Sommario: 1. Introduzione, 2. Il dato normativo, 3. Il luogo di esecuzione della prestazione dedotta in giudizio nella compravendita di beni, 4. Gli Incoterms: elementi accessori o autonomi tra giurisprudenza domestica e della Corte di Giustizia Europea, 5. L’opponibilità della clausola di proroga della giurisdizione inserita in condizioni generali di contratto, 6. Recupero crediti extra UE: i criteri del Reg. UE 1215/2012 sono parte del diritto internazionale privato italiano
1. Introduzione
Si registrano, in questi ultimi anni, numerosi e rilevanti interventi della Corte di Cassazione su temi inerenti alle transazioni commerciali internazionali, con riguardo alla competenza giurisdizionale nelle controversie discendenti da esse. Nello specifico, gli interventi hanno trattato prevalentemente il tema della determinazione della giurisdizione competente a conoscere delle controversie nascenti da contratti di compravendita internazionale di beni.
Il profilo è evidentemente di primaria importanza per l’esportatore italiano che si trovi a gestire, prima a livello negoziale, ed eventualmente, nella fase patologica del contratto, a fronteggiare il rischio di insolvenza del cliente estero.
Il quadro normativo di riferimento si fa via via più nitido, a beneficio di una sempre maggiore certezza e sicurezza nei rapporti giuridici in ambito transnazionale, ad evidente vantaggio per le esportazioni, verso le quali notoriamente propende il ceto imprenditoriale italiano anche di piccole dimensioni.
2. Il dato normativo
In ambito UE, la normativa di riferimento è rappresentata dal Regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (di seguito, il “Reg. UE 1215/2012”).
Il foro generale è previsto dall’art. 4, Reg. UE 1215/2012, il quale attribuisce la competenza giurisdizionale al giudice dello Stato membro in cui si trova il domicilio del convenuto, fatte salve le ipotesi derogatorie espressamente previste con specifico riferimento alla materia contrattuale di cui si dirà appresso[1].
A quest’ultimo riguardo, la disposizione derogatoria che viene in considerazione ai nostri fini è quella prevista all’art. 7, n. 1) (rubricato “Competenze speciali”) che introduce criteri speciali per incardinare la giurisdizione in maniera alternativa rispetto al criterio generale del foro del convenuto quando la controversia verta in materia contrattuale. La norma citata prevede infatti che un soggetto domiciliato in uno Stato membro possa essere convenuto in un altro Stato membro, in materia contrattuale, dinanzi all’autorità giurisdizionale del luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio. Vi è poi una presunzione che opera con riferimento al luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio relativamente a controversie riguardanti la compravendita di beni e la prestazione di servizi, per i quali si presume che il luogo di esecuzione sia, rispettivamente, il luogo in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto e il luogo in cui servizi sono stati o avrebbero dovuto essere prestati in base al contratto[2].
Varrà la pena ricordare, inoltre, che l’art. 25, Reg. UE 1215/2012, consente alle parti di determinare autonomamente a quale autorità giurisdizionale di uno Stato membro debba essere devoluta la risoluzione delle eventuali controversie derivanti da un determinato rapporto giuridico. La validità di una clausola di proroga della giurisdizione è subordinata all’accordo tra le parti concluso o, comunque, provato per iscritto. Pertanto, in fase di accertamento, il giudice dovrà verificare se tale clausola sia stata effettivamente oggetto di consenso tra le parti e che tale consenso sia stato espresso in maniera univoca. È chiaro, dunque, che il requisito di forma richiesto risponde al fine di garantire che il consenso delle parti sia effettivamente provato[3].
Nell’ambito nazionale poi si dovrà fare riferimento alle norme di diritto internazionale privato poste dalla L. 31 maggio 1995, n 218 (la “l.n. 218/1995”) e, in particolare, dall’art. 3, 2° comma, l.n. 218/1995, il quale prevede che “La giurisdizione sussiste inoltre in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e protocollo, firmati a Bruxelles il 27 settembre 1968…, e successive modificazioni in vigore per l’Italia, anche allorché il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di una delle materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione. Rispetto alle altre materie la giurisdizione sussiste anche in base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio”.
3. Il luogo di esecuzione della prestazione dedotta in giudizio nella compravendita di beni
La compravendita di beni, nel significato rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 7, n. 1), lett. b), primo trattino, Reg. UE 1215/2012, va intesa in senso ampio, ponendosi a tal fine l’accento sull’obbligazione di consegna, conformemente all’orientamento consolidato della Corte di Giustizia Europea[4].
Rientrano dunque nella nozione figure contrattuali miste, diffusamente utilizzate nel commercio internazionale, quali la compravendita di beni da fabbricare o la fornitura di beni complessi da installare ovvero da fornire “chiavi in mano”[5].
