1. Introduzione
Con la risposta ad interpello n. 110 del 20 aprile scorso, l’Agenzia delle Entrate è tornata ad esprimersi sul tema del trattamento ai fini IVA delle initial coin offering (ICO) di moneta virtuale, integrando le linee guida che la stessa Amministrazione finanziaria aveva fornito nel 2018 con la risposta ad interpello n. 14 [1].
I principi fissati nella risposta in commento sono particolarmente significativi per gli operatori, in ragione del fatto che viene chiarito ulteriormente il discrimen tra le diverse categorie di moneta elettronica e il conseguente regime ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.
Nel prosieguo del presente contributo, pertanto, si delinea il trattamento ai fini IVA dell’emissione di token, traendo spunto dal recente documento di prassi e svolgendo alcune considerazioni di carattere più generale.
2. Nozione e categorie di token
Preliminarmente, è opportuno evidenziare come nella risposta ad interpello del 20 aprile scorso l’Agenzia delle Entrate delinei in maniera puntuale la nozione di token e le diverse tipologie di tale moneta virtuale [2].
Più in dettaglio, nella risposta in commento il token viene definito sostanzialmente come un “gettone virtuale” connotato da due caratteristiche principali:
- il valore del token viene stabilito dal soggetto emittente;
- il token vale solo all’interno di un contesto creato dall'emittente, al quale aderiscono volontariamente coloro che intendono utilizzare il token “secondo gli scopi, il contenuto e le conseguenze stabiliti dall'emittente”.
L’Amministrazione finanziaria delinea quindi tre diverse tipologie di token:
- i token di pagamento o “criptovalute” (payment o currency token): mezzi di pagamento per l'acquisto di beni o servizi, oppure strumenti finalizzati al trasferimento di denaro e di valori;
- i security token: strumenti rappresentativi di diritti economici legati all'andamento dell'iniziativa imprenditoriale (quale il diritto di partecipare alla distribuzione degli utili futuri) e/o di diritti amministrativi (quale il diritto di voto su determinate materie);
- gli utility token: strumenti rappresentativi di diritti diversi, legati alla possibilità di utilizzare il prodotto o il servizio che l'emittente intende realizzare (ad esempio, licenza per l’utilizzo di un software ad esito del processo di sviluppo).
A ciascuna di tali tipologie può essere in via di principio ricondotto un diverso trattamento ai fini dell’IVA, per cui non si può prescindere da un’analisi puntuale della fattispecie concreta al fine di stabilire quale sia il corretto regime applicabile.
Inoltre, è possibile configurare token c.d. ibridi, che combinano due o più degli elementi sopra illustrati, in relazione ai quali è necessario definire il criterio per determinare in quale tipologia tra quelle di cui sopra rientri il token.
La fattispecie oggetto della risposta in commento riguarda proprio una ipotesi di token ibrido, in quanto gli strumenti emessi dal contribuente che ha proposto interpello hanno degli elementi tipici sia degli utility token (l’utilizzo per fruire dei servizi della piattaforma, con contenuto assimilabile a quello dei voucher) sia dei currency token assimilati alla moneta virtuale (poiché saranno scambiati e potranno fungere da mezzo di pagamento per acquistare beni o servizi sul mercato).
3. Il trattamento IVA dei currency token
Come accennato in precedenza, l’inquadramento della fattispecie concreta nella categoria dei currency token o degli utility token è decisivo per definirne il corretto trattamento IVA, per cui occorre preliminarmente definire quale sia il regime IVA dei token rientranti nelle categorie appena menzionate.
Nel primo caso, ovverosia nell’ipotesi in cui il token rientri tra i currency token, si avrebbe unicamente un mero trasferimento di denaro o scambio di valute non connesso a una cessione di beni o prestazione di servizi, che non configura un’operazione rilevante ai fini IVA [3].
Di conseguenza, come espressamente confermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 22 ottobre 2015, causa C-264/14) il cambio a titolo oneroso della valuta virtuale in una valuta legale (e viceversa), se effettuato a titolo oneroso, dà luogo ad una prestazione di servizi che beneficia del regime di esenzione da IVA previsto per le operazioni relative a “divise, banconote e monete con valore liberatorio”.
4. Il trattamento IVA degli utility token
Il regime IVA degli utility token non è assimilato a quello dello scambio di valute, bensì a quello dei buoni di acquisto o voucher (i.e., titoli che danno diritto al portatore di utilizzarli al fine di acquistare dei beni o dei servizi) il cui regime è peraltro oggetto di recenti interventi normativi in ambito IVA [4].
L’articolo 6-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, definisce il “buono-corrispettivo” come “uno strumento che contiene l'obbligo di essere accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo a fronte di una cessione di beni o di una prestazione di servizi e che indica, sullo strumento medesimo o nella relativa documentazione, i beni o i servizi da cedere o prestare o le identità dei potenziali cedenti o prestatori, ivi incluse le condizioni generali di utilizzo ad esso relative”.
