1. Contesto normativo di riferimento
1.1. Contesto normativo comunitario: la Direttiva CRD IV
Con la Direttiva 2013/36/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento (cd. CRD IV) il legislatore dell’Unione ha delineato i tratti essenziali del vigente sistema sanzionatorio comunitario.
Ciò con il dichiarato intento di articolare misure sanzionatorie proporzionate, rafforzare l’efficacia dissuasiva di detto sistema e armonizzare la relativa disciplina, anche grazie al conferimento di poteri uniformi alle competenti Autorità degli Stati membri[1].
Gli studi effettuati dai Comitati di supervisione (i.e. CEBS, CEIOPS e CESR)[2], sulla base dei quali la Commissione Europea ha emanato la Comunicazione 716 dell’8 dicembre 2010 – “Potenziare i regimi sanzionatori nel settore dei servizi finanziari”, costituiscono un importante lavoro preparatorio transettoriale tale da mettere in luce numerose divergenze tra i regimi sanzionatori nazionali nel settore finanziario e suggerire possibili azioni a livello di UE, considerate idonee a favorire la convergenza e l’efficienza di detti regimi[3].
Con specifico riferimento all’ordinamento italiano, la portata fortemente innovativa dell’intervento discende dalle riforme introdotte in tema di destinatari delle sanzioni amministrative e di rideterminazione degli importi delle sanzioni pecuniarie, oltre che dalla previsione di misure sanzionatorie di natura non patrimoniale e dalla pressoché contestuale revisione del procedimento sanzionatorio a cura delle Autorità di Vigilanza.
1.2. Attuazione della CRD IV in Italia: D.Lgs. 72/2015 e normativa secondaria di riferimento
In Italia, la CRD IV ha determinato una importante revisione dell’apparato sanzionatorio disciplinato, a livello primario, dal D.Lgs. 1° settembre 1993 n. 385 (TUB) e dal D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (TUF) e, a suo tempo attuato, a livello secondario, con il provvedimento Banca d’Italia del 18 dicembre 2012 e con il regolamento adottato dalla Consob con delibera n. 18750 del 19 dicembre 2013.
In merito, il Parlamento ha emanato la Legge 7 ottobre 2014 n. 54, recante “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea –Legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre”.
In esecuzione della citata legge delega e tenendo conto dei principi e criteri direttivi ivi stabiliti (cfr. art. 3), il Governo ha emanato il D.Lgs. 12 maggio 2015 n. 72, che ha modificato, in maniera omogenea, il Titolo VIII (Sanzioni) del D.Lgs. 1° settembre 1993 n. 385 (TUB) e la Parte V (Sanzioni) del D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (TUF).
Quindi, in forza della delega regolamentare conferita a Banca d’Italia e Consob ai sensi degli artt. 145-quater TUB e 196-bis TUF, le Autorità di Vigilanza hanno apportato le conseguenti modifiche alle rispettive procedure sanzionatorie amministrative, con i seguenti provvedimenti:
– delibera Consob 24 febbraio 2016, n. 19521, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 55 del 7 marzo 2016 ed entrata in vigore l’8 marzo 2016;
– provvedimento Banca d’Italia 3 maggio 2016, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 114 del 17 maggio 2016 ed entrato in vigore il 1° giugno 2016.
2. Principali novità del vigente impianto sanzionatorio
2.1. Profili di carattere sostanziale
2.1.1. Destinatari delle sanzioni amministrative: introduzione di un sistema a “doppio binario”
2.1.1.a. Tra le novità più significative introdotte dalla CRD IV vi è il mutamento di impostazione e l’ampliamento del novero dei destinatari delle sanzioni amministrative, che ora ricomprende non solo (e non tanto) le persone fisiche quanto le persone giuridiche responsabili della violazione[4].
La necessità di favorire un avvicinamento tra i regimi sanzionatori nazionali in relazione a tale profilo era stata specificamente rilevata dalla Commissione Europea; segnatamente, nella citata Comunicazione 716 veniva evidenziato come «in alcuni Stati membri, le sanzioni vengono irrogate unicamente a persone fisiche o unicamente a persone giuridiche, che saranno quindi trattate in modo diverso, relativamente a una violazione specifica, a seconda dello Stato membro in cui viene commessa la violazione».
A giudizio della Commissione, invece, la possibilità di irrogare sanzioni alla persona giuridica beneficiaria della violazione, oltre a consentire l’armonizzazione della disciplina comunitaria in materia, avrebbe l’ulteriore vantaggio di «motivare l’istituto finanziario a prendere le misure organizzative e ad impartire al personale la formazione necessaria per prevenire le violazioni»[5].
In proposito, v’è da notare che dalla Comunicazione 716 non emerge una più dettagliata analisi di impatto, che forse sarebbe stata possibile anche tenendo conto del fatto che i sistemi nazionali già prevedevano in molti casi sanzioni in capo alle persone giuridiche e che la stessa legislazione italiana in materia di servizi di investimento era stata impostata, fino al 1996, in tal senso[6].
2.1.1.b. In Italia, comunque, tale impostazione ha comportato una radicale inversione di tendenza rispetto al passato prossimo, determinando il passaggio da un sistema generalmente fondato sulla punibilità della persona fisica a uno incentrato sulla punibilità della persona giuridica.
