pari o superiore al 5 per cento del fondo e comporta che i redditi non vengano imputati per trasparenza, bensì subiscano un prelievo definitivo alla fonte. In particolare, la disposizione normativa prevede che rientrino tra gli investitori istituzionali, tra gli altri, anche gli “enti privati residenti in Italia che perseguano esclusivamente le finalità indicate nell’art. 1, comma 1, lett. c-bis), del D.Lgs. 153/1999”, tra le quali rientra anche quella di “religione e sviluppo spirituale”.

L’ente istante sosteneva che la gestione del proprio patrimonio immobiliare finalizzata al reperimento di risorse economiche per il sostentamento del clero lo escludesse dalla qualifica di investitore istituzionale, ritenendo che il requisito dell’esclusività fosse compromesso dalla presenza di attività economiche connesse alla gestione del patrimonio.

L’Agenzia delle Entrate ha rigettato questa impostazione, affermando che non rileva la mera esistenza di un’attività di gestione patrimoniale, bensì il fine ultimo per cui essa viene svolta: nel caso di specie, la gestione immobiliare non assume natura commerciale in senso stretto, in quanto funzionale al perseguimento degli obiettivi istituzionali dell’ente.

L’Agenzia ha richiamato inoltre alcune pronunce della Cassazione (sentenza n. 1164/2023 e ordinanze nn. 9409/2023, 9394/2023 e 10400/2023), secondo cui un ente ecclesiastico può svolgere attività economiche senza perdere la propria natura istituzionale, purché queste siano strumentali ai fini statutari: in particolare, la Cassazione ha sottolineato che la produzione di redditi patrimoniali a supporto dell’attività religiosa e spirituale non trasforma l’ente in un soggetto commerciale.

L’Agenzia ha fatto propria questa impostazione, riconoscendo che la gestione immobiliare da parte dell’ente istante non assume carattere imprenditoriale, bensì di mero godimento patrimoniale a fini istituzionali.

Alla luce di questa interpretazione, l’Agenzia ha stabilito che l’ente ecclesiastico rientra a pieno titolo tra gli investitori istituzionali di cui all’art. 32, comma 3, lett. g), D.L. 78/2010. 

Tale qualifica ha un impatto diretto sulla tassazione dei proventi derivanti dalla partecipazione al fondo immobiliare: essa comporta, in particolare, che l’ente subirà l’applicazione della ritenuta alla fonte sui proventi derivanti dal fondo immobiliare nella misura del 26%, ai sensi dell’art. 7 del D.L. 351/2001.

Questa ritenuta è a titolo d’imposta, e pertanto non concorre alla formazione del reddito complessivo dell’ente.

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