Un punto nodale è rappresentato dalla definizione di “luogo di consegna dei beni” in base al contratto. A tal riguardo, l’orientamento interpretativo più recente è fornito dall’ordinanza n. 15891 emessa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite lo scorso 17 maggio 2022, la quale si pone in continuità con l’orientamento già formatosi presso la Suprema Corte, orientamento che individua tale luogo nel Paese di destinazione finale delle merci, qualora il luogo di consegna non sia contrattualmente indicato, anziché nel luogo di assolvimento dell’obbligazione di consegna in base alla legge applicabile al contratto.
La Suprema Corte osserva che il criterio del luogo di consegna materiale dei beni è il criterio interpretativo da preferire perché presenta un alto grado di prevedibilità e risponde ad un obiettivo di prossimità, in quanto garantisce l’esistenza di una stretta correlazione tra il contratto e il giudice chiamato a conoscerne; senza trascurare il fatto per cui l’obiettivo fondamentale di un contratto di fornitura di beni è il trasferimento degli stessi dal venditore all’acquirente, operazione che si conclude soltanto quando detti beni giungono alla loro destinazione finale[6].
Deve, dunque, ritenersi definitivamente superato l’orientamento che identificava il luogo di consegna dei beni con quello in cui i beni entravano meramente nella disponibilità giuridica dell’acquirente. In tal senso, la citata ordinanza ha osservato che non si può fare applicazione, “come criterio generale ai fini della determinazione della giurisdizione, del criterio di diritto sostanziale che determina il trasferimento del rischio e/o la liberazione del venditore con la consegna…, in quanto lo stesso non garantisce in pari modo le esigenze di semplificazione, uniformità e prevedibilità delle decisioni”.
La Suprema Corte ha, inoltre, correttamente rilevato che, nonostante l’oggetto della pretesa vantata nel giudizio fosse costituito dal pagamento di una somma di denaro, questa era dovuta a titolo di prezzo contro una fornitura e, dunque, “in tema di vendite internazionale a distanza di beni mobili, la controversia avente ad oggetto il pagamento della merce va devoluta, ai sensi dell’art. 7, lett. b), primo trattino, del Reg. UE n. 1215 del 2012 (applicabile «ratione temporis»), alla giurisdizione dell’A.G. del luogo in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto”. Da ciò discende che tutte le controversie derivanti da un contratto di compravendita internazionale, e dunque anche quelle volte a recuperarne il prezzo, sono assorbite dalla giurisdizione determinata con riferimento al criterio della consegna materiale dei beni, in virtù della sua natura di obbligazione caratteristica del contratto.
Invero, anche sul fronte della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, una prima pronuncia tendeva a colmare la lacuna lasciata dalle parti in ordine alla determinazione del luogo di consegna ipotizzando la ricorrenza di due luoghi: da una parte quello visto sopra della consegna finale e materiale dei beni all’acquirente e, dall’altra, quello in cui i beni venivano affidati al primo vettore ai fini della consegna all’acquirente. Ad ogni modo, già tale pronuncia conteneva una netta presa di posizione relativamente al luogo in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere materialmente consegnati all’acquirente, stabilendo che tale criterio “risponde meglio alla genesi, agli obiettivi e al sistema del regolamento, in quanto «luogo di consegna» ai sensi dell’art. 5, punto 1, lett. b), primo trattino, del medesimo regolamento. Tale criterio presenta un alto grado di prevedibilità. Esso risponde parimenti a un obiettivo di prossimità, in quanto garantisce l’esistenza di una stretta correlazione tra il contratto e il giudice chiamato a conoscerne. In particolare occorre osservare che, in linea di principio, i beni che costituiscono l’oggetto del contratto devono trovarsi in tale luogo dopo l’esecuzione di tale contratto. Inoltre, l’obiettivo fondamentale di un contratto di compravendita di beni è il trasferimento degli stessi dal venditore all’acquirente, operazione che si conclude soltanto quando detti beni giungono alla loro destinazione finale”[7].
È dunque dato oramai definitivamente acquisito che, in mancanza di clausole diverse, la competenza a decidere anche in tema di recupero crediti sarà quella dell’Autorità giudiziaria del Paese dell’importatore straniero e con tale dato occorrerà che l’imprenditore italiano si misuri.
4. Gli Incoterms: elementi accessori o autonomi tra giurisprudenza domestica e della Corte di Giustizia Europea
Un altro profilo rilevante è rappresentato dal ruolo eventualmente ricoperto, ai fini della determinazione del luogo di consegna, dalle clausole di ripartizione delle spese e dei rischi di trasporto tradizionalmente utilizzate nella prassi del commercio internazionale nell’ambito della compravendita quali gli Incoterms[8].
