Con la sentenza n. 44857 del 27 ottobre 2014 al Corte di Cassazione Penale ha affermato il principio secondo cui il reato di ricorso abusivo al credito richiede che il soggetto al quale esso viene addebitato sia, successivamente, dichiarato fallito.
Secondo la Cassazione tale soluzione, nonostante l’art. 218 L. Fall. non faccia menzione della necessità della dichiarazione di fallimento, riposa sia su dati letterali, giacché la norma è inclusa nel capo I del Titolo VI del r.d. n. 267 del 1942, intitolato “Reati commessi dal fallito”, sia su argomenti sistematici, tratti in particolare: a) dagli artt. 222, 223 e 225 L. Fall., che richiedono il fallimento della società; b) dall’art. 219, comma secondo, n. 1, L. Fall., che considera unitariamente le fattispecie di cui agli artt. 216, 217 e 218 L. Fall., in tal modo palesando una base offensiva comune dei vari reati, colta nell’interesse dei creditori concorsuali a non vedere le proprie ragioni pregiudicate da atti che riducono la garanzia patrimoniale; c) dall’art. 221 L. Fall., che, sia pure su un piano storico, rivela il presupposto inespresso del legislatore di sanzionare le condotte descritte solo in caso di dichiarazione di fallimento.
Con la presente decisione la Cassazione conferma l’orientamento già espresso con provvedimento n. 23796 del 2004, in contrapposizione dal precedente espresso con provvedimento n. 4021 del 1997.