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Attualità

Regime dei neo-residenti e criteri di territorialità dei redditi finanziari

23 Marzo 2021

Stefano Brunello, Paolo Ronca e Michele Barcellona, BonelliErede

Con la Risoluzione n. 12/E del 2021 (“Risoluzione”), l’Agenzia delle Entrate ha fornito rilevanti chiarimenti interpretativi in merito ai criteri di territorialità dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, utili ai fini della delimitazione del perimetro applicativo del regime dei “neo-residenti” di cui all’art. 24-bis TUIR (“Regime”) ([1]).

Come noto, infatti, l’individuazione dei redditi di fonte estera, soggetti all’imposta sostitutiva annua di 100.000 euro prevista dal Regime, presuppone la lettura “a specchio” dell’art. 23 TUIR, che fissa i criteri di collegamento da impiegare per individuare i redditi di fonte italiana prodotti da soggetti non residenti nel territorio dello Stato.

1. Redditi di capitale

Con riferimento ai redditi di capitale, il criterio di territorialità previsto dall’art. 23 TUIR è quello della residenza del soggetto pagatore.

In particolare, il comma 1, lett. b), dell’art. 23 TUIR dispone che i redditi di capitale si considerano prodotti nel territorio dello Stato se corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato ovvero da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti ([2]).

Specularmente, la lettura a specchio di tale norma porta a concludere che i redditi di capitale si considerano prodotti all’estero ove corrisposti da uno Stato estero ovvero da un soggetto non residente in Italia.

Nella Risoluzione, l’Agenzia delle Entrate conferma questa conclusione, precisando altresì che il criterio di territorialità in esame rimane inalterato anche nell’ipotesi in cui le attività finanziarie estere (da cui i redditi di capitale originano) sono depositate presso un intermediario residente. Ciò in quanto, ai fini della individuazione del luogo di produzione del reddito di capitale rileva, appunto, unicamente la residenza del soggetto pagatore.

2. Redditi diversi di natura finanziaria

Per quanto riguarda i redditi diversi di natura finanziaria, l’art. 23, comma 1, lett. f), TUIR stabilisce che si considerano prodotti nel territorio dello Stato i redditi diversi derivanti “da beni che si trovano nel territorio stesso, nonché le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti”.

Secondo l’interpretazione storicamente avanzata dall’Agenzia delle Entrate ([3]), il termine “beni”, impiegato dalla norma, deve intendersi riferito anche ai titoli di natura azionaria e obbligazionaria.

2.1 Titoli di natura partecipativa

Tanto premesso, con riguardo ai titoli aventi natura partecipativa, l’Amministrazione finanziaria ritiene che il criterio di territorialità dei redditi diversi sia duplice, essendo costituito, alternativamente, dalla residenza della società emittente ovvero dall’esistenza dei titoli nel territorio dello Stato.

Secondo tale impostazione, in definitiva, i redditi diversi di natura finanziaria possono considerarsi territorialmente rilevanti in Italia (se prodotti da un soggetto non residente) ove derivanti dalla cessione di partecipazioni:

  1. in società residenti in Italia (indipendentemente dal fatto che i titoli siano depositati in Italia – cfr. Circolare 24 giugno 1998, n. 165/E, par. 2.3.6). Fanno eccezione le plusvalenze su cessioni di partecipazioni “non qualificate” (ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. c-bis, TUIR) in società residenti i cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati (art. 23, comma 1, lett. f), n. 1), TUIR), le quali – a prescindere dal luogo in cui i relativi titoli sono depositati – non si considerano mai prodotte in Italia;
  2. in società non residenti in Italia, laddove i titoli partecipativi siano depositati nel territorio dello Stato.

Ciò posto, una lettura a specchio rigorosa dell’art. 23, comma 1, lett. f), TUIR dovrebbe pertanto portare a considerare prodotti all’estero i redditi diversi derivanti dalla cessione di partecipazioni in società estere, qualificate ([4]) e non qualificate, indipendentemente dal fatto che le stesse siano depositate in Italia o meno. E ciò in virtù del fatto che – in situazione rovesciata – un capital gain su partecipazioni in società italiane realizzato da un soggetto non residente si considera comunque prodotto in Italia, a prescindere dal luogo del deposito (i.e. in Italia o all’estero). Tale soluzione interpretativa sembra peraltro essere stata avanzata dalla stessa associazione di categoria istante, come si evince dalla Risoluzione.

