Il trust
Nel nostro Paese si parla di trust da oltre un ventennio. Infatti, la Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, sulla legge applicabile ai trust e al loro riconoscimento, è entrata in vigore in Italia a seguito della ratifica del Parlamento avvenuta il 1 gennaio 1992.
Grazie alla ratifica della Convenzione, ha, dunque, trovato ingresso in Italia uno strumento, ampiamente utilizzato nel mondo anglosassone, attraverso il quale uno o più soggetti, detti disponenti (o settlor), trasferiscono a un terzo soggetto (il trustee) una serie di beni, che possono essere di qualsiasi tipo e natura (beni mobili, immobili, denaro, partecipazioni societarie, diritti, opere d’arte ecc.) perché questi li gestisca e li amministri, in coerenza con le previsioni dell’atto istituivo del trust, per riconsegnarli, alla fine della durata di questo, ad altri soggetti, detti beneficiari, ovvero consacri i beni ricevuti al conseguimento di uno scopo indicato dal disponente.
I beni così trasferiti vengono segregati e quindi diventano indifferenti rispetto alle vicende personali sia del trustee che del disponente e, fatta salva la possibilità di esperire azione revocatoria, non sono aggredibili né dai creditori del disponente – perché questi se ne è spogliato cedendo la titolarità degli stessi al trustee – né da quelli di quest’ultimo.
Il trustee infatti non gode dei beni che riceve, in quanto è proprietario degli stessi nell’esclusivo interesse dei beneficiari (o dello scopo da perseguire). I beneficiari sono gli unici soggetti che hanno il diritto di poter pretendere, anche in via giudiziale, dal trustee l’adempimento di tutte le obbligazioni che la legge o l’atto istitutivo di trust pongono a carico del trustee stesso. Al contrario il disponente esce di scena una volta effettuato il trasferimento dei beni anche se può riservarsi, come sovente accade, una serie di poteri di controllo, più o meno penetranti, sull’operato del trustee andando ad assumere il ruolo di guardiano (o protector).
Lo schema così delineato può arricchirsi e complicarsi dando vita a una gamma di situazioni più o meno articolate, in relazione alle specifiche esigenze che si vogliono disciplinare, e alla più o meno ampia discrezionalità che si voglia attribuire al trustee.
A dispetto delle sue potenzialità, questo strumento è stato finora usato prevalentemente, almeno in Italia, nella forma del c.d. trust liberale, per consentire cioè di gestire un passaggio generazionale delicato o per realizzare un’accorta programmazione successoria relativamente al trasferimento di determinati beni agli eredi quali, ad esempio, le partecipazioni societarie.
La soggettività tributaria dei trust
Da un punto di vista fiscale, la soggettività tributaria passiva dei trust è stata oggetto di regolamentazione da parte del Legislatore italiano solo con la Legge Finanziaria del 2007 (Legge 27 dicembre 2006, n. 296).
In precedenza, l’Amministrazione finanziaria aveva cercato di colmare tale vuoto legislativo fornendo una serie di interpretazioni che, pur permettendo di delineare i tratti caratterizzanti della relativa disciplina fiscale (ad esempio i criteri con cui individuare il soggetto passivo d’imposta tra i vari soggetti che tipicamente connotano un trust), lasciavano gli operatori in una situazione non del tutto chiara incompatibile con la necessità di certezza particolarmente avvertita in ambito tributario1.
L’intervento normativo del 2006 e le successive interpretazioni dell’Amministrazione finanziaria2, hanno sicuramente reso più organica e sistematica la disciplina fiscale del trust, senza però (considerando l’eterogeneità strutturale all’istituto) risolvere tutti i dubbi interpretativi3.
Come poc’anzi detto, con l’articolo 1, commi da 74 a 76, della Legge Finanziaria 2007 sono state introdotte nel corpo dell’articolo 73 del TUIR le norme in materia di trust in base alle quali i trust sono stati inseriti tra i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES)4.
Si tratta di quei trust (i) che sono residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali; (ii) che sono residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali; (iii) con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato.
Alla luce di ciò, sotto il profilo soggettivo, il trust si può qualificare come:
- ente commerciale residente (articolo 73, comma 1, lettera b, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 22 dicembre 1987 (“TUIR”);
- ente non commerciale residente (articolo 73, comma 1, lettera c, del TUIR);
- ente non residente avente o meno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (articolo 73, comma 1, lettera d, del TUIR).