Da ultimo, infatti, il sistema sanzionatorio italiano prevedeva l’irrogazione della sanzione in capo agli esponenti aziendali: l’ingiunzione di pagamento veniva rivolta all’ente di appartenenza dell’esponente, sul quale gravava poi l’obbligo di agire in regresso nei confronti del soggetto responsabile della violazione[7].
D’ora in poi, invece, le sanzioni verranno applicate di regola agli enti e, soltanto quando l’inosservanza sia conseguenza della violazione di doveri propri o dell’organo di appartenenza e ricorrano specifiche condizioni elencate agli artt. 144-ter TUB e 190-bis TUF, alle persone fisiche (esponenti aziendali e personale).
La previsione, invero, non brilla – prima facie – nella parte in cui ipotizza una responsabilità individuale delle persone fisiche per violazione di doveri “dell’organo di appartenenza”. Il riferimento è, evidentemente, al ruolo dei consiglieri di amministrazione deleganti e dei sindaci (e figure assimilabili), in relazione ai quali l’ordinamento rifugge ormai fattispecie di mera responsabilità “da posizione”[8].
Quanto poi alle predette condizioni di punibilità individuale, esse sostanzialmente consistono in condotte che abbiano contribuito a determinare la mancata ottemperanza della persona giuridica a specifici provvedimenti dell’Autorità di Vigilanza ovvero in violazioni inerenti obblighi imposti ai sensi di specifiche previsioni ivi indicate (cfr. artt. 144-ter, comma 1, lett. b) e c), TUB e 190-bis, comma 1, lett. b) e c), TUF) o, ancora, ma soltanto in ambito finanziario, in condotte che abbiano provocato un grave pregiudizio per la tutela degli investitori o per l’integrità e il corretto funzionamento del mercato (cfr. seconda parte dell’art. 190-bis, comma 1, lett. a), TUF).
Orbene, in relazione alla prima delle condizioni sopra citate, il riferimento all’“aver contribuito” all’inottemperanza della persona giuridica appare criptico, poiché tale inottemperanza non può che essere determinata da condotte materialmente poste in essere dalle persone fisiche attraverso le quali la persona giuridica agisce, di talché v’è da pensare che la fattispecie in questione debba ancora una volta stemperarsi nel concetto della responsabilità ascrivibile all’individuo solo per colpa e fatto proprio.
Particolare attenzione merita, peraltro, l’ulteriore condizione che collega la responsabilità della persona fisica ad una non meglio identificata condotta che abbia «inciso in modo rilevante sulla complessiva organizzazione o sui profili di rischio aziendali […]» (cfr. prima parte degliartt. 144-ter, comma 1, lett. a), TUB e 190-bis, comma 1, lett. a), TUF).
Appare evidente, infatti, l’ampio margine discrezionale che le Autorità potrebbero esercitare in forza di una tale formulazione, invero assai generica e quindi potenzialmente idonea a costituire una fattispecie sanzionatoria “in bianco”.
Come noto, la regolamentazione bancaria e finanziaria contempla molteplici profili di rischio aziendale, mentre il concetto di “complessiva organizzazione” aziendale risulta di per sé sfuggente.
Tra l’altro, val la pena notare come la condizione sopra indicata stigmatizzi le violazioni per le conseguenze venutesi a determinare con riferimento ai soggetti vigilati, mentre finora, nei provvedimenti sanzionatori adottati, le Autorità consideravano in special modo circostanze a valenza esterna, quali “la rilevanza degli interessi protetti dalle norme violate”, “la diffusione delle conseguenze dannose, anche potenziali” o l’eventuale “rilievo sistemico” della società.
A nostro avviso, trattandosi di fattispecie sanzionatorie, la previsione in commento dovrà essere interpretata in senso rigorosamente restrittivo e circoscrivendone la portata ai soli casi di determinate condotte, che potrebbero essere quelle:
(i)tali da impattare sulla stabilità patrimoniale ovvero sulla sana e prudente gestione della società;
(ii) dolose o gravemente colpose e tali da impattare sulla strutturale idoneità della società stessa a garantire la corretta prestazione dei propri servizi.
Inoltre, dal punto di vista soggettivo, dovrebbe a nostro avviso rilevare l’effettiva funzione svolta dall’esponente all’interno della società, in concreto, dovendosi così individuare le persone che abbiano avuto un ruolo centrale nelle questioni contestate ed escludere sanzioni personali per presunte “responsabilità da posizione” degli altri esponenti aziendali o per coloro che – come tipicamente i dipendenti – abbiano svolto un ruolo gregario.
In merito ai profili di cui sopra, naturalmente, sarà fondamentale valutare, da un lato, i provvedimenti in concreto adottati dalle Autorità di Vigilanza e, dall’altro lato, l’atteggiamento della giurisprudenza chiamata a pronunciarsi in merito alla fondatezza o meno di tali provvedimenti.
In ogni caso, l’incipit «fermo restando quanto previsto per le società e gli enti nei confronti dei quali sono accertate le violazioni», contenuto negli artt. 144-ter TUB e 190-bis TUF, sembra sottolineare che la responsabilità delle persone fisiche sia aggiuntiva rispetto a quella delle persone giuridiche.
Peraltro, il confronto con la specifica disciplina dettata nell’ambito del sistema sanzionatorio degli abusi di mercato (cfr. art. 187-quinquies TUF), laddove la responsabilità dell’ente presuppone – inter alia – che l’illecito sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica, potrebbe suggerire in proposito ulteriori riflessioni.
