1. Premessa[1]
L’articolato della Legge Fallimentare, nelle sue evoluzioni più recenti[2], ha accolto disposizioni dalla forte carica innovativa che, nell’ottica di una progressiva “privatizzazione” delle procedure di soluzione della crisi di impresa[3], hanno introdotto ed attribuito rilevante importanza, in talune ipotesi, alle certificazioni “esterne” rese da professionisti attestatori.
Il sistema corrente delle procedure concorsuali, quindi, comprende alcune fattispecie in relazione alle quali il giudice vede circoscritto il suo intervento ad una verifica di legalità (in senso lato) della procedura, mentre un terzo designato (il professionista) assume il ruolo di attestatore e garante circa la veridicità e sostenibilità dei “piani” sottoposti alla sua attenzione, il cui merito, salvo quanto infra previsto, non dovrebbe essere oggetto di controllo giudiziale,.
Il ruolo di questi terzi indipendenti è stato significativamente accresciuto negli ultimi anni, con l’obiettivo di un potenziamento degli strumenti per il risanamento e la continuità delle imprese in crisi, affinché le scelte e le rinunce operate dall’imprenditore possano essere vagliate (e, a seconda dei casi, votate ed accettate) sulla base di una corretta e sufficientemente completa base informativa[4], con maggiore tutela per i soggetti più “a rischio” (i.e. terzi in generale e creditori in particolare). Non è da sottacersi inoltre che la “certificazione” di un soggetto con elevata capacità professionale conferisca maggiore credibilità agli impegni assunti dal debitore, finalizzati al riequilibrio della situazione economico-finanziaria e conseguentemente per il fine ultimo del risanamento dell’impresa[5].
Il quadro normativo relativo alle attestazioni, ai soggetti designabili ed alle caratteristiche di questi ultimi è il risultato di differenti interventi legislativi, non sempre coerenti tra di loro, che si sono succeduti nell’ultimo decennio.
Di recente, le modifiche introdotte dal Legislatore con la mini-riforma del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito nella legge 6 agosto 2015, n. 132, hanno profondamente inciso sul tessuto normativo del concordato preventivo, reintroducendo, salvo che per i concordati in continuità ai sensi dell’art. 186-bis Legge Fallimentare, una soglia di ammissibilità di soddisfazione pari al 20% del ceto chirografario, che il proponente deve “assicurare” e prevedendo meccanismi competitivi tra lo stesso debitore ed i terzi (i.e. le proposte e le offerte concorrenti di cui agli artt. 163 e 163 bis Legge Fallimentare), volti a massimizzare la valorizzazione degli attivi del debitore in concordato, nella prospettiva della migliore soddisfazione dei suoi creditori.
Queste novità normative hanno assegnato una serie di nuovi compiti – e correlate responsabilità – in capo all’attestatore[6], il quale per un verso è tenuto a verificare, in caso di piano liquidatorio, che la proposta di concordato sia idonea ad “assicurare” il pagamento del 20% dell’ammontare dei crediti chirografari, mentre, per altro verso, può essere chiamato ad attestare il superamento delle soglie del 30% e 40% idonee a neutralizzare la presentazione di proposte concorrenti in caso rispettivamente di concordato in continuità e liquidatorio.
Queste nuove frontiere dell’attività attestativa, come si vedrà nel prosieguo, conferiscono senza dubbio maggiore importanza e responsabilità al professionista indipendente, dovendo confermare la sussistenza di un criterio normativo di ammissibilità della proposta concordataria liquidatoria (pagamento del 20%) e potendo inibire a terzi la presentazioni di offerte sull’azienda del debitore concordatario, con intuibili e rilevanti conseguenze, sia nei confronti dei terzi offerenti, sia nei riguardi del ceto creditorio, nel caso in cui la proposta si riveli inidonea a raggiungere le percentuali stimate.
E’ quindi utile “fare il punto” sulla situazione corrente, alle soglie di un nuovo riordino del sistema delle procedure concorsuali[7], che, pur non riguardando direttamente la figura ed il ruolo dell’attestatore[8], inserisce molteplici elementi di novità nel sistema concorsuale italiano.
