La Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza in oggetto, ha occasione di ribadire due consolidati principi di diritto e trarne i dovuti corollari concreti.
In primo luogo, la Corte di Cassazione chiarisce che il provvedimento che rigetta l’istanza di fallimento è privo di attitudine a costituire cosa giudicata, e dunque non è ipotizzabile una relativa preclusione. È pertanto possibile che, dopo il rigetto di una prima istanza, il fallimento sia dichiarato sulla base della medesima situazione “su istanza di un diverso creditore ovvero sulla base di elementi sopravvenuti, preesistenti ma non dedotti e anche di prospettazione identica a quella respinta, su istanza del medesimo creditore” (cfr. Cass. 21/12/2010, n. 25818; Cass. 14/10/2009, n. 21834).
A tale stregua, la Corte afferma che anche il pubblico ministero (il quale, al pari di ogni creditore, è titolare dell’iniziativa per la dichiarazione di fallimento), “può sempre riproporre l’istanza di fallimento che sia stata in precedenza respinta dal tribunale nei confronti del medesimo soggetto, pure in assenza di fatti nuovi comprovanti la sussistenza dei requisiti oggettivi o soggettivi di fallibilità dell’imprenditore e, quindi, a maggior ragione, anche nel caso in cui siano invece emersi nuovi elementi di prova”.
Con riferimento al secondo profilo, la Suprema Corte ribadisce poi il consolidato principio di diritto per cui il fittizio trasferimento della sede sociale all’estero non comporta il venir meno della giurisdizione del giudice italiano, ove si dimostri che, nel concreto, la sede effettiva dell’impresa sia rimasta in Italia.
Inoltre, qualora la cancellazione di una società dal registro delle imprese italiano derivi da circostanze diverse dall’avvenuta liquidazione dell’ente o da altre cause di cessazione dell’impresa da cui discenda ex lege la cancellazione, e pertanto si possa ritenere una continuazione dell’attività di impresa in Stato diverso, non trova applicazione l’art. 10 l.f. e, pertanto, non inizierà a decorrere il relativo termine.
Da ultimo, la Corte di Cassazione rileva poi che, per l’accertamento del carattere fittizio del trasferimento, è sufficiente fornire la prova contraria alle risultanze della pubblicità legale relative alla sede dell’impresa non occorrendo, di contro, ottenere apposita pronuncia del giudice del registro.