2.1.1.c. In materia di soggetti destinatari della normativa in esame, rileva la scelta del legislatore italiano di estendere, in sede di recepimento, l’ambito di applicazione della nuova disciplina al di là quanto richiesto dalla Direttiva 2013/36/UE (avente a oggetto esclusivamente le violazioni commesse da banche e SIM), ricomprendendovi:
(i)tutti i soggetti destinatari della disciplina del TUB e del TUF; e
(ii)coloro cui l’ente abbia esternalizzato funzioni aziendali essenziali o importanti.
In relazione al punto sub (i), tale scelta si ascrive a una comprensibile esigenza di omogeneità ed efficienza del sistema e tiene senz’altro conto del processo di osmosi che da anni ormai caratterizza la normativa dettata per gli operatori del mercato bancario e finanziario (lasciando però fuori i soggetti operanti nel comparto assicurativo).
In relazione al punto sub (ii), invece, il legislatore italiano ha inteso porre fine all’annosa questione inerente la sanzionabilità di soggetti esterni all’organigramma aziendale dell’ente responsabile ma operanti per conto di quest’ultimo in qualità di outsourcer. La nuova formulazione degli artt. 144 TUB e 190 TUF sancisce infatti il criterio funzionale-oggettivo di attribuzione della responsabilità, condiviso da parte della giurisprudenza che si era pronunciata sull’argomento[9].
2.1.2. Sanzioni pecuniarie[10]– La soglia del fatturato
2.1.2.a. Tra le principali novità del nuovo sistema sanzionatorio, vi è poi la rideterminazione dell’entità delle sanzioni pecuniarie che le Autorità possono irrogare, a seconda del caso, alle persone fisiche e alle persone giuridiche.
In sostanza, sulla scorta di quanto previsto dalla CRD IV, il TUB e il TUF prevedono, per le ipotesi di violazione ivi specificate:
(i) nel caso di persona giuridica, sanzioni amministrative pecuniarie da euro 30.000 fino al 10% del fatturato (cfr. artt. 144 TUB e 190 TUF)[11];
(ii) nel caso di persona fisica, sanzioni amministrative pecuniarie da euro 5.000 fino a euro 5.000.000 (cfr. artt. 144-ter TUB e 190-bis TUF); e
(iii) nel caso in cui il vantaggio ottenuto dall’autore della violazione sia superiore al massimo edittale, sanzioni amministrative pecuniarie fino al doppio dell’ammontare del beneficio derivante dalla violazione, purché tale beneficio sia determinabile (cfr. artt. 144 TUB e 190 TUF).
Tale sistema è stato immediatamente considerato dalle Autorità di Vigilanza italiane, anche nell’ambito di procedimenti di opposizione a sanzioni pendenti in giudizio, come un inasprimento rispetto al sistema previgente.
La questione, tuttavia, appare fortemente opinabile e, invero, dai lavori parlamentari emergono precisi segnali di senso contrario, laddove il passaggio al nuovo sistema sanzionatorio viene espressamente considerato «un regime più favorevole per gli esponenti aziendali» (cfr. relazione illustrativa di accompagnamento al D.lgs. 72/2015, su cui infra par. 2.2.3.)
Del resto, lo scopo dell’intervento del legislatore comunitario è stato di garantire un sufficiente grado di dissuasività delle sanzioni applicabili all’interno del mercato comune[12], tendendo ad annullare il vantaggio che i responsabili possano trarre dalla violazione commessa[13].
Chiaramente, il tema è di fondamentale importanza in relazione alla possibilità di estendere il principio del favor rei alle sanzioni amministrative irrogate da Banca d’Italia e Consob (cfr. infra par. 2.2.3.).
2.1.2.b. Particolare attenzione merita la nozione di fatturato, che assume rilievo sotto un duplice profilo: quale grandezza di riferimento per il calcolo del massimale della sanzione pecuniaria amministrativa applicabile alla persona giuridica e quale concetto utile ai fini della determinazione della capacità finanziaria dell’ente (i.e.,uno dei parametri di cui può tenersi conto per calcolare l’importo della sanzione tra il minimo e il massimo: cfr. infra par. 2.1.3.).
Anche la commisurazione delle sanzioni pecuniarie in relazione al fatturato costituisce una novità di derivazione europea; novità che – in attuazione del principio di proporzionalità e con il fine di garantire una sufficiente dissuasività delle sanzioni, in particolare per gli enti di maggiori dimensioni – consente di parametrare l’importo della sanzione alle dimensioni del soggetto attivo della violazione.
Peraltro, le norme introdotte nel TUB e TUF dal D.lgs. 72/2015 non contengono una definizione di “fatturato”, né forniscono alcun elemento utile ai fini della sua individuazione.
Sul punto, la citata legge delega – nell’ambito dei principi e criteri direttivi dettati per il recepimento della CRD IV – ha previsto che fosse attribuito a Banca d’Italia e Consob «secondo il vigente riparto di competenze, il potere di definire disposizioni attuative, con riferimento, tra l’altro, alla definizione della nozione di fatturato utile per la determinazione della sanzione […]» (cfr. art. 3, comma 1, lett. m, n. 4).
Pertanto, in sede di modifica dei rispettivi procedimenti sanzionatori, le Autorità di Vigilanza hanno specificato i criteri di calcolo del fatturato rilevante ai fini di cui sopra, tenendo conto della diversa struttura di bilancio degli enti interessati, distinguendo tra banche e altri intermediari finanziari, imprese di assicurazione e di riassicurazione e altre imprese[14].
