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Una recente questione in materia di cessione del credito IVA: la rilevanza dei carichi pendenti del cessionario

17 Giugno 2014

Avv. Chiara Tomassetti, Partner, STS Deloitte

Di cosa si parla in questo articolo

Premesse

Un nuovo “trend”, dall’accentuata indole garantista, sembra recentemente ispirare l’azione dell’Amministrazione finanziaria in materia di cessione del credito IVA.

Negli ultimi tempi, continua, infatti, a registrarsi un preoccupante incremento degli eventi impeditivi e sospensivi delle procedure di rimborso dei crediti IVA oggetto di cessione [1], a causa di un presunto “legittimo” potere di controllo della posizione fiscale del cessionario. 

Di seguito, si espongono le ragioni per cui tale orientamento sia da ritenere contrario ai principi che ispirano l’istituto della cessione del credito IVA.

Tuttavia, prima di entrare nel merito della questione tributaria oggetto del presente approfondimento, è bene ricordare alcuni aspetti generali del negozio giuridico della cessione del credito (ex artt. 1260 e ss. del Codice Civile) da cui trae origine la fattispecie “derivata” della cessione del credito IVA.

1. Il negozio giuridico della cessione del credito

La cessione del credito è un negozio giuridico bilaterale avente ad oggetto la successione a titolo particolare del cessionario nella situazione creditoria del cedente che lascia inalterata sia la posizione del debitore ceduto sia quella del nuovo creditore rispetto alla posizione originaria del dante causa. Infatti, come più volte ribadito dalla dottrina più autorevole, in merito alla posizione del cessionario <<la successione è relativa ad un determinato rapporto giuridico e non concerne anche la titolarità attiva o passiva di altri rapporti giuridici che possono in qualche modo incidere sull’esistenza o sulle modalità di esistenza del rapporto giuridico del cui lato attivo egli diviene titolare>> [2].

Non deve dunque confondersi la cessione del credito con la ben diversa fattispecie della cessione del contratto che investe, globalmente, la posizione contrattuale del cedente, determinando il trasferimento di tutti i suoi rapporti, sia di credito sia di debito. In questo caso, <<per il contraente ceduto, il cessionario del contratto non è solo, come nella cessione dei crediti, un nuovo creditore (le cui qualità personali o le cui condizioni patrimoniali sono irrilevanti per il debitore), ma è anche, in rapporto ai crediti del contraente ceduto, un nuovo debitore, le cui qualità personali o le cui condizioni patrimoniali non sono indifferenti per il creditore>> [3].

Per questo motivo, il negozio giuridico bilaterale della cessione del credito si perfeziona senza necessità del consenso del debitore ceduto ed ha effetto “liberatorio” nei suoi confronti solo nel momento in cui questi l’abbia accettata, gli sia stata notificata o ne abbia avuto conoscenza (ex art. 1264 del Codice Civile) [4].

L’estraneità del debitore ceduto al negozio giuridico bilaterale della cessione del credito è altresì resa evidente dal mancato riconoscimento di un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra cedente, cessionario e ceduto (ex art. 102 c.p.c.) nel giudizio in cui sia opposto in compensazione un credito ceduto. In particolare, <<il rapporto tra cedente e cessionario, sia nel caso in cui la cessione sia stata notificata al debitore ceduto, sia nel caso in cui sia stata da costui accettata, rimane autonomo e distinto dal rapporto tra cessionario e debitore ceduto, e così pure dal rapporto tra cedente e debitore ceduto. Non si tratta, quindi, di un rapporto giuridico sostanziale unico comune a più soggetti>> [5].

L’acclarata estraneità del debitore ceduto alla vicenda della cessione del credito incide, poi, sul regime delle eccezioni opponibili al cessionario (ex art. 1248 del Codice Civile). In particolare, in base al principio generale secondo il quale la cessione del credito non può determinare una modifica peggiorativa della posizione originaria del debitore ceduto “estraneo”, quest’ultimo può <<opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente, sia quelle attinenti alla validità del titolo costitutivo del credito, sia quelle relative invece (…) ai fatti modificativi od estintivi del rapporto anteriori alla cessione od anche posteriori al trasferimento, ma anteriori all’accettazione della cessione o alla sua notifica o anche alla sua conoscenza di fatto>> [6].

Tuttavia, occorre precisare che la nozione di successione particolare nella situazione creditoria del cedente non giustifica in ogni caso l’opponibilità al cessionario delle “eccezioni personali”, ossia delle eccezioni fondate su altri rapporti con il cedente, atteso che – come già chiarito – la cessione in oggetto determina esclusivamente l’acquisto a titolo derivato di un credito e non anche il subentro nella titolarità attiva o passiva di altri rapporti giuridici che fanno capo al cedente.

2. La fattispecie “derivata” della cessione del credito IVA

“Ricalcando” il profilo del negozio giuridico di riferimento, si viene così a configurare, in ambito tributario, la fattispecie “derivata” della cessione del credito IVA [7] che – in piena linea con i principi generali sopra esposti – non coinvolge il debitore ceduto, nonostante esso si identifichi nell’Amministrazione finanziaria.

