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Attualità

Quantitative Easing: la sentenza della Corte Costituzionale tedesca

6 Maggio 2020

Stefano Lombardo, Professore associato di Diritto dell’Economia, Libera Università di Bolzano

Come è noto, il 4 marzo 2015 la Banca Centrale Europea (BCE) prendeva la decisione (più volte in seguito modificata) relativa ad un programma di acquisto di titoli pubblici degli Stati membri, il PSPP (Public Sector Purchase Programme o Quantitative Easing, QE) a supporto della sua politica monetaria di adeguamento ad un target di inflazione del 2%. La Corte costituzionale tedesca (BverfG) ha promosso nell’estate 2017 una serie di domande pregiudiziali contro il PSPP, sulle quali si è pronunciata la Corte di giustizia dell’Unione europea (CG) con sentenza dell’11 dicembre 2019 (C-493/17 Weiss et al). La Corte europea ha dato sostanzialmente luce verde al PSPP, giudicandolo conforme ai Trattati ed in particolare al divieto di finanziamento monetario degli Stati membri ex art. 123 TFUE e al principio di attribuzione delle competenze (art. 5 TUE).

Limitando qui l’analisi ai punti essenziali del testo tedesco del comunicato stampa (https://www.bundesverfassungsgericht.de/SharedDocs/Pressemitteilungen/DE/2020/bvg20-032.htmle) e riservandosi un’analisi più dettagliata in altra sede, queste brevi riflessioni contestualizzano la sentenza della Corte tedesca all’emergenza COVID-19.

La Corte Costituzionale tedesca, discostandosi nel merito dalla decisione della Corte di giustizia, ha in parte accolto i ricorsi promossi da alcuni cittadini tedeschi contro il QE. In sintesi, la Corte costituzionale tedesca ha deciso che (i) il Governo e il Parlamento tedesco non hanno provveduto ad un controllo sul rispetto del principio di proporzionalità della decisione sul QE della BCE, controllo non effettuato neanche dalla stessa BCE che avrebbe agito ultra vires; (ii) non si riscontra invece una violazione del divieto di finanziamento monetario degli Stati membri.

Più in particolare, la Corte tedesca, modificando quello che è il tradizionale perimetro di dialettica con la Corte di giustizia, prende una decisa posizione su alcuni aspetti rilevanti del PSPP. In primo luogo, il BverfG ritiene la decisione QE della BCE un atto ultra vires, nonostante il giudizio contrario della CG. Nel bilanciamento fra poteri della CG e del BverfG su un possibile giudizio di legittimità di un atto di un organo dell’Unione europea, pur nel rispetto dei poteri della CG che utilizza criteri interpretativi comuni, il BverfG può eccepire l’illegittimità di un atto, come in questo caso. L’opinione di conformità della CG, data la completa mancata considerazione delle conseguenze effettive del programma PSPP sulla politica economica, non sarebbe infatti condivisibile. In particolare, non vi sarebbe stato adeguato controllo da parte della CG sulla proporzionalità e sulle effettive conseguenze del programma, pregiudicando così la necessità di un verificabile controllo del rispetto del mandato monetario della BCE/SEBC e ciò a sua volta pregiudicherebbe la valutazione del principio di attribuzione delle competenze. In questo contesto, il BverfG critica anche l’autolimitazione che la CG si sarebbe imposta sull’esercizio del controllo di legittimità degli atti della BCE, dando così un ampio respiro alla discrezionalità delle decisioni di politica monetaria della BCE. In secondo luogo, e come conseguenza, il BverfG non sarebbe vincolato alla decisione della CG: spetta allora al BverfG far in modo che sia esercitato un controllo del rispetto del criterio di proporzionalità e quindi del mandato conferito dai Trattati alla BCE. Il BverfG, considerata la relazione fra mezzi e obiettivi del PSPP nonché le sue conseguenze economiche, conclude che la decisione del marzo 2015 della BCE non soddisfa i criteri per un controllo ex post del principio di proporzionalità. Come terzo punto la Corte tedesca sospende il giudizio sulla mancata richiesta da parte del Parlamento/Governo tedesco di una cessazione del PSPP, dovendo per questo attendere la giustificazione di legittimità da parte della stessa BCE, in base al principio di proporzionalità. Come quarto punto il BverfG pone in rilievo come dal complesso delle condizioni di realizzazione del PSPP non si possa dedurre un raggiro del divieto di finanziamento monetario degli Stati membri (art. 123.1 TFUE) (in particolare dal rispetto delle condizioni relative a volume limitato acquisti, acquisti comunicati solo in forma aggregata, limite del 33% per emissione, acquisti proporzionali al capitale partecipato dagli SM, acquisti basati su titoli dotati di rating, possibilità di rivendita in caso di cessazione del programma). Come quinto punto la Corte tedesca non rileva una lesione della identità costituzionale tedesca e della disciplina di bilancio da parte del Parlamento tedesco, anche in considerazione del fatto che gli acquisti avvengono senza una responsabilità solidale fra SM. Come sesto punto il BverfG, sulla base delle argomentazioni precedenti, chiede al Parlamento e al Governo di contribuire alla chiarificazione della questione del rispetto del principio di proporzionalità da parte della BCE anche con riferimento alla fase di reinvestimento iniziata nel gennaio 2019 e al suo riavvio nel novembre 2019. Con un periodo transitorio di 3 mesi, i diversi organi tedeschi inclusa la Bundesbank non possono più partecipare alla implementazione di atti ultra vires, ove la BCE non provveda a legittimare il PSPP con una nuova decisione che chiarifichi il rispetto del principio di proporzionalità fra programma e obiettivi.

