L’Agenzia delle Entrate, con risposta n. 8/2025, si è espressa sul regime antielusivo dividend washing, affermando, più nel dettaglio, che, ai sensi dell’art. 109, commi 3-bis e 3-ter, del TUIR, le minusvalenze realizzate su partecipazioni con “utili compresi” risultano indeducibili fino a concorrenza dei dividendi non imponibili percepiti nei 36 mesi antecedenti il realizzo.
Tale meccanismo opera automaticamente al verificarsi delle condizioni previste dalla norma, senza considerare le motivazioni economico-finanziarie alla base della cessione dei titoli.
È quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate relativamente a un’istanza di interpello disapplicativo presentata da una società attiva nel settore finanziario.
La disciplina, introdotta dall’art. 5-quinquies del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, è volta a contrastare pratiche di arbitraggio fiscale nelle operazioni di cessione di partecipazioni con “utili compresi” (c.d. dividend washing), stabilendo un regime di indeducibilità delle minusvalenze realizzate su partecipazioni in società che, nei 36 mesi antecedenti, abbiano distribuito dividendi esclusi da tassazione.
Il fenomeno elusivo che la norma mira a prevenire si verifica quando un soggetto realizza una plusvalenza su partecipazioni cedute con “dividendi inclusi”, beneficiando del regime di esenzione previsto dall’art. 87 del TUIR (c.d. Pex).
L’acquirente dei titoli incassa i dividendi, esclusi in parte da tassazione ai sensi dell’art. 89 del TUIR, e successivamente cede le partecipazioni, ormai prive dei requisiti Pex, generando minusvalenze fiscalmente deducibili.
Tali minusvalenze, in particolare, risultano deducibili perché i titoli non sono stati detenuti per il periodo minimo richiesto o non sono stati correttamente iscritti in bilancio come partecipazioni immobilizzate.
Il regime antielusivo previsto dall’art. 109, commi 3-bis e 3-ter, del TUIR, sterilizza perciò tali minusvalenze realizzate dal secondo proprietario, evitando vantaggi fiscali indebiti derivanti dal salto d’imposta.
Nel caso specifico, la società istante sosteneva che le minusvalenze, di imminente realizzazione, non fossero correlate ai dividendi percepiti in esclusione, ma derivassero da effettive ragioni economiche.
In particolare, i titoli precedentemente acquistati, e ora oggetto di cessione, riguardavano due società le cui condizioni economico-finanziarie si erano deteriorate a causa di perdita di quote di mercato e calo della redditività nei settori di riferimento, nonché di un incremento della concorrenza e delle pressioni regolatorie, che avevano inciso negativamente sui margini operativi.
Tuttavia, l’Agenzia ha ritenuto irrilevanti tali circostanze, affermando il principio secondo cui l’indeducibilità opera in automatico, al verificarsi delle condizioni di legge.
In altre parole, non può darsi rilievo alle cause che hanno determinato la minusvalenza, dovendosi soltanto prendere atto che, nel caso specifico, “non emergono elementi da cui poter desumere né che i dividendi, incassati nei 36 mesi precedenti il realizzo in esame, non siano stati esclusi da imposizione ai sensi dell’articolo 89 del TUIR, né che il primo cedente dei titoli cum cedola non abbia fruito del regime Pex”.
Ne consegue, in applicazione della norma antielusiva, che le minusvalenze realizzate rimangono indeducibili nei limiti dei dividendi esclusi da tassazione.
In conclusione, secondo l’Amministrazione finanziaria, il contribuente può ottenere la disapplicazione del regime antielusivo solo dimostrando l’assenza concreta di effetti elusivi e del salto d’imposta.
Viceversa, non è sufficiente addurre valide ragioni economiche sottese all’operazione, ma occorre provare che i dividendi abbiano concorso alla base imponibile o che il primo cedente non abbia beneficiato dell’esenzione sulla plusvalenza.
Occorre cioè provare che gli effetti elusivi che la norma intende prevenire, nella fattispecie, non possono verificarsi.