Secondo la giurisprudenza italiana prevalente, non è determinante, ai fini della individuazione del giudice avente giurisdizione, l’inserimento nel contratto di una siffatta clausola, se essa non è accompagnata da una specifica pattuizione volta ad attribuire con chiarezza al luogo del passaggio del rischio valenza anche di luogo di consegna della merce. In sintesi, secondo l’insegnamento della Suprema Corte, l’inserimento di un Incoterm non implica di per sé lo spostamento convenzionale del luogo di consegna, potendo esso eventualmente costituire un elemento interpretativo della volontà delle parti, ma solo laddove dalla clausola nel suo complesso risulti con chiarezza la determinazione contrattuale di derogare al criterio del luogo di consegna materiale del bene[9].
Al contrario, secondo un’importante pronuncia del 2010, la Corte di Giustizia Europea conferirebbe agli Incoterms una capacità di influire in maniera molto più determinante sull’individuazione del luogo di consegna non altrimenti individuabile, rispetto alla giurisprudenza di legittimità italiana. In particolare, la predetta pronuncia osservava che “al fine di verificare se il luogo di consegna sia determinato «in base al contratto», il giudice nazionale adito deve tenere conto di tutti i termini e di tutte le clausole rilevanti di tale contratto che siano idonei a identificare con chiarezza tale luogo, ivi compresi i termini e le clausole generalmente riconosciuti e sanciti dagli usi del commercio internazionale, quali gli Incoterms elaborati dalla Camera di commercio internazionale… Se non è possibile determinare il luogo di consegna su tale base, senza far riferimento al diritto sostanziale applicabile al contratto, tale luogo è quello della consegna materiale dei beni mediante la quale l’acquirente ha conseguito o avrebbe dovuto conseguire il potere di disporre effettivamente tali beni alla destinazione finale dell’operazione di vendita”[10].
Non resta qui che dare conto del persistente divario tra l’orientamento nazionale e quello eurounitario, confermato dall’assenza, almeno per quanto consta, di pronunce di legittimità più recenti.
Non ci si può tuttavia esimere dall’evidenziare come l’orientamento nazionale abbracci un’interpretazione eccessivamente restrittiva del ruolo dei termini di resa nella prassi del commercio internazionale, quali fonti integrative della volontà contrattuale.
5. L’opponibilità della clausola di proroga della giurisdizione inserita in condizioni generali di contratto
Come si è avuto modo di dire sopra, l’art. 25, Reg. UE 1215/2012 consente a che le parti deroghino ai criteri di determinazione della giurisdizione, siano essi generali o speciali, a condizione che l’accordo derogativo risulti o sia provato per iscritto.
Naturalmente, quando una simile disposizione derogatoria sia prevista in un contratto che regola interamente i reciproci obblighi dei contraenti non si pongono particolari problemi interpretativi, entrando semmai in gioco le considerazioni sulla validità sostanziale della clausola. Un discorso differente, invece, deve farsi con riferimento alle clausole di proroga della giurisdizione contenute in condizioni generali di contratto che normalmente accedono ad un contratto solamente per relationem. A tal ultimo riguardo, visti gli stringenti requisiti di forma posti dall’art. 25, Reg. UE 1215/2012, ci si deve chiedere se simili clausole inserite in condizioni generali di contratto siano efficaci tra le parti.
Il quesito di cui sopra è stato oggetto di una recentissima pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite, che ha confermato, in conformità alla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, che il requisito della forma scritta del patto di proroga della giurisdizione in favore dell’autorità giudiziaria di uno Stato membro, a norma dell’art. 25, par. 1, Reg. UE n. 1215/2012, è rispettato anche nel caso in cui tale clausola sia contenuta nelle condizioni generali di contratto allegate ed espressamente richiamate negli ordini di acquisto.
Nel caso di specie, una società italiana conveniva in giudizio presso l’autorità giudiziaria italiana una società tedesca per sentirla condannata al pagamento del corrispettivo di una fornitura. La società tedesca si opponeva e ricorreva per regolamento preventivo di giurisdizione argomentando che, nel contratto di compravendita, le parti avevano pattuito l’attribuzione della giurisdizione esclusiva in favore del tribunale tedesco del distretto che doveva altresì considerarsi il luogo di consegna della fornitura. In particolare, la clausola di proroga della giurisdizione era contenuta nelle condizioni generali di contratto allegate ed espressamente richiamate negli ordini di acquisto che venivano accettati senza riserve dal fornitore.
Alla luce di ciò, la Suprema Corte non ha potuto fare altro che dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice italiano.
