1. Premessa – Il contesto di riferimento
Nel mercato dei servizi finanziari una delle tematiche fiscali di maggiore rilevanza è senza dubbio quella concernente il diritto alla detrazione dell’IVA. Dato il trattamento di esenzione al quale soggiacciono di norma le operazioni effettuate “a valle”, gli operatori finanziari sono caratterizzati solitamente da una pressoché totale indetraibilità soggettiva dell’imposta assolta sugli acquisti (i.e. i beni e i servizi acquisiti nello svolgimento dell’attività). Conseguentemente, in mancanza di altre attività che comportano l’effettuazione di operazioni attive che danno diritto alla detrazione (imponibili e non imponibili), l’IVA sugli acquisti spesso rappresenta per intero un costo che incide sul conto economico di detti operatori.
In particolare, nel comparto della gestione collettiva, il diritto alla detrazione delle società di gestione del risparmio (“SGR”) è di norma influenzato significativamente, in negativo, dalla circostanza che le commissioni relative alla gestione dei fondi, che costituisce l’attività principale (se non addirittura esclusiva) posta in essere, sono esenti da imposta.
2. La Risposta n. 220/2021
La recente Risposta a Interpello n. 220, pubblicata il 26 marzo 2021[1] (“Risposta n. 220”), ha da ultimo fornito un’indicazione che suscita alcuni interrogativi sulla determinazione del diritto alla detrazione delle SGR.
Il caso rappresentato ha per oggetto la disciplina applicabile ai fini IVA all’attività di gestione di fondi comuni d’investimento immobiliari svolta da una SGR appartenente a un gruppo IVA, disciplinato dal Titolo V-bis del D.P.R. n. 633/1972. Peraltro, l’ambito di applicazione dei principi affermati sembra estendibile in generale alla rilevanza IVA delle operazioni intercorrenti tra la SGR e i fondi immobiliari dalla medesima gestiti.
In sintesi, partendo dalla considerazione del regime peculiare previsto dall’art. 8 del D.L. n. 351/2001, l’Agenzia giunge ad affermare che il trattamento delle operazioni tra la SGR e i fondi deve essere individuato sulla base del presupposto che i medesimi fondi non hanno autonoma soggettività passiva, con la conseguenza che: (i) le prestazioni di servizi relative all’attività di gestione di propri fondi svolte dalle SGR devono essere trattate alla stregua di “passaggi interni” tra settori di attività, ai sensi e con gli effetti di cui all’art. 36, c. 5, del D.P.R n. 633/1972; (ii) la rilevanza ai fini IVA – e dei connessi obblighi formali (fatturazione e registrazione) – di tali prestazioni è dunque subordinata alla condizione che esse siano dirette ad un’attività (separata) soggetta a pro-rata di detrazione inferiore rispetto a quello della SGR; (iii) tali prestazioni (i.e. passaggi interni) non concorrono a formare il volume d’affari della SGR, ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. n. 633/1972, e non rilevano ai fini della determinazione della percentuale di detrazione della SGR, ai sensi dell’art. 19-bis, c. 2, del D.P.R n. 633/1972; (iv) è legittimo effettuare la separazione contabile anche nell’ambito delle attività svolte dal singolo fondo (i.e. distinguendo le locazioni e cessioni di fabbricati abitativi esenti dalle locazioni e cessioni di altri fabbricati/immobili, ai sensi dell’art. 36, c. 3 del D.P.R. n. 633/1972).
3. Il regime IVA della commissione di gestione e delle altre attività svolte dalle SGR immobiliari
Come noto le prestazioni di servizi relative alla gestione di fondi comuni d’investimento sono operazioni esenti ai sensi dell’art. 10, c. 1, n. 1) del D.P.R. n. 633/1972[2]. Sulla scorta dell’interpretazione comunitaria, l’Agenzia ha già in passato chiarito che la norma di esenzione assume valenza “oggettiva”, rendendosi applicabile a tutte le operazioni che “attengono specificamente all’attività degli organismi di investimento collettivo” che, con riferimento ai fondi immobiliari,comprendono sia attività relative alla scelta, all’acquisto e alla vendita dei beni immobili, sia compiti amministrativi e di contabilità relativi alla gestione del fondo[3].