2.1.3. Criteri di determinazione delle sanzioni pecuniarie
La CRD IV ha fissato taluni criteri fondamentali comuni da applicare in sede di determinazione delle sanzioni da irrogare in caso di violazione della normativa di settore[15].
I nuovi artt. 144-quater TUB e 194-bis TUF esplicitano il dovere dell’Autorità di considerare «ogni circostanza rilevante» e contengono altresì un elenco esemplificativo di principi da seguire, elemento questo che, auspicabilmente, dovrebbe ridurre la discrezionalità – e, non di rado, la disparità di trattamento – che in passato hanno caratterizzato i provvedimenti dell’Autorità di Vigilanza[16].
Sul punto, vale la pena notare che il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 25, di attuazione della direttiva 2013/50/UE (cd. nuova Transparency), e il D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 71, di attuazione della Direttiva 2014/91/UE (cd. UCITS V), hanno – inter alia – modificato il solo art. 194-bis TUF. In particolare, è stato previsto che le Autorità di Vigilanza debbano tener conto dei criteri ivi indicati anche per stabilire il “tipo” di sanzioni da applicare al caso concreto (i.e. pecuniaria ovvero non pecuniaria) ed è stato indicato un ulteriore criterio da considerare in sede di determinazione delle sanzioni, consistente nelle «misure adottate dal responsabile della violazione, successivamente alla violazione stessa, al fine di evitare, in futuro, il suo ripetersi» (cfr. comma 1, lett. h-bis).
La previsione di criteri predeterminati, da impiegare per la determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria da parte delle Autorità di Vigilanza non rappresenta comunque una sostanziale novità nel panorama sanzionatorio italiano.
Infatti, la graduazione tra i minimi e i massimi edittali previsti in relazione alle singole fattispecie di illecito doveva già avvenire sulla base dei criteri fissati dall’art. 11 della legge 689/1981[17].
2.2. Profili di carattere procedurale
2.2.1. Estensione del contraddittorio anche oltre la fase istruttoria
Sul piano procedurale, importante elemento di novità nel sistema sanzionatorio bancario è rappresentato dall’introduzione di una ulteriore fase di contraddittorio che si colloca al di là della fase istruttoria[18].
Al paragrafo 1.5, Sezione II, del provvedimento Banca d’Italia del 18 dicembre 2012 è stato infatti disposto l’invio ai soggetti interessati[19] della proposta formulata dal servizio CRE al Direttorio e la possibilità per tali soggetti di «trasmettere al Direttorio sintetiche osservazioni scritte» in ordine all’anzidetta proposta.
A giudizio dell’Autorità di Vigilanza il fondamentodi tale scelta va rintracciato nella necessità di garantire agli interessati una più ampia articolazione delle proprie difese anche nella fase finale del nuovo procedimento sanzionatorio in ragione del «significativo aumento degli importi delle sanzioni pecuniarie e [del]la diversificazione degli strumenti a disposizione della Banca d’Italia»[20].
Tuttavia, al di là di quanto precisato in sede di consultazione, occorre ricordare il rilevante contenzioso da tempo insorto, con riferimento al pregresso sistema, in punto di giusto procedimento e, segnatamente, di esercizio del diritto di difesa dell’incolpato nella fase successiva il completamento dell’istruttoria.
Tale contenzioso è insorto originariamente con riferimento al procedimento sanzionatorio Consob.
Al riguardo, parte della giurisprudenza di merito si era inizialmente espressa nel senso di considerare violato il principio del contraddittorio in relazione alla fase istruttoria e a quella decisoria[21]; inoltre, sovente veniva rilevata l’impossibilità per gli interessati di presentare eventuali osservazioni rispetto alle valutazioni e conclusioni formulate dall’Ufficio proponente, le quali neppure venivano portate a loro conoscenza.
Nel 2009, il problema della carenza del contraddittorio nell’ambito del procedimento sanzionatorio della Consob è stato esaminato con la sentenza n. 20935 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali si sono espresse dichiarandone la piena legittimità[22].
Successivamente, peraltro, anche alla luce della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 4 marzo 2014 (caso “Grande Stevens”), la giurisprudenza amministrativa ha espresso un diverso avviso, specificamente rilevando e analiticamente motivando la difformità del procedimento sanzionatorio Consob rispetto al principio del giusto procedimento[23].
Anche la dottrina più accorta ha ripetutamente sollevato critiche sui procedimenti sanzionatori Banca d’Italia e Consob, lamentandone sotto vari profili la carenza di legittimità[24].
Sarà interessante valutare le pronunce della giurisprudenza, in special modo con riferimento a casi di concreta lesione del diritto di difesa o di non approfondita disamina delle ragioni addotte dai soggetti interessati[25].
2.2.2. Il regime di pubblicità del provvedimento sanzionatorio
In considerazione dell’effetto deterrente nei confronti di potenziali autori di future trasgressioni ascrivibile alla pubblicità dei provvedimenti sanzionatori, il legislatore europeo ha previsto un generale obbligo di pubblicazione delle sanzioni irrogate, salvo il ricorrere di specifiche circostanze predefinite[26].
In proposito, l’art. 68 della CRD IV ha previsto la possibilità per gli Stati membri di adottare un sistema di pubblicazione delle sanzioni ricomprendente anche quelle avverso le quali sia stato presentato ricorso (con indicazione delle informazioni sullo stato del ricorso e sul relativo esito).
