Con la sentenza in esame, la Suprema Corte ha confermato il proprio orientamento in merito ai limiti di applicabilità della disciplina dettata dall’art. 1988 c.c. all’assegno bancario.
Ricognizione di debito e promessa di pagamento, sebbene non abbiano natura giuridica di confessione (la prima essendo una dichiarazioni di volontà e la seconda di scienza), devono pur sempre provenire dal soggetto legittimato a disporre del patrimonio su cui incide l’obbligazione dichiarata e devono investire la posizione della controparte del rapporto della cui esistenza si tratta (soltanto il destinatario della promessa di pagamento è, cioè, dispensato dall’onere di provare la sussistenza del rapporto fondamentale).
Pertanto, quando l’azione cartolare non possa più essere esperita per intervenuta prescrizione, l’assegno bancario riveste la natura di promessa di pagamento solamente nei rapporti fra traente e prenditore o fra girante ed immediato giratario; non anche nei confronti di colui che si atteggi quale mero possessore del titolo, giacché – mancando in esso l’indicazione del soggetto al quale è fatta la promessa – non vi è ragione di attribuire il beneficio dell’inversione dell’onere della prova (in senso conforme, Cass. 24 maggio 1996, n. 4801; 29 marzo 2006, n. 7262; 21 giugno 2013, n. 15688).