Con la pronuncia n. 9146 del 10 aprile 2017 le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione sono tornate sul tema dei rapporti fra fallimento e concordato dopo le statuzioni rese con la pronuncia n. 9935/2015.
La sentenza costituisce un efficace compendio delle conseguenze che discendono dal rapporto di continenza che sussiste fra la procedura avviata per la dichiarazione di fallimento e quella avviata per accedere al concordato preventivo.
Nella giurisprudenza di questa Corte, ricorda la sentenza, “è ormai indiscusso che la pendenza di una domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, impedisce temporaneamente la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 L. Fall., ma non rende improcedibile il procedimento prefallimentare iniziato su istanza del creditore o su richiesta del P.M., né ne consente la sospensione” (in tal senso si era già pronunciata Cass., sez. un., 15/05/2015, n. 9935).
Tra la domanda di concordato preventivo e l’istanza o la richiesta di fallimento, in quanto iniziative tra loro incompatibili e dirette a regolare la stessa situazione di crisi, ricorre infatti un rapporto di continenza (in tal senso si era già espressa ancora Cass., sez. un., 15/05/2015, n. 9935).
Da ciò per Corte discendono le seguenti conseguenze:
– una volta che sia stato dichiarato il fallimento, può solo essere impugnata la relativa sentenza e non è possibile che il giudizio sulla omologabilità del concordato prosegua dopo la dichiarazione del fallimento;
– in un simile caso contro la sentenza di fallimento l’impugnazione può essere proposta anche formulando soltanto censure avverso la dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato preventivo”, che peraltro non è reclamabile, né ricorribile per cassazione;
– la sopravvenuta dichiarazione del fallimento rende inammissibili, e se già proposte improcedibili, le stesse impugnazioni autonomamente proponibili contro il decreto di rigetto della domanda di omologazione del concordato;
– sopravvenuto il fallimento, dunque, i motivi d’impugnazione proposti contro il diniego di omologazione del concordato si traducono necessariamente in motivi d’impugnazione della dichiarazione di fallimento;
– se il decreto di rigetto della domanda di omologazione del concordato non è stato impugnato autonomamente né censurato con il reclamo avverso la sentenza di fallimento, la decisione di non omologabilità del concordato diviene definitiva e il giudizio di impugnazione ex art. 18 L. Fall. verterà esclusivamente sui presupposti del fallimento;
– se il decreto di rigetto, in primo o in secondo grado, della domanda di omologazione del concordato è stato a sua volta impugnato, le relative censure debbono essere riproposte nel giudizio di impugnazione della sentenza di fallimento ed il separato giudizio di omologazione del concordato diverrà improcedibile;
– le questioni relative all’omologazione sono quindi integralmente e necessariamente assorbite nel giudizio di impugnazione della sentenza di fallimento ed il giudice chiamato a pronunciarsi sul fallimento in sede di impugnazione dovrà dunque pronunciarsi anche sulla proposta di concordato e se confermerà la dichiarazione di fallimento, ribadirà anche il giudizio di non omologabilità del concordato;
– potrà invece revocare la dichiarazione del fallimento, ad esempio per insussistenza dello stato di insolvenza, ma non necessariamente omologare il concordato preventivo, la cui proposta debba essere disattesa per una delle ragioni previste dagli artt. 173 e 180 L. Fall..