Indipendentemente dall’avvenuta successione nella titolarità del credito IVA, le questioni tributarie ad esso connesse restano dunque ancorate al sottostante rapporto contribuente-cedente/Amministrazione finanziaria da cui origina il credito IVA ceduto. E’ quanto espressamente chiarito nella Risoluzione n. 103/E del 6 settembre 2006 di cui si riporta il seguente significativo passaggio: <<occorre comunque rispettare il principio secondo cui la cessione, anche parziale, del credito IVA non può alterare l’originario rapporto obbligatorio di diritto pubblico esistente tra l’Amministrazione finanziaria ed il cedente del credito>>.

La fattispecie di rilevanza tributaria viene così gradualmente a disciplinarsi per effetto di frammentarie norme e chiarimenti ufficiali che si rivolgono quasi esclusivamente al contribuente cedente e all’Amministrazione finanziaria. In particolare:

  • il contribuente cedente deve notificare formalmente all’Ufficio IVA competente per territorio l’avvenuta cessione del credito IVA, ai sensi dell’art. 69 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440;
  • l’Ufficio IVA è soltanto legittimato ad indagare sull’esistenza e sulla validità estrinseca e formale della cessione del credito IVA notificatale [8];
  • l’Ufficio IVAesercita i propri poteri di controllo, di accertamento e di irrogazione delle eventuali sanzioni esclusivamente nei confronti del contribuente-cedente, ai sensi dell’art. 5, comma 4 ter, del D.L. 14 marzo 1988, n. 70 (di seguito, per brevità, anche il “D.L. 70/1988”)  il quale, in caso di cessione del credito, statuisce espressamente che <<restano ferme le disposizioni relative al controllo delle dichiarazioni, delle relative rettifiche e all’irrogazione delle sanzioni nei confronti del cedente il credito>>;
  • l’Ufficio IVA, prima della liquidazione del rimborso, deve richiedere le garanzie previste dall’art. 38-bis, comma 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito, per brevità, anche il “d.P.R 633/1972”) unicamente al contribuente di diritto, e cioè al soggetto cedente [9];
  • in sede contenziosa, la capacità di stare in giudizio rimane in capo al solo cedente, e quindi, nel caso di disconoscimento dell’esistenza del credito IVA rimborsato, il cessionario si potrebbe trovare nella situazione di  dover restituire all’Amministrazione finanziaria le somme oggetto di rimborso e di non poter tuttavia agire giudizialmente (se non per vizi formali degli atti, ma non anche al fine di contrastare eventuali eccezioni di insussistenza totale o parziale del credito).

Soltanto nell’eventualità in cui, successivamente all’erogazione del rimborso, l’Amministrazione accerti la non debenza delle somme rimborsate, ai fini del recupero delle stesse, l’Amministrazione medesima può rivalersi direttamente anche nei confronti del cessionario del credito IVA (i.e. responsabilità solidale del cessionario) per espressa previsione normativa: in particolare, ai sensi dell’art 5, comma 4 ter, del D.L. 70/1988 <<Agli effetti dell’articolo 38-bis  del  decreto  del  Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, in caso di cessione  del  credito risultante  dalla  dichiarazione  annuale  deve  intendersi  che  l’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto possa ripetere anche dal cessionario le somme rimborsate, salvo che questi non  presti  la  garanzia  prevista  nel secondo comma dal  suddetto  articolo  fino  a  quando  l’accertamento  sia diventato definitivo>>.

Ebbene, l’unica ipotesi di rilevanza della sfera giuridica del cessionario, nei confronti del quale l’Amministrazione, come anticipato, può agire per la restituzione delle somme già rimborsate, viene sancita da una espressa disposizione normativa: in mancanza, non può non confermarsi in toto il principio dell’estraneità del cessionario al rapporto debitorio-creditorio che lega il cedente all’Amministrazione, con la conseguenza di doversi dunque escludere una simile rilevanza ove non esplicitamente regolata dal legislatore (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit).

3. Il legittimo potere di controllo della posizione fiscale del cedente del credito IVA

In piena coerenza con le numerose considerazioni che precedono, risulta evidentemente legittimo l’esercizio di un potere di controllo di eventuali situazioni debitorie sorte in capo al contribuente cedente, nel presupposto che l’Amministrazione finanziaria rimanga estranea al rapporto cedente/cessionario finalizzato esclusivamente al trasferimento della titolarità del credito IVA [10].

Questo è quanto espressamente chiarito dalla stessa Amministrazione finanziaria, nella circolare n. 223 del 28 ottobre 1988 dell’Ispettorato Compartimentale delle tasse e delle imposte indirette sugli affari per il Lazio e nella già richiamata circolare  n. 71 del 30 marzo 1989 del medesimo Ispettorato, in cui viene posto in evidenza che, nel caso di cessione del credito IVA, <<l’ufficio deve continuare ad esercitare i propri poteri di controllo, di accertamento e di irrogazione delle eventuali sanzioni esclusivamente nei confronti del contribuente-cedente, restando estraneo il cessionario, per tali effetti, all’osservanza degli obblighi stabiliti dal D.P.R. n. 633/1972>>.