Tuttavia, come confermato dalla medesima Agenzia[4], sulla base delle classificazioni fornite dall’art. 31-bis del Regolamento d’esecuzione UE n. 282/2011[5], l’amministrazione dei beni immobili, intesa come “servizi di gestione immobiliare, incentrati sul regolare esercizio e funzionamento del bene immobile”, non sarebbe riferibile “specificamente all’amministrazione di un fondo comune d’investimento”, in quanto avrebbe come scopo esclusivo quello di preservare e accrescere il valore del bene oggetto d’investimento. Tale interpretazione – resa in un caso in cui era necessario qualificare la prestazione come “immobiliare” ovvero “finanziaria” ai fini dell’applicazione del criterio di territorialità dell’IVA – comporta che, se i suddetti servizi non sono attratti alla sfera di esenzione applicabile alla gestione collettiva, essi dovrebbero di conseguenza ritenersi imponibili quali servizi di gestione di portafogli[6]ovvero servizi generici riferibili agli immobili di proprietà del fondo.
Ciò implica non solo che i medesimi servizi risultano imponibili se esternalizzati, ma anche che, ogniqualvolta le SGR svolgono nei confronti dei propri fondi prestazioni riconducibili al c.d. asset/property management, ovvero altri servizi generici (i.e. consulenze), remunerati con corrispettivi autonomi e indipendenti dalla commissione di gestione, il trattamento di imponibilità al quale soggiacciono tali prestazioni conferisce alle medesime SGR un parziale diritto alla detrazione sugli acquisti (salvo, come vedremo, quanto indicato nella Risposta n. 220).
4. L’inquadramento IVA di SGR e fondi immobiliari: soggettività unica, attività separate
L’inquadramento IVA dei fondi immobiliari deriva da un sistema normativo speciale fondato sulla base di una fictio iuris secondo cui, ai sensi dell’art. 8, c. 1, del D.L. n. 351/2001, la SGR è considerata il “soggetto passivo (…) per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi relative alle operazioni dei fondi immobiliari”[7].
Nonostante le operazioni siano riferite alla SGR (unico soggetto passivo), esse sono tuttavia riconducibili a ciascun fondo immobiliare da un punto di vista formale e sostanziale, attraverso l’istituzione di contabilità separate e autonome liquidazioni (che confluiscono in un versamento unico effettuato dalla SGR),di modo che le rispettive attività possano essere imputate a ciascun fondo distintamente rispetto alle attività degli altri fondi e della SGR. Al di là della predetta peculiarità, dovuta alla mancanza di soggettività giuridica dei fondi immobiliari, l’IVA si applica in modo sostanzialmente analogo agli ordinari soggetti passivi, in particolar modo con riferimento alla disciplina del pro-rata di detrazione ex artt. 19, c. 5, e 19-bis, c. 2, del D.P.R. 633/1972 che, come precisato dalla prassi dell’Agenzia delle entrate, deve essere applicata separatamente per la SGR e per ciascun fondo immobiliare[8].
Questa impostazione[9]è stata di recente ribadita anche nella Circolare n. 19/E/2018 in tema di gruppo IVA, affermando che i fondi – nonostante siano patrimoni giuridicamente separati da quello della SGR – non possano ritenersi dei contribuenti autonomi bensì dei “comparti” in relazione ai quali l’imposta deve essere determinata e liquidata separatamente dal soggetto passivo, che può essere la SGR ovvero il gruppo IVA al quale appartiene e aderisce la SGR ai sensi della disciplina di cui al Titolo V-bis del D.P.R. n. 633/1972.
Detta Circolare ha inoltre precisato che “qualora le operazioni rese o ricevute dalla SGR (anche per conto dei fondi) abbiano quale controparte un altro membro del Gruppo, esse saranno irrilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, secondo le previsioni di cui all’articolo 70-quinquies”.