Mi sembra ad un primo veloce esame che la sentenza, quasi di “voluta rottura”, ponga in rilievo diversi aspetti che dovranno essere approfonditi dalla dottrina tra i quali, (i) il rapporto fra giudicato CG e diritto tedesco, e più in generale il sistema gerarchico fra diritto EU e diritto interno agli Stati membri, (ii) i confini e le modalità di esercizio della discrezionalità della politica monetaria della BCE e il suo controllo ex post, nonché in ultima analisi e soprattutto (iii) il grado di indipendenza della BCE.

Per il prossimo futuro, inoltre, di evidente rilievo appaiono le possibili conseguenze che la sentenza della Corte tedesca potrà avere sulle due recenti decisioni della BCE in materia di possibilità di collateral a basso rating nelle operazioni di finanziamento alle banche (decisione del 22 aprile 2020) e la possibilità di acquisti non proporzionali fra titoli dei diversi SM nell’ambito del programma PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme, del 18 marzo 2020). Questi due aspetti sono intimamente legati ai costi derivanti dalla crisi COVID-19 e alla loro gestione da parte degli Stati membri. Questi costi sollecitano infatti i conti pubblici degli Stati, aggravando nel medio periodo i bilanci con la creazione di deficit ingenti, volti al ristabilimento di condizioni economiche di equilibrio sostenibili tra domanda e offerta. Per quanto riguarda l’Unione europea, la Commissione ha sospeso i limiti di spesa del patto di stabilità e crescita (Comm. 20.3.20, 123 final), consentendo agli Stati membri di indebitarsi per drenare a debito risorse finanziarie nell’economia, considerato anche il probabile calo delle imposte, dovuto al collasso del PIL. Per alcuni Stati membri della unione monetaria l’aumento del deficit di bilancio aggrava il problema della sostenibilità del debito pubblico. Il possibile aumento degli interessi, causato dall’aumento del deficit, pone la questione della legittimità degli interventi di acquisto sul mercato monetario da parte della BCE nell’ambito del PSPP e del PEPP, sollecitando riflessioni sul possibile mancato rispetto del divieto di finanziamento ex art. 123.1 TFUE.

Una ultima riflessione è poi dovuta e si basa sul fatto che, partendo da un atteggiamento di reciproco rispetto e comprensione fra tutte le parti in campo, la decisione della Corte tedesca potrebbe spingere gli attori politici nazionali ed europei, dopo circa 20 anni dalla unione monetaria ad una seria riflessione su una possibile riforma, al fine di rendere l’area monetaria una zona monetaria ottimale, con eventuali, possibili trasferimenti fiscali fra Stati membri. La continua delega da parte della politica a “istituzioni non-maggioritarie” (Corti costituzionali, Corte di giustizia e BCE) di scelte eminentemente politiche, potrebbe infatti non essere più sufficiente a garantire un percorso comune.


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