Sempre lo stesso articolo 73, al comma 2, specifica che “Nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell'atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali”.
Ciò comporta l’individuazione nell’ambito delle varie tipologie di trust, tra:
- quei trust aventi beneficiari individuati (i cosiddetti trust trasparenti) in cui i redditi conseguiti dal trust sono sempre imputati ai beneficiari come redditi di capitale, anche se trattasi di trust non residenti, in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali5;
- quelli senza beneficiari individuati (cosiddetti trust opachi) in cui il reddito deve intendersi attribuito direttamente al trust. In questo caso la base imponibile verrà calcolata secondo le norme relative alla tipologia di ente a cui il trust appartiene (commerciale residente, non commerciale residente, non residente)6.
Il trust non commerciale
Ai fini che qui interessano, appare opportuno concentrare l’analisi su alcuni specifici aspetti dell’istituto in esame assumendo che si sia in presenza di trust residenti fiscalmente in Italia, che non esercitano attività commerciale, “fiscalmente riconosciuti” in ossequio a quanto indicato dall’Agenzia delle Entrate nei documenti di prassi che hanno affrontato il tema della tassazione ai fini delle imposte dirette dei trust7 del trattamento fiscale dei redditi prodotti dai beni in trust e della soggettività passiva del trust stesso.
In generale, per stabilire la commercialità di un ente si devono prendere come riferimento l’oggetto e lo scopo perseguiti dall’ente desumibili, nel caso di un trust, spesso da una pluralità di atti quali l’atto istitutivo, gli atti con cui il disponente trasferisce i beni a favore del trust precedentemente o contestualmente istituito (e anche la cosiddetta letter of wishes nel caso in cui sia presente)8.
Si può tranquillamente affermare che l’“essenza” dell’istituto è rappresentata dalla segregazione del patrimonio del disponente al fine di destinare il risultato delle attività ai beneficiari, secondo i modi e i termini dettati dal disponente stesso.
Tenute in debita considerazione le caratteristiche tipiche dell’attività svolta dai trust ed in particolare dei trust istituiti con lo scopo di gestire partecipazioni azionarie o quote societarie nell’ambito di un efficiente passaggio generazionale, si può affermare che un trust siffatto possa essere considerato un ente non commerciale.
Ne consegue che il reddito del trust, quale soggetto IRES non commerciale, sarà determinato in base ai criteri dettati dall’articolo 143 del TUIR9.
Nello specifico, quindi, il trust sarà soggetto ad imposizione sul reddito complessivo composto dalle varie categorie di redditi (fondiari, di capitale, diversi,…) con l’esclusione dei redditi esenti dall’imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte o a imposta sostitutiva.
Come accennato in precedenza, nel caso in cui il trust possa definirsi opaco e poiché lo stesso trust sarà soggetto passivo d’imposta, il reddito “patrimonializzato” in capo al trust fa sì che la successiva distribuzione di quel reddito ai beneficiari rappresenti una movimentazione finanziaria fiscalmente irrilevante ai fini delle imposte dirette.
Qualora, al contrario, il trust possa definirsi trasparente il reddito da questi prodotto sarà imputato “per trasparenza” ai beneficiari individuati di reddito.
La tassazione dei dividendi distribuiti ai dei beneficiari
Il secondo comma del più volte citato articolo 73 del TUIR prevede che, laddove i beneficiari di un trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust verranno imputati ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali.
Si ricorda che con l’espressione “trust trasparente” si qualifica, ai soli fini delle imposte dirette, un trust rientrante nella macro categoria dei trust con beneficiari. Come precisato più volte dall’Amministrazione finanziaria può definirsi trasparente il trust in cui il beneficiario “…risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza…”. In tal caso, il beneficiario potrà dirsi “beneficiario individuato di reddito”10.
Ritornando ad analizzare il trattamento tributario dei dividendi percepiti da un trust “holding”11 alla luce delle proposte di modifica introdotte con il Disegno di legge di stabilità del 2015 è opportuno, seppur brevemente, illustrare il regime fiscale applicabile alla tassazione dei dividendi percepiti da persone fisiche.
Come noto, la tassazione dei dividendi percepiti da persone fisiche fiscalmente residenti in Italia varia in relazione al tipo di partecipazione detenuta.
A tali fini bisogna, infatti, distinguere tra utili derivanti dalla detenzione di partecipazioni qualificate e utili derivanti dalla detenzione di partecipazioni non qualificate12.