La citata pronuncia ha, infatti, ricordato che “La Corte di Giustizia, in relazione ai requisiti formali dell’accordo di proroga della giurisdizione, ha precisato che il richiamo a una clausola di proroga inserita nelle condizioni generali deve essere «espresso e inequivoco» (Corte Gius. 19/6/1984, causa C-71/83) e quindi solo se, nel testo contrattuale firmato dalle parti, siano espressamente richiamate le condizioni generali contenenti la scelta del giudice e se tali condizioni siano state effettivamente comunicate all’altro contraente ovvero siano disponibili mediante accesso ad un sito Internet, essendosi in presenza di «una comunicazione elettronica che permette di registrare durevolmente tale clausola, ai sensi di tale disposizione, allorché consente di stampare e di salvare il testo di dette condizioni prima della conclusione del contratto»”[11].
La Suprema Corte, richiamando tre principi omologhi espressi in altrettanti precedenti di legittimità, ha inoltre osservato che: “a) la clausola di proroga convenzionale della giurisdizione… non necessita della specifica approvazione richiesta dall’art. 1341 c.c., ma esige serie garanzie di consapevole adesione da parte del contraente che non l’ha predisposta[12]; “b) il requisito della forma scritta, imposto dall’art. 23 del Regolamento CE n. 44/2001 del 22 dicembre 2000 [applicabile ratione temporis] per la clausola di proroga della giurisdizione in favore di uno degli Stati aderenti, è rispettato, ove la clausola stessa figuri tra le condizioni generali di contratto, se il documento contrattuale sottoscritto da entrambe le parti contenga un richiamo espresso alle condizioni generali suddette recanti quella clausola, senza la necessità di una specifica approvazione per iscritto”[13] e che “c) il requisito della forma scritta richiesto, per il patto di proroga della giurisdizione in favore dell’autorità giudiziaria di un Paese estero, è rispettato anche nel caso in cui tale clausola sia contenuta nelle condizioni generali di contratto, disponibili mediante accesso all’indirizzo «web» indicato dal contraente che le ha predisposte, perché, a norma del par. 1 dell’art. 23 del regolamento CEE n. 44 del 2001 [applicabile ratione temporis], come interpretato dalla CGUE con sentenza del 21 maggio 2015 in causa n. 322/14, la forma scritta comprende qualsiasi comunicazione con mezzi elettronici che permetta una registrazione durevole dell’accordo”[14].
La pronuncia in commento assume dunque primaria importanza in considerazione del fatto che la fornitura di beni regolarmente prodotti o commercializzati dall’imprenditore è comunemente regolata attraverso il ricorso a condizioni generali di vendita e che esse scontano, almeno sul fronte interno, il rigoroso requisito formale della specifica approvazione sancito dal richiamato art. 1341 c.c..
6. Recupero crediti extra UE: i criteri del Reg. UE 1215/2012 sono parte del diritto internazionale privato italiano
Varrà la pena, infine, dar conto di un’altra recente pronuncia di legittimità sul tema della determinazione della giurisdizione con riferimento questa volta ai rapporti intercorrenti con soggetti domiciliati in Paesi extra UE.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con l’ordinanza n. 18299 del 25 giugno 2021, ha chiarito i contorni dell’interpretazione da darsi al richiamo effettuato dall’art. 3, 2° comma, l.n. 218/1995 alla Convenzione di Bruxelles. Alla luce di ciò, deve ora ritenersi che i criteri di determinazione della giurisdizione previsti dalla Convenzione di Bruxelles (e successive modificazioni) siano stati direttamente implementati nella legislazione nazionale proprio in forza del rinvio che di essi fa la legge di riforma del diritto internazionale privato italiano e non, al contrario, in forza dell’applicabilità diretta della Convenzione, quale fonte etero-imposta[15]. I criteri della Convenzione e della successiva disciplina regolamentare (da ultimo il citato Reg. UE 1215/2012) assurgono al ruolo di criteri generali ai fini della determinazione della competenza della giurisdizione italiana nelle controversie di natura commerciale tra imprenditori locali e controparti domiciliate in Paesi stranieri, anche, dunque, extra UE.
La Corte di Cassazione, inoltre, con la medesima ordinanza, ha confermato il superamento di quell’orientamento di legittimità che, mediante la mera interpretazione letterale dell’art. 3, 2° comma, l.n. 218/1995, riteneva che la Convenzione di Bruxelles non fosse stata definitivamente sostituita dai regolamenti europei sopravvenuti (Reg. CE 44/2001 e Reg. UE 1215/2012) in tema di determinazione della giurisdizione, dovendone ancora fare applicazione relativamente ai rapporti con soggetti non domiciliati in uno degli Stati membri (ovvero di quegli Stati che, pur facendo parte dell’Unione Europea, non avevano adottato i suoi più recenti regolamenti, almeno al tempo dell’insorgere della controversia)[16].