Il D.Lgs. 72/2015 – introducendo formulazione analoga nel TUB e nel TUF – ha optato per tale approccio di tipo estensivo, che si caratterizza per essere più rigido e ampio, in quanto prevede che vengano rese di pubblico dominio anche le sanzioni che non abbiano ancora acquisito carattere di definitività.
Inoltre, conformemente a quanto previsto dalla Direttiva, gli artt. 145 TUB e 195-bis TUF prevedono che la pubblicazione del provvedimento sanzionatorio – al ricorrere di date circostanze ivi indicate – possa avvenire in forma anonima o essere differita.
Le citate previsioni, peraltro, differiscono su un punto: solo l’art. 195-bis TUF, come di recente modificato dal citato D.Lgs. 71/2016 – e non anche l’art. 145 TUB – consente all’Autorità di Vigilanza di escludere la pubblicazione del provvedimento qualora – anche optando per la pubblicazione in forma anonima o differita – la stessa possa mettere a rischio la stabilità dei mercati finanziari o arrecare un danno sproporzionato al soggetto responsabile della violazione.
2.2.3. Regime transitorio – Principio del favor rei: la scelta del legislatore e le prime convalide della giurisprudenza
La legge delega 7 ottobre 2014 n. 54, nell’indicare i principi e criteri direttivi per il recepimento della CRD IV, ha previsto che, in relazione alla nuova disciplina sanzionatoria da adottare, si dovesse «valutare l’estensione del principio del favor rei ai casi di modifica della disciplina vigente al momento in cui è stata commessa la violazione» (cfr. art. 3, comma 1, lett. m), n. 1).
Dalla relazione illustrativa di accompagnamento al D.lgs. 72/2015 emerge come tale tematica sia stata oggetto di discussione e di approfondimento nelle competenti sedi.
In particolare, nell’ambito di tale relazione si osserva che «il principio del favor rei rende le disposizioni più favorevoli entrate in vigore dopo il momento in cui è stata commessa la violazione applicabili a tutti i procedimenti sanzionatori ancora sub iudice. È plausibile che il passaggio da una disciplina imperniata sulla responsabilità delle persone fisiche ad una basata sulla responsabilità delle persone giuridiche […]sia ritenuto un regime più favorevole per gli esponenti aziendali».
Tuttavia, sebbene il principio del favor rei sia stato espressamente qualificato quale “principio di civiltà giuridica”, la relazione – evidenziate le criticità di un “suo riconoscimento nel contesto della trasposizione della CRD4” – finisce con l’accantonarlo, sul presupposto che le sanzioni comminate ai sensi del TUB e del TUF siano qualificabili come amministrative, anziché come sostanzialmente penali, ma soprattutto perché, ritenendo il nuovo regime più favorevole, «tutti i procedimenti in corso verrebbero quindi azzerati».
Il D.lgs. 72/2015 prevede dunque un regime transitorio ai sensi del quale le modifiche apportate al TUB e al TUF, in sede di recepimento della CRD IV, dovranno applicarsi alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore della disciplina secondaria adottata, rispettivamente, dalla Banca d’Italia e dalla Consob; mentre alle violazioni commesse prima dell’entrata in vigore delle predette disposizioni di attuazione continueranno ad applicarsi le norme del previgente regime sanzionatorio (cfr. artt. 2, comma 3, e 6, comma 2).
Manca tuttavia una espressa esclusione dell’applicazione del principio del favor rei, cosicché è immediatamente apparso lecito domandarsi se le citate norme del D.lgs. 72/2015 debbano essere interpretate come limitate alle disposizioni di carattere processuale/procedurale, e non riferite anche a quelle di carattere sostanziale, o se invece debbano intendersi come espressione della volontà del legislatore di escludere l’applicabilità del predetto principio alle ipotesi in esame.
Tanto più tenuto conto del fatto che la giurisprudenza, europea e nazionale amministrativa, pronunciatasi in argomento è orientata nel ritenere sostanzialmente penali dette sanzioni, con motivazioni sorte in merito alla disciplina del cd. market abuse, ma aventi valore di principio e quindi, a nostro avviso, applicabili con portata generale[27].
Di diverso avviso è la giurisprudenza italiana di legittimità, la quale, sino a oggi, ha escluso la generale rilevanza del principio del favor rei in materia amministrativa: a giudizio della Suprema Corte, i concetti espressi dalla CEDU con la nota sentenza 4 marzo 2014 (Grande Stevens ed altri c. Italia) non sarebbero tali da poterne ricavare un principio di generale equiparazione della sanzione (formalmente) amministrativa a quella penale[28].
Allo stato, pertanto, si registra un approccio conservativo, che si auspica possa essere oggetto di ripensamento da parte della Suprema Corte in presenza di presupposti tali da legittimare, in concreto, l’applicazione del nuovo, più favorevole, regime[29].
[1] Cfr. considerando n. 35 e 41 della CRD IV: «per assicurare l’osservanza degli obblighi imposti dalla presente direttiva e dal regolamento (UE) n. 575/2013 da parte degli enti, di coloro che controllano effettivamente l’impresa e dei membri dei loro organi di gestione e per assicurare lo stesso trattamento in tutta l’Unione, occorre che gli Stati membri siano tenuti a prevedere sanzioni amministrative e altre misure amministrative che siano effettive, proporzionate e dissuasive […]»; «la presente direttiva dovrebbe prevedere le sanzioni amministrative e le altre misure amministrative al fine di assicurare che l’azione esercitata a seguito di una violazione abbia il maggior ambito di applicazione possibile e di contribuire ad impedire ulteriori violazioni, a prescindere dalla loro definizione come sanzione amministrativa o altra misura amministrativa a norma del diritto nazionale» (sottolineato aggiunto).