Per le persone fisiche che detengono, non in regime di impresa, partecipazioni non qualificate, i dividendi sono assoggettati ad una ritenuta alla fonte del 26%, mentre in caso di detenzione di un partecipazione qualificata i dividendi concorrono a formare il reddito imponibile del percettore per il 49,72% del loro ammontare13.
Al fine di poter determinare l’effettivo carico fiscale gravante sui beneficiari relativamente ai dividendi distribuiti a fronte di partecipazioni societarie apportate ad un trust non commerciale, quanto sopra descritto deve essere necessariamente coordinato con le previsioni di cui al Decreto Legislativo del 12 dicembre 2003, n. 344, all’articolo 4, comma 1, lettera q).
Ai sensi di quest’ultima previsione normativa i dividendi distribuiti ad un ente non commerciale sono esclusi per il 95% dalla formazione del reddito imponibile dell’ente stesso.
Da quanto sopra esposto ne consegue che:
1. nell’ipotesi di trust opachi i dividendi percepiti dal trust non concorrono per il 95% alla formazione del reddito complessivo imponibile, configurandosi così una tassazione ai fini IRES del 27,5% sul 5% del dividendo distribuito;
2. per i trust trasparenti, essendo individuati i beneficiari, i redditi conseguiti dal trust saranno imputati ai beneficiari, in proporzione alla quota di partecipazione, concorreranno alla formazione della base imponibile del beneficiario soggetta a tassazione con l’applicazione dell’aliquota marginale propria.
Le modifiche del Disegno di legge di stabilità 2015
Il Disegno di legge di stabilità 2015, vuole introdurre sostanziali modifiche riguardanti i dividendi percepiti da enti non commerciali, diminuendo, come si vedrà, notevolmente la quota esclusa da tassazione.
L’articolo 44, (Contrasto all’evasione e altre misure), del Disegno di legge di stabilità 2015, prevede, infatti, che “all’articolo 4, comma 1, lettera q), del decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, le parole “95 per cento”, sono sostituite dalle seguenti: “22,26 per cento”…. La disposizione del periodo precedente si applica agli utili messi in distribuzione dal 1° gennaio 2014.”.
A partire dal 1 gennaio 2014, quindi, aumenterà l’imposizione fiscale gravante sui dividendi distribuiti agli enti non commerciali in quanto la percentuale di esclusione da tassazione è stata fissata al 22,26%, rispetto all’attuale 95%, portando di conseguenza la quota imponibile al 77,74%.
Secondo la nuova normativa, i dividendi percepiti dagli enti non commerciali subiranno, quindi, una tassazione pari al 21,38%14. Tale tassazione sarà quella applicabile anche ai trust opachi mentre per i trust trasparenti, ipotizzando per i beneficiari l’applicazione ai dividendi dell’aliquota marginale del 43%, si arriverebbe a una tassazione del 33,42%15.
Appare evidente come le modifiche in corso di introduzione con il Disegno di legge di stabilità 2015 possano risultare molto penalizzanti per quelle strutture che avevano previsto la detenzione di partecipazioni societarie attraverso un “trustholding” , soprattutto se si paragona il carico fiscale gravante su tali strutture con quello proprio tipico della detenzione diretta delle partecipazioni da parte di una persona fisica.
Tassazione dividendi precedente il Disegno di legge di stabilità 2015
PERSONE FISICHE | TRUST TRASPARENTI | TRUST OPACHI | |
PARTECIPAZIONE NON QUALIFICATA | 26% | 1,375% (in capo ai beneficiari) | 2,15% (in capo ai trust) |
PARTECIPAZIONE QUALIFICATA | 21,38% |
Tassazione dividendi alla luce del Disegno di legge di stabilità 2015
PERSONE FISICHE |
TRUST TRASPARENTI | TRUST OPACHI | |
PARTECIPAZIONE NON QUALIFICATA | 26% | 33,42% (in capo aibeneficiari) | 21,38% (in capo ai trust) |
PARTECIPAZIONE QUALIFICATA | 21,38% |
1
La stessa Amministrazione Finanziaria (Relazione Secit dell’11 maggio 1998 n. 37) esprimeva l’esigenza di un intervento legislativo constatando che “… la condizione peggiore è quella attuale, giacché l’incertezza del trattamento tributario, frena fortemente la costituzione di trust italiani e l’operatività in Italia di trust esteri, allontanando gli operatori che proficuamente potrebbero avvalersi della scissione della proprietà romanistica fra un gestore ed un beneficiario finale, e riducendo, spesse volte, l’interesse per l’istituto ad applicazioni con finalità meramente elusive. …”.