A sostegno delle predette considerazioni, vale segnalare che anche la Ragioneria generale dello Stato, nella circolare n. 22 del 29 luglio 2008, seppur nella diversa materia delle verifiche ex art. 48 bis del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (di seguito per brevità anche il “d.P.R. 602/1973”) [11] da porre in essere in capo ai beneficiari di pagamenti di natura privatistica dovuti dalle Pubbliche Amministrazioni (i.e. crediti commerciali, la cui disciplina peraltro non trova applicazione con riferimento ai crediti di natura tributaria [12]) ha espressamente ritenuto che l’attività di controllo <<vada effettuata esclusivamente nei confronti del creditore originario (cedente), a prescindere dalla circostanza che la cessione del credito sia avvenuta con o senza il consenso del soggetto pubblico debitore (ceduto). In altri termini, si è dell’avviso che nei confronti del soggetto cui è stato trasferito il diritto di credito (cessionario) – subentrato nel rapporto con la Pubblica amministrazione in virtù di un contratto stipulato tra privati al quale la stessa è rimasta estranea – non sussistano i presupposti per procedere alla verifica disciplinata dal Regolamento>>.

Anche nella successiva circolare n. 29 dell’8 ottobre 2009, la Ragioneria generale dello Stato ribadisce che <<qualora la cessione del credito sia avvenuta senza il consenso del soggetto pubblico debitore (ceduto) (…) la verifica prevista dall’articolo 48-bis, come già anticipato nella cennata circolare n. 22/2008, deve essere eseguita esclusivamente nei confronti del creditore originario (cedente). In assenza del consenso del debitore (…) la Pubblica Amministrazione può, infatti, opporre al cessionario tutte le eccezioni che poteva far valere nei confronti del creditore originario>>.

4. “Contro” la legittimità del potere di controllo della posizione fiscale del cessionario

Di dubbia legittimità risulta invece l’esercizio del potere di controllo dell’Amministrazione finanziaria nei confronti del cessionario.

In pieno contrasto con i più volte richiamati principi generali che ispirano il negozio giuridico della cessione del credito e che ricorrono altresì nella fattispecie “derivata” di diritto tributario, il controllo in oggetto – se legittimato – si tradurrebbe infatti nell’implicito riconoscimento della partecipazione piena del debitore ceduto (non più parte estranea dunque) alla vicenda traslativa della cessione del credito IVA, determinando conseguentemente, de facto ma non ex lege, il subentro complessivo del cessionario nella posizione del cedente, alla stregua del ben diverso caso delle operazioni straordinarie in cui è appunto il Legislatore a riconoscere espressamente tale effetto: nella fusione, ad esempio, la società incorporante assume i diritti e gli obblighi della società incorporata, proseguendo i tutti i suoi rapporti, in forza di quanto statuito dall’art. 2504 bis del Codice Civile.

Ed ebbene – in considerazione del significativo silenzio del Legislatore tributario nell’ambito della disciplina della cessione del credito IVA e alla luce delle richiamate disposizioni del Codice Civile che, laddove non sia espressamente previsto il contrario, si applicano, senza dubbio alcuno, anche alla fattispecie oggetto della presente analisi – non può dunque ritenersi ammissibile che l’effetto del subentro complessivo del cessionario nella posizione del cedente sia interpretativamente riconosciuto dall’Amministrazione finanziaria.

a) Il controllo del solo cedente in materia di imposte dirette

Il potere di controllo della posizione fiscale del cessionario deve ritenersi a maggior ragione inammissibile, se si considera che – nell’analisi del combinato disposto dell’articolo 43-bis, comma 3, del d.P.R. 602/1973 e dell’articolo 1, comma 4, del Decreto Ministeriale 31 luglio 1997, n. 384 (di seguito per brevità anche il “D.M. 384/1997”), in materia di cessione del credito chiesto a rimborso tramite la dichiarazione dei redditi – l’Amministrazione finanziaria, nella Risoluzione n. 67 del 16 maggio 2006, si è “limitata” a confermare in via interpretativa che <<il credito ceduto scaturisce da un rapporto di carattere pubblicistico, quale è il rapporto d’imposta, in virtù del quale, accanto all’obbligazione pecuniaria principale avente per oggetto il pagamento del tributo, si afferra in capo all’Amministrazione e al contribuente un insieme di poteri e doveri volti alla determinazione e all’adempimento dell’obbligazione stessa. La cessione a terzi del credito, in particolare, non interferisce su tale rapporto, di cui il legislatore assicura la continuazione, lasciando integri i poteri spettanti all’Amministrazione nei confronti del contribuente-cedente>>.

b) La deroga “minima” espressa in materia di appalti  

Ad ulteriore conferma dell’esigenza di una norma “espressa” che legittimi l’esercizio del potere di controllo dell’Amministrazione finanziaria anche nei confronti del cessionario, giova richiamare altresì l’art. 117, comma 5, del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (i.e. Codice degli Appalti, di seguito per brevità anche il “D.lgs. 163/2006”) ai sensi del quale <<l’amministrazione cui è stata notificata la cessione può opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente in base al contratto relativo ai lavori, servizi, forniture, progettazione, con questo stipulato>>.

Dalla lettura di tale disposizione risulta in maniera evidente e significativa che lo stesso Legislatore ha ritenuto necessario “esprimere” una deroga minima alla regolamentazione codicistica; deroga che – lungi dal riconoscere un subentro complessivo del cessionario nella posizione del cedente (come chiaramente sancito dalla giurisprudenza in materia) – si limita soltanto a legittimare l’opponibilità al cessionario di qualche eccezione in più, sorta sempre e comunque in capo al cedente, rispetto a quelle opponibili ordinariamente sulla base delle disposizioni del codice civile (cfr. paragrafo 1).

c) Il diverso interesse del cessionario dei crediti commerciali

Non si ritiene percorribile neanche la “strada” [13] dell’estensione delle verifiche dei carichi pendenti nei confronti del cessionario del credito IVA per analogia con l’estensione delle verifiche ex art. 48 bis del d.P.R. 602/1973 nei confronti del cessionario dei crediti commerciali.