Dunque, pur potendo i fondi essere parte del gruppo IVA, emerge come anche nell’ambito di un’unica posizione IVA “consolidata” (sia essa quella del gruppo IVA, sia quella della SGR), l’applicazione e la determinazione dell’imposta deve sempre avvenire secondo la disciplina speciale dei fondi immobiliari e quindi separatamente per tutte le operazioni effettuate da ciascun fondo, per via dell’autonomia patrimoniale di ciascuno di essi[10].
Con la Risposta n. 220, l’Agenzia delle entrate nel fare applicazione di tali principi – in particolare l’assenza di alterità soggettiva IVA tra SGR e fondi – ha chiarito che le operazioni tra essi intercorrenti devono essere trattate ai fini dell’IVA alla stregua di “passaggi interni” tra settori di attività dello stesso soggetto passivo, che abbia esercitato opzione per la separazione ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 633/1972. Tali passaggi interni, come già detto, non ricadono nel trattamento di irrilevanza IVA tout court di cui all’art. 70-quinquies ma, secondo quanto affermato dall’Agenzia, soggiacciono all’art. 36, c. 5.
Detta norma prevede che i passaggi interni di servizi da una attività separata ad un’altra siano rilevanti ai fini dell’imposta – secondo lo specifico trattamento di imponibilità, non imponibilità, esenzione di volta in volta applicabile – a condizione che l’attività di destinazione sia soggetta a percentuale di detrazione ridotta o forfetizzata (in virtù dell’applicazione di un regime IVA speciale). Si tratta di un meccanismo, come chiarito dall’Agenzia, volto ad assoggettare ad imposizione – al fine di garantire il corretto esercizio del diritto alla detrazione – solo le operazioni interne nelle quali la prestazione del servizio avvenga verso un’attività che conferisce un diritto alla detrazione in misura inferiore rispetto a quello dell’attività di provenienza.
5. Le conseguenze della Risposta n. 220 sul diritto alla detrazione delle SGR immobiliari
Al di là dello specifico caso di adesione a un gruppo IVA, con la Risposta n. 220 l’Agenzia delle entrate ha quindi affermato che, operando la SGR in regime di separazione ex lege[11]con riferimento alle posizioni dei fondi immobiliari gestiti (che si considerano quindi come delle “attività separate”), le prestazioni di servizi tra SGR e fondi sonotrattate come “passaggi interni” e risultano soggette agli obblighi di fatturazione e registrazione solo laddove tali fondi beneficiano di un diritto alla detrazione inferiore rispetto a quello della SGR.
Fondamentale conseguenza dell’assimilazione ai passaggi interni è poi che, in applicazione dell’art. 36, c. 5, le prestazioni di servizi rese dalle SGR ai fondi immobiliari da esse gestiti in ogni caso non rilevano ai fini della determinazione del volume d’affari ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. n. 633/1972 e, soprattutto, non concorrono alla determinazione del pro–rata di detrazione ai sensi dell’art. 19-bis, c. 2, del D.P.R n. 633/1972[12].
Pertanto, alla luce dei principi espressi dall’Agenzia, le SGR che gestiscono fondi comuni d’investimento immobiliare dovrebbero verificare se il diritto alla detrazione determinato ai sensi dell’art. 19-bis del D.P.R. n. 633/1972 di ciascun fondo gestito sia di misura inferiore al proprio. Solo in caso affermativo la SGR sarebbe tenuta ad emettere fattura per l’operazione posta in essere, mentre in caso contrario la stessa operazione sarebbe irrilevante ai fini IVA. Nel compiere detta verifica, precisa l’Agenzia delle entrate, occorre prendere a riferimento un pro-rata “provvisorio” (quello dell’anno precedente), operando successivamente le opportune variazioni una volta disponibile il dato definitivo[13].
In ogni caso tali operazioni, sussista o meno un obbligo di fatturazione, essendo considerate come “passaggi interni” sarebbero del tutto irrilevanti ai fini della determinazione del pro–rata di detrazione della SGR. E ciò vale sia al fine di misurare il pro-rata (da confrontare con quello dei fondi) per verificare se è scattato il presupposto di cui all’art. 36, c. 5, sia più in generale allo scopo di determinare il diritto della SGR alla detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti.