2
In particolare, relativamente alle imposte dirette, la Circolare del 6 agosto 2007 n. 48/E, la Risoluzione del 5 novembre 2008 n. 425/E e la Circolare del 27 dicembre 2010 n. 61/E.
3
Per quel che riguarda l’imposizione diretta, le maggiori perplessità si sono manifestate in relazione al meccanismo impositivo applicabile ai c.d. trust trasparenti, ovvero trust i cui beneficiari individuati esprimono rispetto al reddito realizzato dal trust un’effettiva capacità contributiva ed, in particolare, sulla qualifica del reddito imputato quale nuova fattispecie di “reddito di capitale”.
4
Sono soggetti all’imposta sul reddito delle società:
a) le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione, nonché le società europee di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 e le società cooperative europee di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 residenti nel territorio dello Stato;
b) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;
c) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, i trust che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale nonché gli organismi di investimento collettivo del risparmio, residenti nel territorio dello Stato;
d) le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato.
5
Articolo 44, comma 1, lettera g-sexies, del TUIR e Circolare Agenzia delle Entrate del 6 agosto 2007 n. 48/E.
6
Per completezza è necessario evidenziare che con la Risoluzione n. 81/E del 7 marzo 2008, l’Agenzia delle Entrate ha individuato anche una terza “figura” di trust, i cosiddetti “trust misti”, cioè quei trust in cui nell’atto istitutivo siano comprese sia le caratteristiche del trust opaco che di quello trasparente: “ciò avviene, ad esempio, quando l'atto istitutivo prevede che parte del reddito del trust sia accantonato a capitale (rectius sia destinato ad incremento del relativo fondo di dotazione) e parte sia, invece, attribuito ai beneficiari. In quest'ultima ipotesi, il reddito accantonato sarà tassato direttamente in capo al trust, mentre il reddito attribuito ai beneficiari concorrerà alla formazione dell'imponibile di questi ultimi”.
7
Circolare Agenzia delle Entrate n. 48/E del 6 agosto 2007; Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 278/E del 4 ottobre 2007; Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 4/E del 4 gennaio 2008; Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 81/E del 7 marzo 2008; Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 400/E del 23 ottobre 2008; Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 425/E del 5 novembre 2008; Circolare Agenzia delle Entrate n. 61/E del 27 dicembre 2010
8
Art. 55. D.P.R. del 22 dicembre 1986 n. 917, “Per esercizio di imprese commerciali si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell'art. 2195 c.c., e delle attività indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell'art. 32 che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d'impresa.”
Art. 2195, Codice Civile, “Gli imprenditori che esercitano un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi, un'attività intermediaria nella circolazione dei beni, un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria, un'attività bancaria o assicurativa,altre attività ausiliarie delle precedenti.”
9
“Reddito complessivo degli enti non commerciali residenti” che prevede che: “Il reddito complessivo degli enti non commerciali di cui alla lettera c) del comma 1 dell'articolo 73 è formato dai redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi, ovunque prodotti e quale ne sia la destinazione, ad esclusione di quelli esenti dall'imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva”.
10
Risoluzione del 5 novembre 2008 n. 425/E; Circolare del 6 agosto 2007 n. 48/E; Circolare del 27 dicembre 2010 n. 61; Circolare del 1 agosto 2011 n. 38/E.
11
Giova qui ricordare l’esenzione dal pagamento delle imposte sulle donazioni per l’apporto in trust di una partecipazione societaria di controllo di cui articolo 3, comma 4 ter, del Decreto Legislativo n. 346 del 1990. Ai sensi della predetta norma qualora (i) il trust abbia una durata non inferiore a 5 anni; (ii) i beneficiari del trust siano discendenti o coniuge del disponente; (iii) il trust non sia discrezionale o revocabile; e (iv) il trustee mantenga il controllo per almeno 5 anni.
12
Ci si riferisce esclusivamente a partecipazioni in società residenti fiscalmente nel territorio dello Stato.
13
Le partecipazioni qualificate sono quelle che rappresentano una percentuale superiore al 2 o al 20 per cento dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria, ovvero al 5 o al 25 per cento del capitale o del patrimonio a seconda che si tratti rispettivamente, di titoli quotati in mercati regolamentati italiani o esteri ovvero di altre partecipazioni; per partecipazioni non qualificate si intendono le partecipazioni con una percentuale inferiore a quelle precedentemente elencate.