In quel diverso scenario, infatti, al fine di liberare il cessionario da eventuali futuri rischi connessi ad una situazione di inadempienza del cedente stesso, rilevabile ex art. 48 bis, la Ragioneria generale dello Stato – con la richiamata circolare n. 29 dell’8 ottobre 2009 – afferma che <<dovrà essere richiesta all’Amministrazione debitrice, in occasione della notifica della cessione, l’espressa accettazione della cessione del credito con esplicito riferimento all’insussistenza di situazioni di inadempienza (…) nel caso in cui l’Amministrazione debitrice abbia manifestato il proprio consenso alla cessione – in quanto il cedente è risultato “non inadempiente” – il controllo ex articolo 48 bis andrà effettuato nel confronti del solo cessionario (…) soltanto l’avvenuta rilevazione della assenza di inadempimenti a carico del cedente, ancorché effettuata al momento della notifica della cessione, legittima l’esclusione dello stesso cedente dalla sospensione ad una nuova verifica al momento del pagamento>>.

È evidente dunque come i chiarimenti da ultimo riportati rispondano essenzialmente – allo scopo di facilitare l’accesso al credito delle imprese – all’esigenza di tutelare la posizione del cessionario che, attraverso il meccanismo della richiesta di accettazione della cessione da parte dell’Amministrazione finanziaria debitrice, si vede liberato dal rischio di non soddisfacimento del credito che possa derivare dalla esistenza di carichi pendenti in capo al creditore cedente, magari anche a distanza di notevole tempo dall’intervenuta cessione del credito. Si tratta, tant’è vero, di un meccanismo “opzionale”, che opera, cioè, su richiesta del cessionario che sceglie, nel suo interesse, di subentrare al cedente nella fase delle verifiche ex art. 48 bis. In considerazione di questo interesse, la Ragioneria generale dello Stato ha dunque ritenuto legittimo escludere, al momento del pagamento, la verifica sul cedente e sostituirla con quella sul cessionario, purché al momento dell’accettazione si fosse già provveduto a rilevare l’assenza di inadempimenti a carico del cedente.

Al contrario, nella più complessa vicenda della cessione del credito IVA, il cessionario ha già provveduto da sé, nel corso dell’attività di due diligence che ordinariamente precede l’acquisto di un credito IVA, a verificare la sussistenza di inadempienze in capo al cedente e a quantificare dunque il rischio connesso alle eventuali eccezioni opponibili nei suoi confronti. Pertanto, egli non ha un particolare interesse ad anticipare al momento della notificazione della cessione le verifiche sul cedente da parte dell’Amministrazione finanziaria e, di conseguenza, ad escludere una successiva verifica sempre in capo al cedente al momento del pagamento, atteso che, anche nell’ipotesi in cui il pagamento fosse da ultimo sospeso o compensato a causa di carichi pendenti riconosciuti in capo al cedente, il cessionario risulta essere già tutelato da specifiche clausole ad hoc introdotte nel contratto di cessione del credito.

Peraltro, anche a prescindere dalle argomentazioni che precedono, vale da ultimo puntualizzare che risulta essere proprio l’art. 48 bis del d.P.R. 602/1973 più volte menzionato ad escludere a priori una qualsivoglia estensione analogica della sua operatività a crediti diversi da quelli commerciali [14].

d) Il rischio di sproporzionalità secondo i principi comunitari

Da ultimo, in considerazione delle già numerose misure di tutela di cui dispone l’Amministrazione finanziaria nella vicenda della cessione del credito IVA [15], l’esercizio del potere di verifica della posizione fiscale del cessionario e l’attivazione – in presenza di carichi pendenti non definitivamente accertati [16] – dei meccanismi di sospensione e compensazione ex art. 23, commi 1 e 2, del D.Lgs. 472/1997 o anche del fermo amministrativo ex art. 69 del R.D. 2440/1923 [17], determinerebbero altresì un’evidente sproporzionalità tra il fine perseguito – che è quello di preservare l’interesse erariale a tutelare nell’immediatezza eventuali ragioni di credito dell’Amministrazione pubblica, le quali potrebbero essere pregiudicate ove si disponesse tout court l’erogazione del rimborso – e le misure specificamente e concretamente adottate allo scopo di realizzare detto obiettivo.

Anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in numerose occasioni, ha dimostrato particolari attenzione e sensibilità nel contemperare i contrapposti interessi dell’Erario e del beneficiario avente diritto al rimborso di un credito IVA, quale sarebbe appunto il cessionario nel caso analizzato [18].