Dunque, secondo l’Agenzia, i servizi della SGR ai propri fondi costituiscono dei passaggi interni e, come tutti i passaggi interni, se pure fatturati non rilevano ai fini del pro-rata e del volume d’affari[14].
Nel caso affrontato nella Risposta n. 220, in particolare, la SGR istante oltre a gestire i propri fondi svolgeva un’attività di consulenza sia nei confronti dei propri fondi che verso terzi. Pertanto, sulla base dei principi sopra enunciati, attesa l’irrilevanza dei servizi relativi ai propri fondi, le sole operazioni da tenere in considerazione nel computo del pro-rata risulterebbero quelle consulenziali – imponibili – effettuate verso terzi.
6. Il paradosso delle SGR immobiliari che svolgono mera attività interna
Ciò posto, i principi espressi dall’Agenzia delle entrate suscitano qualche perplessità con riferimento ad alcune fattispecie che potrebbero comunemente verificarsi.
Una prima ipotesi – che è anche la più tipica – è quella in cui la SGR svolga servizi di gestione (ed eventuale consulenza) esclusivamente nei confronti dei fondi da essa gestiti.
In questo caso, essendo l’intera attività svolta nell’ambito del medesimo soggetto passivo, ne deriverebbe che tutta l’IVA assolta a monte dalla SGR risulterebbe indetraibile. Tale indetraibilità non deriverebbe dal trattamento in ipotesi applicabile alle operazioni attive svolte (che avrebbero potenzialmente dato luogo ad un pro-rata), bensì dal fatto che – costituendo tutti i servizi prestati dei meri passaggi interni – non sussisterebbe affatto un’attività a rilevanza esterna. Pertanto, l’attività svolta dalla SGR, pur potendo risultare astrattamente come attività economica rilevante ai fini IVA, essendo esclusivamente intra-soggettiva sarebbe in ultima analisi ininfluente ai fini della determinazione del pro-rata e non consentirebbe in radice alla SGR il diritto di detrarre l’IVA sugli acquisti riferiti alla propria attività.
Questa impostazione appare in discontinuità con la prassi di molti operatori del settore, che fatturano in ogni caso (anche se l’attività è interna ai propri fondi) sia le commissioni di gestione (esenti) che i corrispettivi per consulenze e i ribaltamenti costi con IVA (imponibili), attribuendo a tali operazioni rilevanza ai fini del pro-rata.
Una seconda ipotesi riguarda le SGR che hanno, oltre ad un’attività interna, anche un’attività verso soggetti terzi che dà luogo ad operazioni imponibili (attività di asset management, consulenze) ed esenti (servizi di gestione in delega). Applicando i principi espressi dall’Agenzia, il diritto alla detrazione andrebbe in questo caso determinato attribuendo rilevanza soltanto all’attività esterna. Pertanto, il pro–rata non sarebbe influenzato dai servizi prestati ai propri fondi.
Ciò detto, con riferimento all’ipotesi della SGR con esclusiva attività interna si possono svolgere alcune ulteriori considerazioni.
Innanzituttosi osserva che, se le operazioni interne della SGR comunque non rilevano ai fini del pro rata, il presupposto per la fatturazione di tali passaggi per un gestore che ha solo attività “interna” (e quindi con detraibilità zero) sarebbe per definizione impossibile da realizzare.
Inoltre, appare lecito domandarsi se, per una SGR la cui attività non “sfocia” all’esterno – essendo i suoi servizi non oggetto di fatturazione e comunque considerati meri “passaggi interni” irrilevanti ai fini del pro-rata e del volume d’affari – sarebbe effettivamente giustificato un regime di separazione di tale attività. Infatti, tipicamente, la disciplina di cui all’art. 36, c. 5, del D.P.R. n. 633/1972 è previstaper passaggi interni tra attività separate che hanno rilevanza esterna. Se un’attività separata generasse esclusivamente passaggi interni, tuttavia, non sembrerebbe avere molto senso che la stessa venisse enucleata. Invero l’attività di gestione nei confronti dei propri fondi – che costituisce l’attività tipica e principale delle SGR – finirebbe per costituire sempre e soltanto una mera fonte di passaggi interni, in sostanza una “non attività” ai fini IVA. L’unica attività “esterna” del soggetto passivo resterebbe quella immobiliare relativa ai fondi. Quindi per la SGR la detraibilità dell’imposta sugli acquisti risulterebbe in radice negata come se si trattasse in sostanza di un “consumatore finale”.