Vigente la Convenzione di Bruxelles, il criterio che determinava la competenza giurisdizionale in materia contrattuale faceva ricorso ad un complesso meccanismo bifasico, il quale prioritariamente imponeva l’individuazione analitica dell’obbligazione specificamente dedotta a fondamento della domanda giudiziale (o di quella principale, nel caso di pluralità di obbligazioni)[17] e, una volta rintracciata, l’identificazione del locus destinatae solutionis alla stregua del diritto sostanziale applicabile al contratto sulla base del diritto internazionale privato dello Stato del giudice adito[18].
La portata innovatrice dell’ordinanza in commento si apprezza considerando che, d’ora in poi, dinanzi ad una controparte domiciliata in un Paese extra UE, l’imprenditore italiano potrà fare ragionevole affidamento sui più decifrabili criteri stabiliti dal Reg. 1215/2012, in forza dell’affermato rinvio che di essi fa l’art. 3, 2° comma, l.n. 218/1995.[19]
Si stabilisce infatti che: “Come peraltro già ai sensi dell’art. 4 della Convenzione di Bruxelles, l’art. 6 del Regolamento (UE) n. 1215/2012, stabilisce che, se il convenuto non è domiciliato in uno Stato membro, la competenza delle autorità giurisdizionali di ciascuno Stato membro è disciplinata dalla legge di tale Stato… La legge dello Stato italiano alla quale rinvia l’art. 6 del Regolamento n. 1215/2012 è costituita, appunto, della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 3, il quale, al comma 2, per le materie già comprese nel campo di applicazione della Convenzione di Bruxelles «anche allorché il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente», disciplina la giurisdizione secondo i criteri stabiliti dalla medesima Convenzione e dalle sue successive modificazioni in vigore per l’Italia. Se la controversia attiene a materie comprese nella Convenzione di Bruxelles (e successive modificazioni contenute nei regolamenti n. 44/2001 e n. 1215/2012), la citazione in giudizio in Italia di un convenuto domiciliato in uno Stato non Europeo è giustificata, dunque, non in forza di applicabilità diretta della Convenzione, ma in virtù del rinvio che la legge italiana fa ad essa”.
L’ordinanza in commento, ha dunque il pregio ulteriore di porsi specificamente in continuità con un’altra recente pronuncia della Corte di Giustizia Europea, la quale chiarificava il rapporto intercorrente tra la Convenzione di Bruxelles e i regolamenti successivi, statuendo che “il regolamento n. 1215/2012 abroga e sostituisce il regolamento n. 44/2001 che ha, a sua volta, sostituito la Convenzione del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale”, contribuendo a rafforzare quel concetto di intima interconnessione tra l’ art. 3, 2° comma, l. n. 218/1995 e il Regolamento UE 1215/2012[20].
La rilevanza del progressivo avvicendamento delle normative nel tempo è testimoniata da due pronunce della Corte di Cassazione che, a posteriori, sono risultate anticipatorie dell’esito fatto proprio dall’ordinanza in commento. Con l’ordinanza n. 4211 del 20 febbraio 2013, infatti, gli ermellini ritennero che per determinare l’autorità giurisdizionale competente ai sensi dell’art. 3, 2° comma, L. n. 218/1995, occorresse far riferimento alle disposizioni del Reg. CE 44/2001[21].
Coerentemente all’intervento del Reg. UE 1215/2012, con l’ordinanza n. 32362 del 12 dicembre 2018, la medesima Corte di Cassazione affermava che “al fine di individuare la giurisdizione, in una controversia…avente ad oggetto una compravendita internazionale di beni mobili tra una società venditrice italiana e una società acquirente venezuelana, occorre far applicazione della L. n. 219 del 1995, art. 3, comma 2, ai sensi del quale si deve far riferimento ai criteri stabiliti dalla Convenzione di Bruxelles del 22 settembre 1968, e successive modificazioni in vigore per l’Italia… la norma oggi applicabile è quindi l’art. 7, lett. b, primo trattino, del Regolamento UE 12 dicembre 2012 n. 1215, sostitutivo dell’art. 5, n. 1, lett. b del Regolamento CE 22 dicembre 2000 n. 44, quali disposizioni sostitutive della Convenzione di Bruxelles del 1968”[22].
[1] Art. 4, Reg. UE 1215/2012: “A norma del presente regolamento, le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro cittadinanza, davanti alle autorità giurisdizionali di tale Stato membro.