A questo riguardo, invece, l’Agenzia delle Entrate appare prendere una posizione differente, affermando che “affinché le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società estere … da parte di neo residenti rientrino nell’ambito oggettivo di applicazione dell’imposta sostitutiva di cui all’articolo 24-bis del Tuir è necessario che tali attività non siano detenute in un conto deposito presso un intermediario italiano”. Sembrerebbe, pertanto, che, nell’ottica dell’Amministrazione finanziaria, i capital gain su partecipazioni in società non residenti possano essere considerati di fonte estera solamente nel caso in cui i titoli dell’emittente siano depositati all’estero; diversamente, si tratterebbe di redditi di fonte italiana, in quanto derivanti da “beni” esistenti nel territorio dello Stato.

Come anticipato, tuttavia, questa ricostruzione non sembra pienamente aderente alla lettura a specchio della norma in discussione ([5]).

Con riferimento, poi, al caso specifico dei capital gain su partecipazioni non qualificate e negoziate in mercati regolamentati, l’Agenzia – nella Circolare n. 17/E del 23 maggio 2017 (pag. 52) – ha espressamente chiarito che la deroga al criterio di territorialità prevista dal n. 1) della lettera f), “non modificando il collegamento oggettivo tra la fonte produttiva del reddito ed il territorio dello Stato, non faccia venir meno la qualifica di “redditi prodotti all’estero” alle fattispecie in esame in situazione rovesciata”. Con la conseguenza chele plusvalenze realizzate “a seguito della cessione di partecipazioni non qualificate in società estere, negoziate in mercati regolamentati, siano da considerare redditi prodotti all’estero e, come tali, suscettibili di rientrare nel perimetro applicativo dell’articolo 24-bis del TUIR”.

Poiché la Risoluzione non approfondisce (né ritratta) questo specifico aspetto, si potrebbe ritenere che i chiarimenti forniti nella Circolare n. 17/E sopra citati siano ancora validi. D’altro canto, anche volendo aderire alla posizione restrittiva della Risoluzione in merito ai capital gain su partecipazioni estere (sopra citata), non può essere ignorato che – in questo caso specifico – è la norma stessa a fare riferimento alle partecipazioni “ovunque detenute”, con ciò evidenziando come il luogo di detenzione dovrebbe risultare del tutto ininfluente (sottolineatura aggiunta).

Ciò premesso, essendo un tema potenzialmente molto rilevante per i neo residenti ex art. 24-bis e gli intermediari italiani presso cui possono essere depositati i titoli esteri, una conferma ufficiale sul punto sarebbe stata auspicabile nell’ambito della Risoluzione.

2.2 Titoli non aventi natura partecipativa

Con riferimento, poi, ai titoli non aventi natura partecipativa suscettibili di dar luogo al realizzo di redditi diversi (es., titoli obbligazionari), l’unico criterio di territorialità applicabile – sempre ai sensi dell’art. 23, comma 1, lett. f), TUIR – rimane quello del luogo in cui le attività finanziarie risultano depositate, in quanto la norma non richiede che l’emittente sia un soggetto residente nel territorio dello Stato.

Ne consegue che, in base alla lettura a specchio, i redditi diversi derivanti dalla cessione o dal rimborso di titoli (italiani o esteri) non partecipativi potranno considerarsi prodotti all’estero soltanto a condizione che siano depositati presso un intermediario non residente.

A questo riguardo, si evidenzia che l’art. 23, comma 1, lett, f), n. 2) TUIR considera non imponibili in Italia (ove prodotte da soggetti non residenti) le plusvalenze di cui all’art. 67, comma 1, lett. c-ter), TUIR, derivanti “da cessione a titolo oneroso ovvero da rimborso di titoli non rappresentativi di merci e di certificati di massa negoziati in mercati regolamentati…”. Orbene, in relazione alla lettura a specchio di tale disposizione, dovrebbero tornare applicabili i chiarimenti resi dalla Circolare n. 17/E del 2017 (p. 52, che riprendono la posizione già assunta, in materia di credito per le imposte estere, dalla Circolare 5 marzo 2015, n. 9/E), secondo cui la citata deroga all’ordinario criterio di territorialità “non modificando il collegamento oggettivo tra la fonte produttiva del reddito ed il territorio dello Stato, non [fa] venir meno la qualifica di ‘redditi prodotti all’estero’ alle fattispecie in esame in situazione rovesciata”. In sostanza, quindi, la deroga prevista dall’art. 23 TUIR per i titoli non partecipativi negoziati in mercati regolamentati risulta indifferente rispetto all’individuazione del criterio di territorialità dei redditi diversi, che rimane ancorato (tanto per i titoli negoziati, quanto per quelli non negoziati) al luogo in cui gli stessi risultano depositati.