A tal riguardo, appare utile richiamare la sentenza Molenheide (18 dicembre 1997, cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95 e C-47/96) in merito alla compatibilità con la Direttiva IVA 77/388/CEE del 17 maggio 1977 (c.d. Sesta Direttiva, poi trasfusa nella Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006) di alcuni provvedimenti legislativi adottati in Belgio che mirano a consentire alle competenti autorità fiscali di trattenere, a titolo conservativo, importi IVA da restituire, qualora esistano indizi di frode fiscale o qualora tali autorità facciano valere un debito IVA che non risulta dalle dichiarazioni del soggetto passivo e che quest’ultimo contesta. In tale occasione, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha precisato che la valutazione deve essere effettuata alla luce del principio di proporzionalità e che, pertanto, <<gli Stati membri devono far ricorso a mezzi che pur consentendo di raggiungere efficacemente l’obiettivo perseguito dal diritto interno, portino il minor pregiudizio possibile agli obiettivi e ai principi stabiliti dalla normativa comunitaria controversa. Così, se è legittimo che i provvedimenti adottati dagli Stati membri tendano a preservare il più efficacemente possibile i diritti dell’erario, essi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine>> [19].

Conclusioni

Atteso il silenzio del Legislatore tributario sul tema della rilevanza dei carichi pendenti del cessionario in caso di cessione del credito IVA, al momento e in sede di erogazione del rimborso a favore di tale soggetto, non può incoraggiarsi in alcun modo il consolidamento di quel recente orientamento che appare estendere arbitrariamente, nei confronti di quest’ultimo, l’esercizio del potere di controllo dell’Amministrazione finanziaria.

Come già ampiamente illustrato, nella fattispecie “derivata” della cessione del credito IVA, l’Amministrazione finanziaria assiste, dal di fuori, alla vicenda traslativa che le viene solo notificata. Nell’ambito dell’inalterato rapporto tributario da cui origina il credito IVA ceduto, l’Amministrazione finanziaria potrà dunque verificare la presenza di carichi pendenti definitivamente accertati in capo al contribuente cedente e, in caso di riscontro positivo, potrà anche avvalersi degli strumenti sospensivi o impeditivi del rimborso IVA di cui all’art. 23, commi 1 e 2, del D.Lgs. 472/1997 e all’art. 69 del R.D. 2440/1923.

Gli stessi poteri, però, non potranno essere esercitati nei confronti del contribuente cessionario senza causare il pericoloso sbilanciamento tra la tutela degli interessi erariali e l’interesse al pagamento del rimborso del contribuente. Ne conseguirebbe, infatti, una altrettanto pericolosa battuta d’arresto degli investimenti nel settore del credito IVA, sia per quanto attiene le possibili e varie forme di erogazione dei finanziamenti legate alla vicenda della cessione del credito stesso, sia per quanto attiene i casi in cui tale istituito viene utilizzato dalle parti come garanzia collaterale ai finanziamenti stessi. Tale rilievo emerge ancor più prepotentemente ove si consideri che in analoghe ipotesi di “utilizzo” del credito IVA (es. pegno su credito) ci consta che l’Amministrazione finanziaria non operi una simile attività di indagine in capo al creditore pignoratizio quale condizione preventiva alla erogazione del rimborso a favore dell’avente diritto.

 


[1] Gli strumenti impeditivi/sospensivi del rimborso del credito IVA a favore del cessionario cui ricorre l’Amministrazione finanziaria sono disciplinati dall’art. 23, commi 1 e 2, del D. Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472 (di seguito, per brevità, anche il “D.Lgs. 472/1997”), nonché dall’art. 69 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 (di seguito, per brevità, anche il “R.D. 2440/1923”). In particolare:

  • ai sensi del richiamato art. 23: <<1. Nei casi in cui l’autore della violazione o i soggetti obbligati in solido, vantano un credito nei confronti dell’amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione, ancorché non definitivo.  La sospensione opera nei limiti della somma risultante dall’atto o dalla decisione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo. 2. In presenza di provvedimento definitivo, l’ufficio competente per il rimborso pronuncia la compensazione del debito>>;
  • ai sensi del citato art. 69: <<Qualora un’amministrazione dello Stato che abbia, a qualsiasi titolo ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo>>.

[2] Cfr. Perlingieri, Commentario del Codice Civile a cura di Scialoja e Branca, 1982, pag. 215.

[3] Cfr. Galgano, Diritto Privato, 1999, pag. 421.

[4] In altri termini, fino a quel momento, il debitore ceduto “si libera” adempiendo nei confronti del cedente; dopo quel momento, se paga nelle mani del cedente, paga male e può essere costretto dal cessionario a pagare una seconda volta: pertanto, <<il debitore ceduto è estraneo al rapporto tra cedente e cessionario e, ove abbia accettato la cessione del credito, o questa gli sia stata notificata, non ha titolo a pretendere la verifica delle condizioni alle quali la cessione sia, in ipotesi, subordinata nel rapporto contrattuale tra cedente e cessionario essendo per lui indifferente pagare all’uno o all’altro soggetto, e rilevando solo il suo interesse a non essere esposto ad un duplice pagamento>>. Cfr. sentenza della Corte di Cassazione Civile n. 12322 del 25 maggio 2007.

[5] Cfr. sentenza della Corte di Cassazione Civile n. 9295 del 15 dicembre 1987.

[6] Cfr. sentenza della Corte di Cassazione Civile n. 575 del 17 gennaio 2001.

[7] Con particolare riferimento alle modalità operative di tale cessione, si faccia riferimento alle circolari n. 19 dell’11 agosto 1993 e n. 192/E dell’8 luglio 1997, nonché alle risoluzioni n. 279/E del 12 agosto 2002 e n. 211/E del 3 settembre 1998.