[2] Con decorrenza dal 1° gennaio 2011, i tre Comitati di supervisione (CEBS, CESR e CEIOPS) sono stati sostituiti con altrettante Autorità Europee di Vigilanza: EBA (European Banking Authority), ESMA (European Securities and Markets Authority) ed EIOPA (European Insurance and Occupational Pensions Authority).
[3] La Comunicazione 716 ha rilevato – inter alia – le seguenti divergenze e carenze dei regimi sanzionatori degli Stati membri: (i) alcune autorità competenti non dispongono di poteri sanzionatori importanti relativamente a determinate violazioni; (ii) i livelli delle sanzioni amministrative pecuniarie (ammende) differiscono considerevolmente a seconda degli Stati membri e sono troppo bassi in alcuni di essi; (iii) alcune autorità competenti non possono irrogare sanzioni amministrative a persone sia fisiche che giuridiche; (iv) le autorità competenti non seguono gli stessi criteri nell’applicare le sanzioni; (v) esistono divergenze per quanto riguarda la natura delle sanzioni (amministrative o penali) previste dal diritto nazionale; (vi) il livello di applicazione delle sanzioni varia a seconda degli Stati membri.
[4] In tal senso, l’antecedente si rinviene nella Direttiva 2009/138/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009 in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (cd. Solvency II), con la quale veniva precisato che «le autorità di vigilanza hanno il potere di adottare qualsiasi misura necessaria, laddove appropriato anche di natura amministrativa o finanziaria, nei confronti delle imprese di assicurazione o di riassicurazione e dei membri dei loro organi amministrativi, direttivi o di vigilanza» (cfr. art. 34; sottolineato aggiunto).
[5] Cfr. Comunicazione della Commissione Europea 716 dell’8 dicembre 2010 – “Potenziare i regimi sanzionatori nel settore dei servizi finanziari”.
[6] Val la pena ricordare che la Legge 2 gennaio 1991, n. 1 (“Disciplina dell’attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull’organizzazione dei mercati mobiliari”) aveva previsto sanzioni amministrative pecuniarie a carico delle società, mentre l’emanazione del D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415 ha determinato il passaggio a un sistema incentrato sulla sanzionabilità delle persone fisiche esponenti delle società medesime (cfr. art. 43). Tale impostazione è poi confluita nel TUF e rimasta immutata – nella sostanza – fino al recepimento delle modifiche di recente dettate dalla CRD IV.
[7] La Suprema Corte di Cassazione si è di recente espressa in merito alla natura dell’azione di regresso prevista dal previgente art. 195, comma 9, del TUF, pronunciando il seguente principio di diritto: «l’azione di regresso prevista dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 9 ha natura di obbligazione accessoria ex lege, come tale, inderogabile stante la natura degli interessi alla trasparenza del mercato finanziario ed alla tutela del risparmio a copertura costituzionale. Ne consegue che la delibera con cui le società e gli enti che operano nel mercato finanziario rinunziano all’azione di regresso, disciplinata dalla suddetta norma imperativa, è nulla per violazione dell’art. 1418 c.c.» (cfr. Cassazione civile, sez. lav., 31 marzo 2016, n. 6255).
[8] Trattasi di annosa e dibattuta questione, risolta in diritto societario con la riforma del 2003 (cfr. Relazione alla legge 3 ottobre 2001, n. 366, par. 6.III.4., la quale sottolinea che la responsabilità di amministratori, sindaci e revisori contabili è «responsabilità per colpa e per fatto proprio») e da considerarsi ormai acquisita anche in ambito bancario e finanziario (cfr. intervento di C. Barbagallo, in occasione del convegno “L’impresa bancaria: i doveri e le responsabilità degli amministratori” organizzato dall’Associazione Bancaria Italiana del 26 marzo 2014, dal titolo “Doveri e responsabilità degli amministratori delle banche: il punto di vista della Banca d’Italia”: «come confermato dalla giurisprudenza, le fattispecie sanzionatorie presuppongono sempre che la violazione sia imputabile all’autore a titolo di dolo o di colpa, in ragione di una sua azione od omissione cosciente e volontaria. La Banca d’Italia pone attenzione al fatto che, pur a fronte della progressiva dilatazione dei compiti del Consiglio di amministrazione e di una azione di Vigilanza sempre più incisiva, non si vada a sanzionare una responsabilità meramente oggettiva degli amministratori.
Nell’ambito del sistema sanzionatorio, la responsabilità che scaturisce da atti compiuti dagli amministratori individualmente, in quanto titolari di deleghe di poteri o di particolari cariche (es. Presidente), si distingue da quella che essi assumono in ragione della propria azione o omissione in seno all’organo consiliare di cui fanno parte».
[9] Cfr. Cassazione civile 6 marzo 1999, n. 1925; Cassazione civile 14 settembre 1999, n. 9795 e Cassazione civile 12 marzo 2008, n. 6719.