3. Conclusione

Dalla ricostruzione sopra operata, risulta che il quadro attuale – oltre ad essere ancora caratterizzato alcune incertezze – si presenta molto articolato e poco sistematico, soprattutto nell’ottica di un soggetto neo-residente che applica il Regime.

Basti pensare, a titolo esemplificativo, che i proventi relativi ad un titolo obbligazionario emesso da una società italiana e depositato all’estero, potrebbero dare luogo a tassazione IRPEF ordinaria in relazione alla quota che costituisce interesse (in quanto reddito di capitale di fonte italiana), mentre l’eventuale provento derivante dalla cessione del titolo sarebbe incluso nella tassazione forfettaria ex art. 24-bis (in quanto reddito diverso relativo ad un titolo non partecipativo depositato all’estero).

Situazione opposta si potrebbe creare con riferimento ad un titolo obbligazionario emesso da un soggetto estero e depositato in Italia, relativamente al quale la componente interesse (in quanto reddito di capitale) sarebbe inclusa nella tassazione forfettaria ex art. 24-bis, mentre i proventi derivanti dalla cessione del titolo sconterebbero l’IRPEF ordinaria.

Del pari articolata è la situazione con riferimento ai titoli di natura partecipativa, in relazione ai quali, come visto, per i redditi di capitale la fonte è collegata alla residenza del soggetto emittente, mentre per i redditi diversi – come specificato dalla Risoluzione – ciò che rileverebbe è esclusivamente il luogo di deposito del titolo, fatta eccezione (i) per le società residenti in Italia (per le quali la fonte è sempre italiana) e (ii) per i titoli di soggetti esteri quotati in mercati regolamentati che rappresentino partecipazioni “non qualificate” (per i quali il deposito non dovrebbe rilevare, in virtù di quanto specificato dalla Circolare n. 17/E).

Il quadro generale che ne risulta – caratterizzato da dubbia sistematicità e complessità applicativa – disincentiva fortemente i neo-residenti 24-bis a depositare i propri titoli (emessi da soggetti esteri) presso gli intermediari italiani, con la conseguenza che questi ultimi operatori dovranno limitare le proprie attività esclusivamente a prestazioni di servizi quali la gestione, l’amministrazione o la consulenza finanziaria.

Alla luce di quanto sopra, sarebbe certamente auspicabile una revisione normativa volta alla semplificazione, individuando la fonte del reddito di ciascuna tipologia di titoli in base ad un criterio unitario – ad esempio la residenza del soggetto emittente – che sia valido sia per i redditi di capitale che per i redditi diversi.

 

[1] Per un’analisi generale delle caratteristiche del Regime, si rinvia, oltre che alla Circolare 23 maggio 2017, n. 17/E, al documento pubblicato dalla Commissione di Studio UNGDCEC – Internazionalizzazione e Fiscalità Internazionale, intitolato Le agevolazioni fiscali per attrarre capitale umano in Italia (maggio 2020) e al documento di studio n. 1/2017 dell’ODCEC di Milano.

[2] Come precisato già dalla Circolare 26 ottobre 1999, n. 207/E, ai fini dell’imponibilità in Italia, è necessario che il reddito di capitale rappresenti, per il soggetto residente che lo eroga, l’adempimento del proprio obbligo contrattuale assunto, consistente nella remunerazione delle somme e dei valori ricevuti per l’impiego del capitale. Pertanto, per stabilirne l’imponibilità, non è sufficiente che il reddito sia soltanto materialmente «pagato» da un soggetto residente, quando questi svolga la funzione di mero incaricato al pagamento.

[3] Cfr. citata Circolare n. 207/E del 1999.

[4] Si ricorda, per inciso, che, secondo quanto previsto dall’art. 24-bis, comma 1, TUIR, sono escluse dall’ambito del Regime le plusvalenze realizzate su partecipazioni “qualificate” (ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. c), TUIR) nei primi cinque anni di validità del Regime, a prescindere dal fatto che le stesse si considerano prodotte all’estero sulla base dei criteri sopra descritti. Sul tema, cfr. S. Brunello, P. Ronca, M. Barcellona, Regime dei neo-residenti e capital gain su partecipazioni qualificate estere, in Corriere Tributario n. 11/2020.

[5] Cfr. P. Ludovici, A. Massari, Neo residenti, dossier estero con intermediario italiano, in Il Sole 24 Ore del 12 febbraio 2020; P. Ludovici, Partecipazioni penalizzate se custodite all’estero, in Il Sole 24 Ore dell’11 luglio 2017.

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