[8] In particolare, l’Agente della riscossione e degli Uffici IVA sono tenuti a <<controllare la regolarità della procedura prescritta dalla citata legge n. 154/1988 e cioè che l’atto di cessione sia redatto nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata da un notaio e che, dall’atto risulti la previsione dell’obbligo di notifica della cessione medesima all’Ufficio tributario o al concessionario della riscossione>> (cfr. circolare n. 84/E del 12 marzo 1998).

[9] Cfr. C.I.C.T. Lazio n. 71 del 30 marzo 1989.

[10] Peraltro, come già ampiamente evidenziato, perfezionandosi senza il consenso del soggetto pubblico debitore, la cessione del credito IVA non può determinare una modifica peggiorativa della posizione originaria dell’Amministrazione finanziaria. Perciò quest’ultima deve essere legittimata ad opporre al cessionario tutte le eccezioni che poteva far valere nei confronti del contribuente cedente, inclusa quella dell’esistenza di carichi pendenti in capo al cedente. Infatti, in conformità con il principio generale che ispira la disciplina civilistica dell’eccezione della compensazione ex art. 1248 del Codice Civile, si è dell’avviso che, in assenza di un’espressa accettazione della cessione del credito IVA da parte dell’Amministrazione finanziaria (che sarebbe ovviamente subordinata ad una preliminare verifica dell’insussistenza di situazioni di inadempienza in capo al cedente), non si possa liberare il cessionario dalla possibilità di vedersi sollevare, in occasione del pagamento, eccezioni connesse alla posizione del cedente. D’altro canto, ove fosse ritenuto ammissibile per il cessionario ottenere un simile effetto di liberazione dalle eccezioni proprie della posizione fiscale del cedente del credito, sarebbe di fatto reso disponibile alle parti un agevole mezzo attraverso il quale aggirare l’ostacolo derivante da eventuali carichi, pendenti o già definitivamente accertati, facenti capo al cedente medesimo, ovvero la costituzione da parte del cessionario di una società veicolo e la partecipazione di questa quale contraente acquirente nel contratto di cessione del credito IVA.

[11] Ai sensi dell’art. 48 bis del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, <<(1) A decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 2, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo  1,  comma  2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e le  società  a  prevalente partecipazione pubblica,  prima  di  effettuare,  a  qualunque  titolo,  il pagamento di un importo superiore a diecimila euro,  verificano,  anche  in via telematica, se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica  di  una  o  più  cartelle  di  pagamento  per  un ammontare complessivo pari almeno a tale importo e,  in  caso  affermativo, non procedono al pagamento e  segnalano  la  circostanza  all’agente  della riscossione competente per territorio, ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo. La presente disposizione non si applica alle aziende o società per le quali sia stato disposto il sequestro o la confisca ai sensi dell’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, ovvero della legge 31 maggio 1965, n.  575, ovvero che Abbiano ottenuto la dilazione del pagamento ai sensi dell’articolo 19 del presente decreto. (2) Con regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabilite le modalità di attuazione delle disposizioni di cui al comma 1. (2-bis) Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, l’importo di cui al comma 1 può essere aumentato, in misura comunque non superiore al doppio, ovvero diminuito>>.

[12] Le indicazioni contenute nella richiamata circolare possono costituire tuttavia un utile strumento di analisi della tematica di cui ci si sta occupando, soprattutto alla luce della considerazione per cui, per quanto ci consta e come nel prosieguo si vedrà, alcuni uffici locali dell’Agenzia delle Entrate paiono motivare l’indagine circa la posizione del cessionario e l’esistenza di eventuali carichi pendenti in capo a quest’ultimo proprio con il rinvio delle disposizioni di cui all’art. 48 bis del d.P.R. 602/1973.

[13] Come detto, invocata da alcuni uffici locali dell’Agenzia delle Entrate al fine di legittimare il proprio operato.

[14] Infatti, come già anticipato, la norma in oggetto è rivolta esclusivamente a quei soggetti, sia persone fisiche che giuridiche, che abbiano, a qualunque titolo, posto in essere un negozio giuridico a titolo oneroso con la Pubblica Amministrazione, rivestendo, così, la qualità di creditore nei confronti di un organo pubblico, proprio in conseguenza della prestazione di servizio o della cessione di beni (o attività ad esse riconducibili, ai sensi dell’art. 2195 del codice civile), rese nei confronti della stesso. Occorre, dunque, ragionevolmente ritenere che il “pagamento” di cui all’art. 48 bis si riferisca elettivamente all’adempimento di un obbligo contrattuale. A tal riguardo, è invero la stessa Amministrazione finanziaria, nella più volte citata circolare n. 22 del 29 luglio 2008, a chiarire che <<tra gli esborsi esclusi dall’obbligo di verifica, si ritiene possano essere sicuramente annoverati i versamenti di tributi (…)>>. Ebbene, tornando alla fattispecie oggetto del presente approfondimento, laddove il credito – come più volte chiarito – non origina affatto da un rapporto contrattuale/sinallagmatico (di natura privatistica) bensì da un rapporto tributario (di natura pubblicistica), risulta evidente che il diritto al rimborso IVA, pur avendo la struttura e la disciplina proprie di un vero e proprio diritto di credito, sia da distinguere nettamente da quest’ultimo: esso non si collega né all’esistenza di un indebito pagamento effettuato a favore dell’Amministrazione finanziaria, né a rapporti contrattuali intercorrenti o preesistenti con la medesima, ma rappresenta soltanto l’eccedenza creditoria derivante dal particolare meccanismo di calcolo dell’imposta dovuta in relazione al complesso delle operazioni commerciali poste in essere dal soggetto passivo nei confronti di altri soggetti di imposta o del consumatore finale. Pertanto, la richiesta di rimborso IVA si pone – soltanto formalmente – come “debito” dello Stato verso il contribuente, derivando nella sostanza dal corretto esercizio del diritto alla detrazione.