Dapprima sarà brevemente delineata la figura dell’attestatore, con particolare riguardo ai requisiti d’indipendenza, quindi verranno affrontate le principali novità introdotte con l’ultima riforma ed i riflessi sui profili di fattibilità delle attestazioni. Infine si farà brevemente cenno alle responsabilità, dal punto di vista civilistico e penalistico, del professionista attestatore.
2. La figura del professionista attestatore
Negli anni precedenti l’intervento della Legge 14 maggio 2005, n. 80, la Legge Fallimentare neppure prevedeva l’intervento di professionisti terzi nell’ambito della procedura di concordato preventivo[9]; il sistema in effetti ancora prevedeva una preponderante componente giudiziale ed una procedura orientata più ad una funzione liquidatoria che al risanamento dell’impresa[10]. La normativa del 2005 – oltre alla ben nota introduzione delle c.d. procedure minori, i.e. dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis Legge Fallimentare) e dei piani attestati di risanamento (art. 67, comma 3, lett. d), Legge Fallimentare) – ha introdotto l’obbligo specifico per il debitore proponente di accompagnare la proposta di concordato con la “relazione di un professionista di cui all’art. 28 che attest[asse] la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano”. La nuova disciplina ha dunque creato una nuova figura – il professionista – i cui requisiti sono stati individuati, per relationem, partendo dalla figura del curatore del fallimento, di cui agli articoli 27 ss. della Legge Fallimentare.
La riforma del 2005 non ha però stabilito in modo uniforme e coordinato i requisiti per la nuova figura professionale nell’ambito delle diverse procedure[11]. Data tale condizione di incertezza normativa, il D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 è intervenuto a semplificare e razionalizzare gli istituti di risoluzione della crisi d’impresa, provvedendo tra l’altro, ad uniformare i requisiti previsti per i professionisti impegnati in tali procedure. I requisiti richiesti all’attestatore sono stati così introdotti nell’articolato dell’art. 67, comma 3, lett. d), ed estesi in relazione sia al concordato preventivo, che all’accordo di ristrutturazione, aggiungendosi dunque al richiamo all’articolo 28 della Legge Fallimentare già previsto in precedenza[12].
Le modifiche della Legge Fallimentare introdotte con l’art. 37 della Legge n. 134 del 7 agosto 2012, di conversione con modificazioni del D.L. 22 giugno 2012 n. 83 (c.d. Decreto Sviluppo), come poi corretto con dal D.L. 21 giugno 2013 n. 69 (c.d. Decreto del Fare) hanno concluso una stagione di interventi normativi incisivi e alluvionali in materia fallimentare e stabilizzato il quadro normativo applicabile alla figura del professionista attestatore.
Per quanto attiene al concordato preventivo, l’attestatore riveste un decisivo ruolo di supporto: ai sensi dell’ art. 161, comma 3, Legge Fallimentare, infatti, la domanda per l’ammissione a tale procedura deve essere corredata da una dettagliata relazione predisposta da un professionista esterno[13] individuato e designato dal debitore che ne attesti la veridicità e la fattibilità. Il professionista deve attestare non solo la veridicità dei dati aziendali, ma anche la fattibilità del piano e le sue argomentazioni e attestazioni devono consentire ai creditori di formare un’opinione sulla proposta di concordato, ed al Tribunale di controllare la completezza e logicità delle disposizioni contenute nel piano[14].
2.1. I requisiti di indipendenza
Ponendo fine alla potenziale incertezza derivante dalla mancanza di esplicite indicazioni circa l’indipendenza del professionista attestatore rispetto alle parti delle procedure nella Legge Fallimentare successiva alla riforma del 2005, il requisito di indipendenza del professionista è stato esplicitamente inserito attraverso la novella del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134, con cui si è stato stabilito che il professionista debba essere indipendente e soggetto ad una serie di requisiti (e che la scelta del professionista incaricato, quindi, sia soggetta a talune limitazioni). La ratio del legislatore appare, inter alia, basata sul principio per cui il possesso di una reale indipendenza costituisca un elemento fondamentale[15] per qualificare l’operato dei soggetti incaricati di svolgere funzioni di controllo in luogo dell’autorità giudiziaria[16].