[10 ]Discorso a parte meritano le misure a carattere non patrimoniale (“altre misure amministrative” si legge nella CRD IV) che vanno ad arricchire lo strumentario a disposizione delle Autorità di Vigilanza, che nel sistema italiano previgente era limitato alle sole sanzioni pecuniarie.
[11] Successivamente, peraltro, il D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 71, di attuazione della Direttiva 2014/91/UE (cd. UCITS V), ha – inter alia – modificato il solo art. 190 TUF, prevedendo che il criterio del fatturato trovi applicazione soltanto laddove il 10% del fatturato dell’ente responsabile sia superiore a cinque milioni di euro e il fatturato sia disponibile e determinabile.
[12] Cfr. Comunicazione 716 della Commissione Europea: «per dissuadere un operatore di mercato razionale dal commettere infrazioni, occorre controbilanciare la possibilità che una violazione non venga scoperta mediante un’ammenda che possa ragionevolmente essere considerata superiore ai benefici finanziari potenziali derivanti da una violazione, anche laddove tali benefici non possano essere calcolati, partendo dal presupposto che un operatore di mercato razionale tenga conto della probabilità di essere scoperto nel decidere se commettere una violazione e che non tutte le violazioni siano effettivamente individuate».
[13] Cfr. considerando n. 36 della CRD IV: «[…] le autorità competenti dovrebbero essere autorizzate a irrogare sanzioni pecuniarie amministrative sufficientemente elevate da annullare i benefici attesi e da essere dissuasive anche per gli enti di maggiori dimensioni e per i loro dirigenti».
[14] Cfr. Sezione II, par. 1.6 del provvedimento Banca d’Italia del 18 dicembre 2012 e Appendice al regolamento adottato dalla Consob con delibera n. 18750 del 19 dicembre 2013.
[15] In proposito, cfr. Comunicazione 716 della Commissione Europea: «nella maggior parte dei settori esistono divergenze tra i fattori di cui le autorità competenti devono tener conto nel decidere il tipo di sanzione amministrativa e/o nel calcolare l’importo delle sanzioni amministrative pecuniarie da applicare in un caso specifico. […] L’efficacia, la proporzionalità e la dissuasività delle sanzioni dipendono anche dai fattori, comprese le circostanze aggravanti o attenuanti, di cui le autorità competenti tengono conto nel decidere le sanzioni da applicare all’autore di una violazione specifica»; cfr. anche considerando 37 della CRD IV: «al fine di assicurare l’applicazione uniforme delle sanzioni amministrative o delle altre misure amministrative negli Stati membri, nel determinare il tipo di sanzione amministrativa o altra misura amministrativa e il livello delle sanzioni amministrative pecuniarie, gli Stati membri dovrebbero essere tenuti ad assicurare che le autorità competenti prendano in considerazione tutte le circostanze del caso».
[16] Come si legge nel documento di consultazione sul “Regolamento sul procedimento sanzionatorio della Consob” del 5 agosto 2013, la stessa Consob ha in passato avvertito l’esigenza di intervenire sul proprio procedimento sanzionatorio per conseguire «una maggiore omogeneità e uniformità nella valutazione dei fatti oggetto dei procedimenti, consentendo in tal modo anche una più efficace attuazione del principio di parità di trattamento dei soggetti interessati».
[17] Art. 11 della legge 689/1981: «nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche».
[18] Già presente da tempo nel sistema sanzionatorio della Consob, la quale, con delibera n. 19158 del 29 maggio 2015, sulla spinta delle numerose istanze avanzate (in sede giudiziaria e dottrinaria) in ordine alla possibilità per l’incolpato di conoscere la relazione dell’Ufficio Sanzioni Amministrative prima che su di essa si pronunci la Commissione e di dedurre sui contenuti di tale documento, ha deciso di introdurre nel proprio procedimento sanzionatorio una ulteriore fase di contraddittorio, avente a oggetto la predetta relazione.
[19] Dubbi potrebbero sorgere in relazione alla scelta della Banca d’Italia di non estendere la facoltà di presentare deduzioni al Direttorio sulla proposta del Servizio CRE anche ai soggetti che non abbiano partecipato all’istruttoria attraverso le controdeduzioni e/o l’audizione personale. In merito alle ragioni sulle quali si basa tale impostazione, nella tavola di resoconto alla consultazione dell’aprile 2016 si legge: «la possibilità di un ulteriore contraddittorio con l’organo decidente non elimina, ma anzi presuppone, l’avvio del confronto sui fatti oggetto della contestazione attraverso l’espletamento di attività difensiva istruttoria» (sottolineato aggiunto). Analoga previsione è contenuta nel regolamento adottato dalla Consob con delibera n. 18750 del 19 dicembre 2013 (cfr. art. 8).
[20] In tal senso, cfr. documentodi settembre 2015 con il quale sono state sottoposte a consultazione pubblica le modifiche al provvedimento Banca d’Italia del 18 dicembre 2012.
[21] Cfr., ad esempio,Corte d’Appello di Genova, Sezione I, 21 febbraio 2008, Sivori e Partners SIM ed altro c/ CONSOB.
[22] Cfr. SS. UU. 20935/09; in senso conforme, SS. 20936/09, 20937/09, 20938/09 e 20939/09.
[23] Cfr. Cons. St. 1596/2015; Cons. St. 1595/2015.