Alle persone che non possiedono la cittadinanza dello Stato membro nel quale esse sono domiciliate si applicano le norme sulla competenza vigenti per i cittadini di tale Stato membro”.
[2] Art. 7, n. 1), Reg. UE 1215/2012: “Una persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro:
1) a) in materia contrattuale, davanti all’autorità giurisdizionale del luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio;
- b) ai fini dell’applicazione della presente disposizione e salvo diversa convenzione, il luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio è:
– nel caso della compravendita di beni, il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto,
– nel caso della prestazione di servizi, il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i servizi sono stati o avrebbero dovuto essere prestati in base al contratto;
- c) la lettera a) si applica nei casi in cui non è applicabile la lettera b)”.
[3] Art. 25, Reg. UE 1215/2012: “1. Qualora le parti, indipendentemente dal loro domicilio, abbiano convenuto la competenza di un’autorità o di autorità giurisdizionali di uno Stato membro a conoscere delle controversie, presenti o future, nate da un determinato rapporto giuridico, la competenza spetta a questa autorità giurisdizionale o alle autorità giurisdizionali di questo Stato membro, salvo che l’accordo sia nullo dal punto di vista della validità sostanziale secondo la legge di tale Stato membro. Detta competenza è esclusiva salvo diverso accordo tra le parti. L’accordo attributivo di competenza deve essere:
- a) concluso per iscritto o provato per iscritto;
- b) in una forma ammessa dalle pratiche che le parti hanno
stabilito tra di loro; o
- c) nel commercio internazionale, in una forma ammessa da un uso che le parti conoscevano o avrebbero dovuto conoscere e che, in tale ambito, è ampiamente conosciuto e regolarmente rispettato dalle parti di contratti dello stesso tipo nel settore commerciale considerato.
- La forma scritta comprende qualsiasi comunicazione con mezzi elettronici che permetta una registrazione durevole dell’accordo attributivo di competenza”.
[4] CGUE, 25 febbraio 2010, C-381/08, Car Trim GmbH v. KeySafety Systems S.r.l.: “In proposito occorre ricordare che l’art. 5, punto 1, del regolamento [n.d.r. all’epoca dei fatti di causa era in vigore il Regolamento CE n. 44/2001] prende in considerazione, per i contratti di compravendita di beni e per quelli di prestazione di servizi, l’obbligazione caratteristica di tali contratti quale criterio di collegamento al giudice competente. Alla luce di tale considerazione, risulta quindi determinante l’obbligazione caratteristica dei contratti in questione. Un contratto la cui obbligazione caratteristica sia la consegna di un bene sarà qualificato come «compravendita di beni» ai sensi dell’art. 5, punto 1, lett. b), primo trattino, del regolamento. Un contratto la cui obbligazione caratteristica sia una prestazione di servizi sarà qualificato come «prestazione di servizi» ai sensi di detto art. 5, punto 1, lett. b), secondo tratttino” (in senso conforme: CGUE, 23 aprile 2009, C-533/07, Falco Privatstiftung e Rabitsch v. Weller-Lindhorst).
[5] Con riferimento alla fattispecie della compravendita di beni da fabbricare si richiama ancora CGUE, 25 febbraio 2010, C-381/08, Car Trim GmbH v. KeySafety Systems S.r.l., nella parte in cui stabilisce che “i contratti che hanno per oggetto la fornitura di beni da fabbricare o da produrre, benché́ l’acquirente abbia posto taluni requisiti relativi all’approvvigionamento, alla trasformazione e alla consegna delle merci, senza che egli abbia provveduto a fornire i materiali, e benché́ il fornitore sia responsabile della qualità̀ e della conformità̀ al contratto della merce, devono essere qualificati come «compravendita di beni» ai sensi dell’art. 5, punto 1, lett. b), primo trattino, del regolamento”.
[6] Cass., ss.uu., ord., 17 maggio 2022, n. 15891 (in senso conforme: Cass., ss.uu., ord., 25 giugno 2021, n. 18299; Cass., ss.uu., 31 maggio 2016, n. 11381; CGUE, 25 febbraio 2010, C-381/08, Car Trim GmbH v. KeySafety Systems S.r.l.).
[7] CGUE, 25 febbraio 2010, C-381/08, Car Trim v. KeySafety Systems, che prosegue: “Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, si deve risolvere la seconda questione dichiarando che l’art. 5, punto 1, lett. b), primo trattino, del regolamento deve essere interpretato nel senso che, in caso di vendita a distanza, il luogo in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto deve essere determinato sulla base delle disposizioni di tale contratto. Se non è possibile determinare il luogo di consegna su tale base, senza far riferimento al diritto sostanziale applicabile al contratto, tale luogo è quello della consegna materiale dei beni mediante la quale l’acquirente ha conseguito o avrebbe dovuto conseguire il potere di disporre effettivamente di tali beni alla destinazione finale dell’operazione di vendita”.