Applicando dunque i principi della Risposta n. 220, paradossalmente, proprio l’attività più tipica di una SGR – l’istituzione e la gestione di fondi – degraderebbe a mera attività interna che non conferisce alcun diritto alla detrazione, nemmeno per eventuali servizi imponibili prestati ai propri fondi.
Secondo questa impostazione, peraltro, la disciplina IVA dei servizi di gestione collettiva, che prevede senza dubbio la rilevanza ai fini del tributo e nello specifico un trattamento di esenzione (ai sensi dell’art. 10, c. 1 n. 1, del D.P.R. n. 633/1972), finirebbe “confinata” alla sola fattispecie della gestione in delega.
Di converso, nel caso in cui la SGR effettua servizi anche nei confronti di terzi ciò le conferirebbe un diritto alla detrazione totale o parziale in base a un pro-rata da determinare esclusivamente in base all’attività esterna; anche in tale fattispecie, peraltro, vi sarebbe il paradosso che proprio l’attività tipica svolta verso i propri fondi (oltre a non comportare fatturazione) non avrebbe alcun impatto sulla percentuale di detrazione.
Attesa dunque la evidente rilevanza delle possibili implicazioni sulla determinazione dell’imposta detraibile appare quanto mai opportuno, anche tenuto conto dei comportamenti sinora posti in essere da molti operatori, che l’Amministrazione finanziaria fornisca ulteriori chiarimenti circa l’applicabilità dei principi espressi nella Risposta n. 220 e ne precisi le eventuali conseguenze.
In merito, sia peraltro consentito esprimere qualche riserva sull’assunto costituito dalla assimilazione a “passaggi interni” di cui all’art. 36, c. 5, dei servizi di gestione resi dalla SGR ai propri fondi. Atteso infatti che i servizi di gestione rappresentano l’attività tipica delle SGR, andrebbe pur sempre considerato che gli stessi vengono resi in base ad un rapporto di mandato trilatero che ha come parti da un lato i sottoscrittori del fondo in qualità di mandanti e dall’altro la SGR in veste di mandatario, dove il terzo elemento è rappresentato dal fondo quale patrimonio separato di pertinenza sostanziale del mandante, a cui vengono imputati gli effetti economici della gestione. In questo schema, dunque, appare evidente che la riferibilità della posizione IVA dei fondi al soggetto passivo SGR è il frutto – come detto – di una fictio iuris dovuta alla assenza di personalità giuridica del fondo immobiliare e alla necessità di definire una modalità operativa di funzionamento dell’IVA relativa alle operazioni (acquisti, vendite, locazioni) a questo riferibili. In questa prospettiva il ruolo operativo della SGR, rispetto all’applicazione del regime speciale IVA relativo alle operazioni dei fondi, è sostanzialmente quello di un “responsabile di imposta”, ossia di soggetto a cui è attribuito l’onere di provvedere agli adempimenti IVA per conto dei fondi medesimi, essendo questi privi di autonoma capacità di agire. In questo senso dovrebbe apprezzarsi la specialità del regime IVA dei fondi immobiliari, che prevede liquidazioni separate tra SGR e fondi proprio per tenere conto della riferibilità degli effetti economici a soggetti diversi e tra loro terzi, ossia i partecipanti/mandanti da una parte e la SGR/mandataria dall’altra.
Solo dal punto di vista formale invero il servizio di gestione è prestato nell’ambito del medesimo soggetto passivo IVA, ma dal punto di vista sostanziale si tratta a tutti gli effetti di una prestazione a titolo oneroso in base a rapporto di mandato suscettibile di ricadere nell’ambito dell’art. 3 del D.P.R. n. 633/1972. Vi è in effetti una differenza fondamentale rispetto alla fattispecie tipica dei passaggi interni dove manca un corrispettivo (ed un sinallagma), tanto che l’art. 36, c. 5, non a caso fa rinvio al criterio del valore normale[15]. In conclusione la specialità della disciplina IVA dei fondi immobiliari e le dinamiche contrattuali ed economiche ad essa sottese farebbero piuttosto ritenere che i servizi resi dalla SGR ai propri fondi debbano avere rilevanza IVA come attività esterne, peraltro secondo la prassi ad oggi seguita da molti operatori.