[15] In sintesi, al solo scopo di richiamare istituti già menzionati nel presente scritto:

  1. il controllo della regolarità della procedura di cessione del credito IVA notificatale;
  2. il controllo delle dichiarazioni, le relative rettifiche e l’irrogazione delle sanzioni nei confronti del cedente il credito di cui all’art. 5, comma 4 ter, del D.L. 70/1988;
  3. le garanzie previste dall’art. 38-bis, comma 2, del d.P.R. 633/1972;
  4. in caso di successivo disconoscimento dell’esistenza del credito IVA rimborsato, la responsabilità solidale del cessionario, salvo che questi non presti la garanzia di cui al richiamato art. 38-bis.

[16] Nel senso della non applicazione dell’art. 23, commi 1 e 2 del D.Lgs. 472/1997 o dell’art. 69 del R.D. 2440/1923 in materia di cessione dei crediti IVA, tutte le volte in cui i carichi pendenti siano stati impugnati dal cessionario (quindi non ancora definitivamente accertati) e sia stata ottenuta la sospensione dell’esecutività dell’atto in via amministrativa o in sede giudiziale può richiamarsi il ragionamento esposto nella citata circolare n. 22 del 29 luglio 2008 della Ragioneria Generale dello Stato, che esclude l’applicazione dell’art. 48 bis <<per carenza del presupposto relativo all’inadempimento dell’obbligo di versamento scaturente da una cartella di pagamento>>. Risulta infatti evidente che nell’ipotesi in cui sia addirittura il giudice a ritenere che sussistano i requisiti di periculum in mora e fumus boni iuris per disporre la sospensione di una cartella di pagamento impugnata, nessuna verifica avente ad oggetto carichi pendenti potenziali (in quanto non ancora definitivamente accertati) può ritenersi legittima. Analoghe considerazioni ricorrono anche nella circolare n. 41/E del 3 agosto 2010, a commento dell’art. 38 del Codice degli Appalti che dispone l’esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi e relativi subappalti per i soggetti <<che hanno commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse>>. A tal riguardo, l’Amministrazione finanziaria conferma che <<l’irregolarità fiscale rilevante ai fini dell’esclusione dalle procedure di affidamento può dirsi integrata qualora in capo al contribuente sia stata definitivamente accertata una qualunque violazione relativa agli obblighi di pagamento di imposte e tasse amministrate dall’Agenzia delle Entrate. L’irregolarità fiscale deve, peraltro, considerarsi venuta meno (e, dunque, non rappresentare causa ostativa alla partecipazione) nel caso in cui, alla data di richiesta della certificazione, il contribuente abbia integralmente soddisfatto la pretesa dell’amministrazione finanziaria, anche mediante definizione agevolata. La definitività dell’accertamento consegue, come noto, all’inutile decorso del termine per l’impugnazione, ovvero, qualora sia stata proposta impugnazione, al passaggio in giudicato della pronuncia giurisdizionale (…) In ossequio alla norma di cui all’articolo 38 del Codice dei contratti pubblici, pertanto, gli uffici dell’Agenzia dovrebbero segnalare alle stazioni appaltanti richiedenti esclusivamente le violazioni definitivamente accertate in relazione al pagamento di tributi>>.