[8] Come è noto, si tratta di termini contrattuali, codificati dalla Camera di Commercio Internazionale, che identificano in maniera chiara la ripartizione tra venditore e compratore delle obbligazioni, dei rischi e delle spese connesse alla consegna della merce.
[9] Cass., ss.uu., 13 dicembre 2018, n. 32362, secondo la quale: “per superare la qualificazione del luogo di destinazione finale come quello di consegna materiale della merce quale unico rilevante ai fini della determinazione della giurisdizione per la normativa Eurounitaria occorre che la pattuizione tra le parti sia chiara ed univoca e, prima ancora, occorre che vi sia una pattuizione e quindi, per elementari principi di diritto negoziale, un incontro di volontà a questo specifico fine. Deve, quindi, del tutto prescindersi dalla circostanza di fatto consistente nel luogo ove il vettore prende in consegna la merce, sicché deve inferirsi l’ininfluenza, ai fini dell’individuazione della giurisdizione, della provenienza dell’incarico di trasporto (la cui rilevanza è limitata, sul piano fattuale, alla funzione di procurare la disponibilità dei beni alienati al compratore), come pure di qualsiasi modificazione ex post delle modalità di esecuzione dell’obbligazione di consegna successiva alla conclusione del contratto” (in senso conforme: Cass., ss.uu., 31 maggio 2016, n. 11381; Cass., 14 novembre 2014, n. 24279; Cass., 21 gennaio 2014, n. 1134).
[10] CGUE, 9 giugno 2011, C-87/10, Electrosteel Europe v. Edil Centro. Di notevole chiarezza anche l’iter argomentativo seguito dalla Corte di Giustizia Europea qui di seguito sintetizzato: “occorre ricordare che, in base all’art. 23 del regolamento [n.d.r. all’epoca dei fatti di causa era in vigore il Regolamento CE n. 44/2001], una clausola attributiva di competenza può essere conclusa non solo per iscritto o oralmente con conferma scritta, ma anche in una forma ammessa dalle pratiche che le parti hanno stabilito tra di loro o, nel commercio internazionale, in una forma ammessa da un uso che le parti conoscevano o avrebbero dovuto conoscere e che, in tale campo, è ampiamente conosciuto e regolarmente rispettato dalle parti di contratti dello stesso tipo nel ramo commerciale considerato… Gli usi, in particolare se sono consolidati, precisati e pubblicati dalle organizzazioni professionali riconosciute e sono ampiamente seguiti nella prassi dagli operatori economici, svolgono un ruolo importante nella regolamentazione non statuale del commercio internazionale. Essi agevolano i compiti di tali operatori nella redazione del contratto, poiché, mediante l’uso di termini brevi e semplici, riescono a specificare gran parte delle loro relazioni commerciali. Gli Incoterms elaborati dalla Camera di commercio internazionale, che definiscono e codificano il contenuto di determinate espressioni e di determinate clausole abitualmente impiegate nel commercio internazionale, sono caratterizzati da un riconoscimento e da un impiego nella pratica particolarmente ampi. Pertanto, nel contesto dell’esame di un contratto, al fine di determinare il luogo di consegna ai sensi dell’art. 5, punto 1, lett. b), primo trattino, del regolamento, il giudice nazionale deve tenere conto di tutti i termini e di tutte le clausole rilevanti di tale contratto, ivi compresi, eventualmente, i termini e le clausole generalmente riconosciuti e sanciti dagli usi del commercio internazionale, quali gli Incoterms, purché idonei a consentire l’identificazione, con chiarezza, di tale luogo”.
[11] Cass., ss.uu., 29 aprile 2022, n. 13594 (in senso conforme: CGUE, 7 luglio 2016, C-222/15, Hőszig Kft v. Alstom Power Thermal Services; CGUE, 21 maggio 2015, C-322-14, Jaouad El Majdoub v. CarsOnTheWeb.Deutschland GmbH).
[12] Cass., ss.uu., 11 giugno 2001, n. 7854.
[13] Cass., ss.uu., 6 marzo 2017, n. 8895.
[14] Cass., ss.uu., 19 settembre 2017, n. 21622.
[15] Cass., ss.uu., 25 giugno 2021, n. 18299.