[24] Cfr. S. Grossi, Il procedimento sanzionatorio della CONSOB al vaglio delle Corti di merito, in Le società, 7/2008, p. 864; A. Tonetti, Il nuovo procedimento sanzionatorio della CONSOB, in Giorn. Dir. Amm., 11, 2005, 1231.Cfr. anche M.A. Impinna, Nota a Corte Costituzionale 15 aprile 2014, n. 94, in Giur Comm., 2015, p. 11/II ss. (secondo cui le critiche che sono state mosse al procedimento Consob, evidentemente, debbono integralmente valere anche «per il procedimento che si svolge dinnanzi alla Banca d’Italia data la similarità delle struttura procedimentale») e P. Montalenti, Abusi di mercato e procedimento Consob: il caso Grande Stevens e la Sentenza CEDU, in Giur. Comm., n. 3/2015, 478 ss. (secondo cui «la questione del principio del contraddittorio si pone […]in modo analogo [anche] con riferimento alle Disposizioni di vigilanza in materia di sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa della Banca d’Italia del 18 dicembre 2012» le quali risultano «viziate […]sotto il medesimo profilo e per le medesime ragioni che costituiscono il fondamento della censura CEDU e della predominante dottrina al Regolamento Consob»).
[25] Sul punto, cfr. SS. UU. 20935/09 (chi lamenta la violazione del diritto di difesa deve «dimostrare una concreta ed effettiva lesione del diritto di difesa specificamente conculcato o compresso dall’azione sanzionatoria»); in senso conforme, SS. 20936/09, 20937/09, 20938/09 e 20939/09.
[26] Cfr. considerando n. 38 della CRD IV: «per assicurare che [le sanzioni amministrative e le altre misure amministrative] abbiano un effetto dissuasivo, esse dovrebbero essere normalmente pubblicate, ad eccezione di determinate circostanze ben definite».
[27] Cfr. sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 4 marzo 2014 – caso “Grande Stevens” e Consiglio di Stato 26 marzo 2015, n. 1596.
[28] In tal senso, cfr., da ultimo, Cassazione civile, Sez. I, 2 marzo 2016 n. 4114 («il citato principio dell’applicazione immediata della legge più favorevole (cd. favor rei), per consolidata giurisprudenza non si estende alla materia delle sanzioni amministrative, che risponde, invece, salvo distinta e specifica disposizione di legge, al principio tempus regit actum […] E a diversa conclusione non sembra potersi pervenire in base a quanto affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (hinc Cedu) nella nota sentenza 4-3-2014 (causa Grande Stevens c. Italia) […]. La citata decisione ha trattato il tema del ne bis in idem e del diritto a un equo processo […]. Sembra abbastanza evidente che ciò che costituisce ambito specifico di intervento della Corte europea è il riferimento alle regole del “giusto processo”, da applicare anche al procedimento sanzionatorio che preveda conseguenze patrimoniali rilevanti; in tal limitato senso, dunque, quel procedimento sanzionatorio è considerato suscettibile di rientrare in un concetto lato di “materia penale”. Il che tuttavia non può legittimare, di per sé, l’estensione in ogni campo dei principi propri della materia penale ai diversi principi invece propri della materia degli illeciti amministrativi. […] I principi convenzionali declinati dalla citata sentenza Grande Stevens vanno considerati nell’ottica del giusto processo, ma non possono portare a ritenere sempre sostanzialmente penale una disposizione qualificata come amministrativa dall’ordinamento interno») e Cassazione civile, Sez. I, 30 giugno 2016 n. 13433 («svalutando il nomen juris, in favore di un’interpretazione sostanzialistica, [la Corte Europea] procede, infatti, ad autonome ridefinizioni, che l’hanno portata a qualificare come penali misure di carattere punitivo, se capaci di incidere pesantemente nella sfera soggettiva degli individui. […] Sul punto, è peraltro da rilevare come tale enunciazione avvenga sempre in ordine a casi e problemi specifici (case law): con un approccio pragmatico che non si presta a generalizzazioni concettuali oltre i limiti dell’oggetto del singolo giudizio. […] Per contro, l’ipostatizzazione in termini assoluti ed astratti del principio di equiparazione della sanzione amministrativa a quella penale, estrapolato da una pronuncia della Corte europea fortemente aderente ai connotati specifici di una fattispecie concreta, porterebbe ineluttabilmente ad antinomie incompatibili con principi financo di rango costituzionale, oltre che di consolidata tradizione concettuale. […] Ne consegue, in ultima analisi, che l’assimilazione della sanzione irrogata dalla Consob ad un sanzione di tipo penale, affermata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella citata sentenza Grande Stevens c. Italia, con riferimento specifico al divieto “ne bis in idem”, in forza della ritenuta identità del fatto materiale allora all’esame, non vale ad enucleare, per ipostasi, un principio generale di equiparazione: tale, da estendere, nella diversa fattispecie oggetto del presente giudizio, il principio – di natura eccezionale – della retroattività dello jus superveniens: tanto meno, quando questo neppure possa essere qualificato lex mitior»).
[29] In proposito, val la pena segnalare come non manchino, nel nostro ordinamento, esempi di applicazione del principio del favor rei in ambito amministrativo. Emblematica la disciplina tributaria, ove – pur rimanendo nel campo delle violazioni di natura lato sensu finanziaria – il legislatore ha espressamente previsto l’applicazione della legge più favorevole (salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo) e l’Amministrazione competente, al fine di stabilire quale sia la norma effettivamente più favorevole, applica i principi generali seguiti nel diritto penale tenendo conto delle peculiarità del diritto tributario.