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Attualità

La Relazione per l’anno 2018 della Corte dei Conti sugli organismi partecipati dagli enti territoriali. Prime considerazioni pratiche.

4 Febbraio 2019

Domenico Gaudiello, Partner, Responsabile del dipartimento di Finanza Pubblica, CMS

Di cosa si parla in questo articolo

La Relazione della Corte dei Conti sugli organismi partecipati dagli enti territoriali per l’anno 2018, contenuta nella Deliberazione n. 23/SEZ.AUT/2018/FRG, resa pubblica qualche giorno fa, presenta conclusioni per molti versi sbalorditive.

Molte delle società partecipate contano più amministratori che dipendenti, o piuttosto perseguono uno scopo sociale diverso da quello dichiarato, o addirittura esistono solo sulla carta, ma di esse non si rivengono né bilanci né scopi. Ma non è tutto.

Il dato che più preoccupa si rinviene nelle effettive attività svolte dagli organismi partecipati. Ed invero, sotto la lente di ingrandimento sono finite in modo particolare quelle società a partecipazione pubblica che svolgono attività creditizia, e che, per le loro funzioni, si trovano a gestire una quantità impressionante di denaro pubblico.

Sul punto la Corte dei Conti ha rilevato che la gran parte delle società a totale partecipazione pubblica – con una prevalenza netta per le società del Settentrione- presentano un bilancio negativo con una ‘netta prevalenza dei debiti sui crediti’. Nella relazione si legge infatti che “dagli esiti della revisione straordinaria emerge che il 37,35% versa in condizioni da richiedere un intervento di razionalizzazione da parte dell’ente proprietario“.

Come se non bastasse, la Corte dei Conti ha individuato un secondo dato allarmante, rappresentato dall’indiscriminato ricorso allo strumento dell’affidamento diretto effettuato dall’Ente controllante in favore delle sue controllate. I numeri evidenziati dalla Corte dei Conti sono impietosi: su oltre 15.000 affidamenti, solo 828 sono in favore di società terze e 146 in favore di società mista, con gara a doppio oggetto. In poche parole, in spregio al principio di competizione, concorrenza ed efficienza, gli Enti Territoriali affidano- molto spesso senza gara- alle proprie controllate numerosi contratti di servizio, raggirando di fatto le norme sulle gare competitive.

A ciò si aggiunga la circostanza per cui in molti casi le società partecipate operano “quale centro di coordinamento ed attuazione dell’attività finanziaria delle Regioni”, gestendo di fatto fondi propri, fondi pubblici e/o fondi reperiti sul mercato- anche mediante strumenti finanziari innovativi-, e sottraendo di fatto al controllo della Regione un imponente flusso di denaro. In tal modo le sezioni di controllo della Corte dei Conti hanno registrato un ampliamento delle attività delle società partecipate che, quasi sempre, esula dall’oggetto sociale delle partecipate medesime, nei fatti esecutrici materiali delle politiche di sviluppo dell’ente territoriale controllante.

Se si considera poi che molti di questi organismi non rispettano i requisiti di cui all’art. 24 del TUSP (Testo Unico sulle Società a Partecipazione pubblica), e dunque dovrebbero essere liquidati, può ben comprendersi la forte apprensione che affiora dalle pagine della Relazione 2018 della Corte dei Conti.

In particolare, il richiamato articolo 24 del TUSP prevede che dovrebbero essere liquidate o “razionalizzate” (cioè fuse o incorporate) tutte quelle partecipate che: a) presentano un risultato di esercizio negativo per quattro volte nel quinquennio precedente; b) hanno ad oggetto un’attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessaria alle prosecuzione delle finalità istituzionali dell’ente controllante; c) sono prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti, d) posseggono partecipazioni in società che svolgono attività analoghe a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali; e) hanno conseguito, nel triennio precedente, un fatturato medio non superiore a 500.000 Euro. In ossequio alla normativa, gli enti territoriali, dopo un’attenta analisi, avrebbero dovuto comunicarne gli esiti alla Corte dei Conti, con l’indicazione specifica delle società partecipate da tenere aperte e quelle invece da sopprimere. Tuttavia, come risulta dalla Revisione straordinaria delle partecipate prevista dal TUSP, nonostante il 37% del totale delle società revisionate versi in almeno una delle situazioni che richiederebbero un intervento dell’ente controllante, le amministrazioni hanno in realtà soppresso solo 3 società su 10.

La casistica raccolta dalla Corte dei Conti riferisce di almeno 119 organismi che non svolgono servizi di interesse generale, con perdite di esercizio in 4 anni nel quinquennio 2011-201, con fatturato inferiore a 500.000 Euro negli ultimi tre anni, con numero di dipendenti inferiore a quello degli amministratori. Sotto questo profilo, la Lombardia conta 16 società inutili e dannose, che restano aperte. E non solo.

Infatti, numerosi i casi di società partecipate dalla stessa Regione, che svolgono le medesime attività ed hanno lo stesso regime giuridico e contabile, ma che, non riuscendo a realizzare le finalità per le quali sono state costituite, svolgono attività residuali, con raddoppio dei costi per la pubblica amministrazione. Esempi si trovano nella Regione Sicilia, che vanta “duplicazioni societarie” nel settore del trasporto pubblico locale e dei servizi. Mentre al Nord i casi limite sono rappresentati dalle partecipate delle Regioni che si occupano di credito. In Piemonte, infatti, la Corte dei Conti ha accertato la sussistenza di evidenti “criticità nella gestione regionale dei fondi vincolati e nella correttezza e trasparenza dei compensi erogati dalla Regione”.

Ancora, in Lombardia la Corte dei Conti ha ravvisato un eccessivo costo medio del personale dipendente in servizio presso alcune società partecipate dal Comune di Milano, responsabile di aver omesso la redazione per le società partecipate delle schede di analisi sulla sussistenza dei presupposti per le azioni di razionalizzazione. Viceversa, la Regione Lombardia è sottoposta all’attenzione della Corte dei Conti in quanto considerevoli quantità di risorse regionali vengono depositate sui conti degli organismi partecipati, uscendo dunque fuori dai bilanci e dalla gestione diretta della Regione. Uno sguardo particolare viene rivolto ad un caso peculiare: l’esistenza di una società interamente partecipata dalla Regione Lombardia che svolge attività di intermediario ex art. 106 del T.U.B. e di emittente di strumenti finanziari sui mercati quotati. Per i giudici della Corte dei Conti, infatti, “sussiste una distonia tra compatibilità di un modello in house basato sull’utilizzo di risorse pubbliche e l’operatività della stessa come intermediario finanziario”.

Altro punto su cui la Relazione interviene con nettezza è la prassi di distribuire in favore del socio unico considerevoli importi prelevandoli dalle riserve di bilancio Operazioni come questa destano sospetto, secondo la magistratura contabile, soprattutto perché hanno interessato ed interessano un numero importante di società partecipate, le quali hanno assecondato plurime richieste di distribuzione di riserve in favore del socio unico di società in house della Regione.

Gli esiti dell’indagine svolta dalla Corte dei Conti svelano i «sintomi di una inefficienza nell’utilizzo delle risorse regionali» da parte degli enti partecipati, e la necessità non più procrastinabile per gli Enti territoriali controllanti di provvedere ad una imponente opera di razionalizzazione delle società da esse stesse partecipate allo scopo ultimo di salvaguardare la prudente gestione finanziaria delle proprie risorse e l’efficienza della amministrazione pubblica.

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