[16] Si fa riferimento a Cass. civ. ss.uu., 12 giugno 2019, n. 15748: “Ed invero, come già chiarito da questa Corte a Sezioni Unite «il rinvio operato dalla L.n. 218 del 1995, art. 3, comma 2, attiene esclusivamente alla Convenzione di Bruxelles, e non si estende al Regolamento CE n. 44/2001. Né può ritenersi che la Convenzione sia stata definitivamente sostituita (e quindi implicitamente abrogata) dal sopravvenuto regolamento, come parrebbe ritenere la resistente: la convenzione, infatti, continua ad operare relativamente ai rapporti con soggetti non domiciliati in uno degli Stati dell’Unione ovvero che non hanno adottato il predetto regolamento, pur facendo parte dell’Unione (ad esempio la Danimarca). Essa opera altresì, come si è detto e come è rilevante per la fattispecie, in relazione a specifiche norme espressamente recepite dalla L.n. 218 del 1995, art. 3, comma 2, che rinvia alla convenzione di Bruxelles del 1968 (ed ovviamente non al reg. CE n. 44/2001)»”. Tale pronuncia prendeva le mosse da una più risalente ordinanza delle Sezioni Unite che, nell’affermare il principio suesposto, metteva in evidenza la differenza intercorrente tra le modalità per determinare la competenza nel caso di una controversia contrattuale: “Ciò [n.d.r. il fatto che la l.n. 218/1995 non richiamasse il Regolamento CE n. 44/2001] non è di poca rilevanza nella fattispecie relativa ad azione contrattuale da compravendita, in quanto, l’art. 5, comma 1, n. 1, lett. B) del Regolamento ha profondamente innovato la competenza in tale specifica ipotesi, ancorandola in ogni caso al luogo in cui i beni venduti sono stati o avrebbero dovuti essere consegnati e non con il solo riferimento al luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio doveva essere eseguita, come invece, statuisce l’art. 5 della Convenzione, applicabile nella fattispecie per le ragioni sopra esposte” (Cass. civ. ss. uu., 21 ottobre 2009, n. 22239).
[17] Indirizzo ermeneutico inaugurato con CGUE, 6 ottobre 1976, C-14/76, De Bloos v. Bouyer: “Ai fini della determinazione del luogo d’esecuzione…l’obbligazione da prendere in considerazione è quella corrispondente al diritto su cui s’impernia l’azione dell’attore. Nell’ipotesi in cui l’attore fa valere il proprio diritto al risarcimento del danno o chiede la risoluzione del contratto per colpa della controparte, l’obbligazione di cui all’art. 5, 1°, è sempre quella derivante dal contratto ed il cui inadempimento viene invocato one legittimare dette domande. Per questi motivi, la prima questione va risolta nel senso che, in una controversia tra un concessionario di vendita esclusivo ed il suo concedente cui viene fatto carico di aver violato la concessione, il termine «obbligazione», che figura nell’art. 5, 1°, della convenzione 27 settembre 1968 avente ad oggetto la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, si riferisce all’obbligazione contrattuale del concedente che corrisponde al diritto contrattuale che viene fatto valere onde legittimare la domanda del concessionario”.
[18] CGUE, 29 giugno 1994, C-288/1992, Custom Made Commercial v. Stawa Metallbau: “Per quanto concerne il «luogo di adempimento», la Corte ha dichiarato che spetta al giudice investito della causa accertare, in forza della Convenzione, se il luogo in cui l’obbligazione è stata o deve essere eseguita rientri nei limiti della sua competenza territoriale e che per far ciò egli deve prima determinare, in conformità alle proprie norme di conflitto, la legge da applicare al rapporto giuridico in esame e successivamente definire, sulla base di tale legge, il luogo di adempimento dell’obbligazione contrattuale controversa”.
[19] L.n. 218/1995, art. 3, 2° comma: “La giurisdizione sussiste inoltre in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e protocollo, firmati a Bruxelles il 27 settembre 1968…, e successive modificazioni in vigore per l’Italia, anche allorché il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di una delle materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione. Rispetto alle altre materie la giurisdizione sussiste anche in base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio”.
[20] CGUE, 3 settembre 2020, causa C-186/19, Supreme Site Services GmbH v. Supreme Headquarters Allied Powers Europe
[21] Cass. civ. ss. uu., ord. 20 febbraio 2013, n. 4211: “Prevalente sulla disposizione della L. n. 218, art. 4, comma 2 (a mente della quale la giurisdizione italiana può essere oggetto di legittima convenzione derogatoria se questa sia provata per iscritto e la causa verta su diritti disponibili), difatti, deve ritenersi la norma di cui all’art. 3, comma 2 della medesima legge, secondo la quale – vertendosi in tema di contratti del consumatore – si applicano le disposizioni della sezione 3 del Regolamento CE n. 44 del 2001”.
[22] Cass. civ. ss. uu., ord. 13 dicembre 2018, n. 32362.