[17] A tal riguardo, vale precisare che la questione dell’applicabilità del fermo amministrativo in materia di rimborso IVA risulta ancora aperta e dunque carente di un orientamento univoco e condiviso dalla Suprema Corte e dall’Amministrazione finanziaria. Tra gli interventi di prassi e di giurisprudenza che si esprimono a favore dell’applicabilità del fermo amministrativo in materia di rimborsi IVA, ricordiamo: 1) la sentenza Cass. n. 4505 del 21/03/2012 in cui la Suprema Corte ha statuito che <<tale istituto trova piena applicazione anche in materia di IVA, per cui deve ritenersi legittimo il diniego di rimborso di IVA da parte dell’amministrazione finanziaria, in dipendenza dell’adozione di provvedimento di fermo amministrativo delle somme pretese in restituzione, in ragione della pendenza di controversie tra le parti su rettifiche relative ad altre annualità d’imposta (…) non osta a tale conclusione la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, che appresta un sistema di garanzie all’erario in tema di rimborsi IVA (…), essendosi già convincentemente rilevato che si tratta di garanzie aventi funzioni diverse, per cui l’una non preclude l’operatività dell’altra: quella prevista dal citato art. 38 bis, garantisce per l’ipotesi che il credito al rimborso sia insussistente, mentre quella prevista dal R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, garantisce la possibilità di operare la compensazione con i controcrediti dell’amministrazione>> (in tal senso anche le sentenze della Corte di Cassazione n. 4567 del 05/03/2004, n. 9853 del 05/05/2011); 2) la circolare n. 63 del 13/11/1984 in cui l’Amministrazione finanziaria ha precisato che << né la disposizione dell’ art. 38-bis né il silenzio di questo sul punto paiono, dunque, ostacoli all’applicazione del fermo amministrativo, da adottarsi peraltro ad esito di meditata valutazione del fumus delle ragioni creditorie. Giova, al riguardo, soggiungere che la garanzia di cui all’ art. 38-bis più volte citato assolve una funzione tipica non coincidente con quella, assicurativa di ragioni di credito dell’ Amministrazione, propria della misura cautelare in discorso, giacché la disposizione del decreto istitutivo dell’ IVA mira a rafforzare le possibilità di recupero delle somme che risultassero indebitamente rimborsate al contribuente (e dunque ha un’ area di operatività identificabile sulla base della dichiarazione "a credito" di imposta e del connesso provvedimento di rimborso emanato), là dove il "fermo" dell’ art. 69 della legge sulla contabilità generale dello Stato è preordinato ad assicurare ragioni di credito nascenti da rapporti obbligatori diversi da quello avente ad oggetto l’ operato rimborso>> (in tal senso, anche le circolari n. 21 del 18/05/2011; n. 4/E del 15 febbraio 2010; n. 41 del 17/09/2004 e le risoluzioni n. 445319 del 29/07/1991; n. 601584 del 24/10/1990; n. 651296 del 19/10/1989; n. 650700 del 5/09/1988). In contrapposizione a tale orientamento, si ricorda invece: 1) la sentenza Cass. n. 10199 del 25/06/2003 ai sensi della quale: <<in merito alla legittimità della sospensione dell’esecuzione del rimborso, in applicazione della disciplina del fermo amministrativo prevista dall’art. 69 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, deve rilevarsi come l’art. 38-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 preveda un sistema di prestazioni di garanzie, che assolve specificamente la funzione di tutelare l’interesse dell’Erario all’eventuale recupero di quanto dovesse risultare indebitamente percepito dal contribuente e che non giustifica l’applicazione alla fattispecie dell’istituto del fermo amministrativo. (…). L’esistenza di tale specifica disposizione induce a ritenere che il legislatore, da un lato, abbia implicitamente escluso che la disciplina del fermo amministrativo possa applicarsi all’ipotesi del rimborso di credito I.V.A., perché altrimenti la citata disposizione sarebbe sostanzialmente priva di utilità, e dall’altro che, anche per la previsione di un sistema di prestazione di garanzie, abbia inteso limitare la sospensione dell’esecuzione del rimborso alla sola ipotesi di contestazione di specifici reati nei confronti del contribuente creditore>> (in tale senso, anche la sentenza Cass. n. 7952 del 26/04/2004); 2) ancora più incisivamente sul punto, la sentenza Cass. n. 15424 del 01/07/2009 ai sensi della quale:  <<in tema di rimborsi iva, il D.P.R. n. 633 del 1972,art. 38 bis, – prevedendo, accanto alla sospensione dell’esecuzione dei rimborsi in presenza di contestazioni penali, un articolato sistema di garanzie teso a tutelare l’interesse dell’Erario all’eventuale recupero di quanto dovesse risultare indebitamente percepito dal contribuente – introduce una specifica garanzia a favore dell’Amministrazione e preclude, pertanto, l’applicazione a detti rimborsi dell’istituto del fermo amministrativo, previsto dal R.D. n. 2440 del 1923, art. 69>>.

[18] In particolare, si richiama la sentenza del 12 maggio 2011 (causa C-107/10) laddove la Corte di Giustizia dell’Unione Europea riconosce la possibilità di eseguire un rimborso IVA mediante il meccanismo della compensazione, purché quest’ultimo però non si traduca in un pregiudizio per il beneficiario del credito IVA: <<gli Stati membri dispongono di una certa libertà per quanto attiene alle modalità di rimborso dell’eccedenza dell’IVA, sempreché il rimborso venga effettuato entro termini ragionevoli mediante versamento in contanti o sotto forma equivalente e senza che il soggetto passivo debba incorrere in alcun rischio finanziario. Alla luce di tali principi, non vi è alcuna ragione che osti, in linea generale, a che il rimborso dell’eccedenza dell’IVA venga effettuato tramite compensazione, ove tale strumento conduce alla liquidazione immediata del credito del soggetto passivo senza che quest’ultimo risulti esposto a rischi finanziari>>.

[19] In particolare, la Corte di Giustizia ha in quella sede constatato l’esistenza di una violazione del principio di proporzionalità nel caso: a) di disposizioni legislative o regolamentari che, impedendo al giudice dell’esecuzione di pronunciare la revoca, totale o parziale, della trattenuta del saldo di IVA da restituire, mentre egli dispone di prove che gli consentono di concludere prima facie per l’inesattezza degli accertamenti che figurano nei verbali redatti dall’amministrazione, dovrebbero considerarsi nel senso che eccedono quanto necessario per garantire un’efficace riscossione, o ancora; b) di disposizioni legislative o regolamentari che, comportando l’impossibilità per il giudice adito nel merito di pronunciare la revoca, totale o parziale, della trattenuta del saldo di IVA da restituire prima che la pronuncia nel merito divenga definitiva, sarebbero sproporzionate.

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