7. Sull’ulteriore separazione di attività riferibile ai medesimi fondi gestiti
Nella risposta all’ultimo quesito l’Agenzia, peraltro, ha confermato anche che la SGR nell’ambito delle distinte e autonome attività riferibili ai diversi fondi gestiti, sia legittimata ad effettuare un’ulteriore separazione contabile in relazione alle attività svolte nell’ambito di ciascun fondo, distinguendo le locazioni e cessioni di fabbricati abitativi esenti da imposta dalle locazioni e cessioni di altri fabbricati/immobili, conformemente a quanto previsto per la separazione delle attività nell’ambito del settore immobiliare dall’art. 36, c. 3, del D.P.R. n. 633/1972[16].
Sarebbe peraltro un obiettivo auspicabile che, in considerazione dell’attuale contesto normativo (in cui l’esenzione è divenuto il regime naturale per le attività di locazione e cessione anche dei fabbricati strumentali), l’Agenzia potesse interpretare estensivamente l’art. 36, c. 3, consentendo la separazione dell’attività nel settore immobiliare in ragione della natura (imponibile o esente) delle attività svolte, prescindendo dal rigido criterio catastale. Quest’ultimo invero non appare più aderente con l’intento originario del legislatore (confermato dalla recente Circolare n. 19/E del 31 ottobre 2018, par. 7.1.1.) di rendere possibile al soggetto passivo tenere distinte attività che per loro natura sono soggette a regimi IVA differenti[17].
[1] Di seguito il link al quale è possibile consultare la Risposta n. 220: https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/0/Risposta_220_26.03.2021.pdf/20cd89bf-8d0a-f75b-b98b-09c936c52e8b.
[2] Norma di attuazione dell’art. 13, parte B, lett. d), punto 6, della Direttiva 77/388/CEE, rifuso nell’articolo 135, paragrafo 1, lett. g) della Direttiva 2006/112/CE, secondo cui l’esenzione è da accordarsi alla gestione collettiva di fondi comuni d’investimento come definiti dagli Stati membri. Nell’ordinamento italiano rientrano nella definizione di “fondo comune d’investimento”sia i fondi d’investimento alternativi (“FIA”) – in cui sono ricompresi i fondi immobiliari – che gli organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (“OICVM”), in quanto si qualificano entrambi come organismi d’investimento collettivo del risparmio (“OICR”), ai sensi dell’art. 1, lett. j) del D.Lgs. n. 58/1998. Sul punto si veda la sentenza 2 luglio 2020 (C-231/2019) della Corte di Giustizia UE che ha analizzato la disciplina del Regno Unito in relazione alle categorie di fondi qualificati e non qualificati (cfr. S. Cacace, Gestione collettiva del risparmio: la Corte di Giustizia interviene nuovamente sul trattamento IVA dei servizi esternalizzati, in Diritto Bancario, 13.7.2020) e la recente Risposta a interpello n. 628/2020 in cui si afferma che sono da qualificarsi come fondi comuni d’investimento quelli che, “pur non costituendo OICVM presentano caratteristiche identiche a questi ultimi ed effettuano, quindi, le stesse operazioni, o quanto meno, presentano tratti comparabili a tal punto da porsi in rapporto di concorrenza con essi”, ritenendosi che i fondi d’investimento alternativi (“FIA”) siano comparabili agli OICVM qualora siano partecipati da una pluralità d’investitori, gestiti nel loro interesse e a loro rischio (con rendimento dipendente dai risultati) e sottoposti a vigilanza prudenziale.
[3] Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 9 dicembre 2015, C-595/13.