Ai fini IVA, occorre inoltre distinguere tra:
- buono monouso, ovverosia quel buono in cui sin dalla sua emissione sono noti il regime IVA applicabile alla successiva operazione, l’identità del fornitore del bene o del servizio e la natura dell’operazione [5]. Tali buoni sono soggetti ad IVA, alla luce de fatto che sin dalla loro emissione è individuata l’operazione che verrà in seguito effettuata;
- buoni multiuso, qualora non sussista una delle condizioni relative ai buoni monouso esposte nel precedente punto [6]. Tali buoni non sono soggetti ad IVA, in quanto al momento della loro emissione non è noto il regime applicabile all’operazione che verrà in seguito effettuata, e di conseguenza tali buoni sono assimilati ad un mezzo di pagamento escluso da imposta.
5. Il regime IVA dei token ibridi: il criterio delineato dall’Amministrazione finanziaria
Al fine di discriminare in quale delle due categorie rientrino i token ibridi, l’Agenzia delle Entrate ha fatto riferimento alla finalità del token.
Più in dettaglio, laddove la finalità del token sia esclusivamente quella di fungere da mezzo di pagamento, questo rientrerà tra i currency token; in caso contrario, ovverosia se la finalità del token non sia unicamente quella di fungere da mezzo di pagamento, esso rientrerà tra gli utility token.
Tale orientamento dell’Agenzia delle Entrate trova fondamento nella già citata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale afferma che le operazioni relative a valute non tradizionali sono operazioni finanziarie se sono accettate tra le parti quale mezzo alternativo di pagamento rispetto alla moneta con valore liberatorio “e non abbiano altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento” [7].
Alla luce di tale principio, l’Amministrazione finanziaria ha qualificato la fattispecie oggetto di interpello come emissione di utility token, in quanto nell’ipotesi rappresentata dal contribuente non vi sarebbe l’esclusiva finalità dei token, al momento dell’emissione degli stessi, a fungere da strumenti di pagamento.
Infatti, nella fattispecie rappresentata il token fornisce la possibilità di utilizzare il prodotto o il servizio che l'emittente intende realizzare, in quanto solo a seguito dell’acquisto di tali token è possibile accedere ai servizi della blockchain “ALFA.network”, utilizzarne il logo e svolgere l’attività di nodo validatore.
6. Considerazioni conclusive
La conclusione a cui è giunta l’Amministrazione finanziaria, mediante il richiamo alla sentenza della Corte UE, fa leva, come descritto nei precedenti paragrafi, sulla valutazione della finalità del token al momento dell’emissione, e non si fonda (come peraltro sarebbe stato possibile) su un giudizio circa la prevalenza della finalità di strumenti di pagamento o meno: ciò che rileva è la presenza esclusiva o meno della finalità di pagamento.
Se tale soluzione può a prima vista sembrare piuttosto tranchant, essa parrebbe invero piuttosto equilibrata e conforme ai principi generali in materia di IVA, laddove si considera che le esenzioni IVA devono essere interpretate in maniera restrittiva, dato che esse costituiscono deroghe al principio generale secondo cui l’imposta si applica ad ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo IVA.
Inoltre, la soluzione delineata nella risposta ad interpello in commento ha il pregio di conferire maggiore certezza alla qualificazione dei token, in quanto un giudizio di prevalenza può presentare alcune complessità ed alcuni aspetti difficilmente interpretabili e classificabili in maniera univoca.
In altri termini, laddove un giudizio sulla prevalenza dell’una o dell’altra finalità comprende necessariamente una valutazione comparata, e non agevole, dei vari aspetti dello strumento analizzato, il riferimento all’esclusività della finalità di pagamento sembra invece in grado di ridurre sensibilmente tali incertezze. In questa prospettiva, infatti, è sufficiente la presenza di una pur minima finalità ultronea rispetto a quella di mezzo di pagamento per escludere la classificazione come currency token.
Tuttavia, è necessario osservare come il criterio delineato nella risposta ad interpello in commento non comporta chiaramente che si possa prescindere dall’effettuare un esame puntuale della fattispecie: tale analisi sarà pur sempre necessaria per individuare in concreto la finalità del token, e conseguentemente la corretta classificazione e il connesso regime IVA.
[1] A commento della risposta ad interpello n. 14/2018 si vedano C. Perno, Trattamento tributario dei token ceduti in sede di initial coin offering, in il fisco n. 47-48 / 2018, 4521 ss.; F. Gavioli, Cessione di “token digitali”: i profili fiscali, in Pratica Fiscale e Professionale n. 41/2018, 37 ss.
[2] E’ opportuno notare come la stessa Agenzia delle Entrate rilevi, nella risposta ad interpello, che “allo stato attuale non esiste una chiara e univoca legislazione in materia di token, che ne permetta una corretta qualificazione e definizione anche ai fini fiscali”.
[3] Cfr. A. Abagnale, B. Santacroce, Il bitcoin è «moneta», i trasferimenti sono esenti da Iva, ne Il Sole 24 Ore, 13 maggio 2018.
[4] Si veda al riguardo G. Renella, Rilevanza ai fini IVA dei trasferimenti dei buoni corrispettivo monouso, ne il fisco n. 14/2019, 1321 ss.
[5] Art. 6-ter DPR 633/72.
[6] Art. 6-quater DPR 633/72.
[7] CGUE, sentenza 22 ottobre 2015, causa C-264/14, par. 49.