Con la sentenza n. 4967 del 14 marzo 2016 la Corte di Cassazione ha affrontato il tema dell’abuso della maggioranza, annullando la delibera assembleare con la quale, a maggioranza semplice, era stata modificata la clausola statutaria che prevedeva una maggioranza rafforzata del 60% per le delibere aventi ad oggetto alcune materie (sia in prima che in seconda convocazione).
Si tratta, per la Suprema Corte, di un naturale corollario del fondamentale criterio di buona fede, in base al quale appare “intrinsecamente contraddittorio”, in presenza di una siffatta clausola, finalizzata a garantire un potere di interdizione ad una minoranza determinata, consentire ad una maggioranza non qualificata di modificare liberamente la previsione che attribuisce tale potere. In altre parole, la clausola che richiede una maggioranza qualificata per le delibere aventi ad oggetto determinate materie può essere modificata solamente dalla stessa maggioranza qualificata prevista dalla medesima clausola, “salva una non equivoca diversa volontà negoziale, nella specie inesistente”[1].
[1] Che tale fosse la funzione dell’articolo in questione “si desume proprio dalla ricostruzione causale operata dalla sentenza impugnata che ha colto nella clausola della quale si discute l’obiettivo di fissare i rapporti di forza esistenti al momento e di assicurare la persistenza degli stessi attraverso la previsione di una maggioranza che imponeva l’accordo tra i diversi gruppi” (Cass. 4967/2016, p. 4).