[4] Cfr. Risposta n. 65/2019, in un caso avente ad oggetto la territorialità dei servizi prestati da una advisory company residente a una SGR comunitaria, sulla base dei principi espressi dalla giurisprudenza citata (cfr. F. Brunelli – S. Cacace, Regime IVA dei servizi di advisory resi a gestore immobiliare UE, in il Fisco, 2019, 2939).
[5] L’art. 31-bis, paragrafo 1, del Regolamento d’esecuzione UE n. 282/2011, stabilisce che “i servizi relativi a beni immobili di cui all’articolo 47 della direttiva 2006/112/CE comprendono soltanto i servizi che presentano un nesso sufficientemente diretto con tali beni. Si considera che presentino un nesso sufficientemente diretto con i beni immobili i servizi: a) derivati da un bene immobile se il bene è un elemento costitutivo del servizio ed è essenziale e indispensabile per la sua prestazione; b) erogati o destinati a un bene immobile, aventi per oggetto l’alterazione fisica o giuridica di tale bene”.
[6] Operazioni imponibili come statuito dalla Corte di Giustizia UE (causa C-44/11), che ha indotto il Legislatore a modificare in tal senso (con L. 228/2012) l’art. 10 del D.P.R. 633/72.
[7] Nella relazione al D.L. n. 351/2001 si precisa infatti che la soggettività passiva in capo alla SGR è necessaria «essendo il fondo comune un patrimonio separato ed autonomo privo di una soggettività ai fini IVA».
[8] Si veda la Circolare 2/E/2012, par. 8.
[9] Oggetto di chiarimento sin dalla Circolare n. 47/E/2003.
[10] Si precisa infatti nell’articolo 70-duodecies, c. 4, del D.P.R. n. 633, che “Le disposizioni di cui all’articolo 8, comma 1, secondo, quarto e quinto periodo, del D.L. 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 novembre 2001, n. 410, si applicano anche nei casi in cui una società di gestione di fondi partecipi ad un gruppo IVA”.
[11] Si segnala, peraltro, che l’Agenzia delle entrate nella Risposta n. 74/2020 ha affermato che le Sicaf multicomparto “devono optare” per la separazione delle attività ex art. 36, c. 3, per ciascuno dei comparti. Per la Sicaf multicomparto vi sarebbe quindi una “opzione obbligatoria” per la separazione.
[12] Secondo cui “per il calcolo della percentuale di detrazione di cui al comma 1 non si tiene conto … dei passaggi di cui all’art. 36 ultimo comma”.
[13] Ovviamente tali adempimenti non rilevano per coloro che hanno a priori escluso ogni determinazione del pro-rata (e rinunciato al diritto alla detrazione) optando per la dispensa degli adempimenti di cui all’art. 36-bis.
[14] Detti principi non dovrebbero valere se la SGR presta servizi di gestione in delega in quanto si tratta di operazioni rese nei confronti di altre SGR, ovvero se gestisce SICAF immobiliari (eterogestite) che sono riconosciute come autonomi soggetti IVA.
[15] D’altra parte, gli artt. 18 e 27 della Direttiva 2006/112/CE (citati anche dalla Circolare n. 19/E/2018 nel commento della disciplina sui passaggi interni), prevedono espressamente che i passaggi tra attività (intesi come mutamento di “destinazione” di beni e servizi acquisiti) possano essere “assimilati” ad operazioni a titolo oneroso, allo scopo di far scattare l’obbligo di fatturazione a valore normale e di evitare abusi e arbitraggi ai fini della detrazione. Detta disciplina (con le relative condizioni ed eccezioni), tuttavia, non dovrebbe applicarsi per ciò che è già (senza bisogno di assimilazioni) un’operazione onerosa tout court rilevante ai fini del tributo.
[16] Confermando la posizione resa con la Risposta n. 608 del 18 dicembre 2020.
[17] Tale intento emerge chiaramente da quanto veniva precisato nella Relazione illustrativa all’art. 57 del D.L. n. 1/2012, secondo cui “l’opzione per la separazione (che è già applicata per la gestione relativa alle locazioni in esenzione) viene ampliata per facilitare la gestione delle operazioni di cessione in esenzione”.