Come detto, quindi, l’art. 67, comma 3, lett. d), Legge Fallimentare è stato modificato allo scopo di introdurre un requisito di indipendenza esplicito per il professionista attestatore. La nuova versione dell’articolo è stata integrata con la previsione per cui: “il professionista è indipendente quando non è legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio”.
La formulazione prescelta appare particolarmente ampia, ricomprendendo non solo i rapporti intercorsi tra il professionista ed il debitore, ma anche quelli intercorsi con il ceto creditorio e con qualunque soggetto interessato al risanamento del debitore, con la chiarificazione che tali rapporti per avere rilevanza non devono avere sola natura professionale ma possono avere anche origine personale[17], potendo in ogni caso compromettere l’imparzialità del professionista[18].
Proseguendo l’elencazione dei requisiti previsti dalla Legge Fallimentare, l’art. 67, comma 3, lett. d) dispone inoltre che “in ogni caso il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo”[19]. Inoltre, ai fini di meglio garantire l’indipendenza del professionista attestatore, vengono previste ulteriori qualificazioni ed indicazioni: che il professionista sia scelto dal debitore, sia iscritto nel registro dei revisori legali[20] e possegga i requisiti previsti alle lettere a) e b) dell’ art. 28 Legge Fallimentare.
Per quanto concerne il requisito della mancata prestazione di attività lavorativa in favore del debitore e della estraneità del professionista, anche passata, dagli organi di amministrazione o di controllo del debitore, la prassi ha provveduto a meglio specificare le modalità di computo di tali limitazioni.
In particolare, con riferimento al requisito della mancata prestazione di attività lavorativa nei precedenti cinque anni, si è affermato che tale termine debba essere computato a ritroso dal momento in cui risulterà sottoscritta l’attestazione, in quanto da tale momento la paternità delle dichiarazioni in essa contenute sarà imputata al professionista che le ha redatte[21].
Per quanto riguarda i possibili profili di incompatibilità del professionista, se con riferimento all’ipotesi di rapporto di lavoro subordinato intercorso tra quest’ultimo ed il debitore non possono sorgere dubbi riguardo la compromissione dell’indipendenza del professionista, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha avuto modo di suggerire[22] che in presenza di rapporti di lavoro autonomo sia necessaria una distinzione tra prestazione occasionale e prestazione continuativa d’opera. La mancanza di indipendenza quindi, non dovrebbe ricorrere in caso di prestazione di consulenza occasionale, per cui l’entità del corrispettivo non induca a ritenere compromessa l’imparzialità del professionista.
Le valutazioni di incompatibilità sopra indicate fanno certamente riferimento a tutti casi in cui un professionista è chiamato per la prima volta a rilasciare una attestazione con riferimento ad un’impresa. Occorre però introdurre qualche considerazione ulteriore relativa ai casi di successione di procedure minori riferibili ad una stessa impresa[23]. Al riguardo, si ritiene generalmente che uno stesso professionista non possa attestare più piani successivi dello stesso debitore, nell’ambito di differenti procedure, per quanto sembra opportuno operare una distinzione tra le nuove attestazioni tout court e le possibili “integrazioni” “rettifiche” “conferme” delle attestazioni, che spesso sono richieste nella prassi all’attestatore originario, alla luce di modifiche intervenute nel quadro economico di riferimento e con riferimento ad una fase di “monitoraggio” ed “esecuzione” del piano[24].
Sembrerebbe, invece, esclusa la possibilità di attribuire più volte gli incarichi aventi ad oggetto i procedimenti di risoluzione della crisi delle imprese allo stesso professionista. In senso difforme, peraltro, si era espresso il Tribunale di Milano, secondo il quale il professionista che è stato in passato attestatore di piani di risanamento o di concordato o di accordi di ristrutturazione dichiarati inammissibili o rigettati non sarebbe precluso dal poter nuovamente accettare l’incarico di attestazione dallo stesso imprenditore prima dello scadere dei cinque anni[25]. Tale impostazione non sembra in ogni caso accolta dalla dottrina maggioritaria[26].
Al riguardo, si ritiene che la funzione di attestatore sembrerebbe rientrare nell’ambito dei rapporti di lavoro autonomo preclusi esplicitamente dal dettato dell’art. 67 Legge Fallimentare, senza che siano previste eccezioni. Inoltre, chi ha attestato un piano che in seguito possa richiedere una integrazione ed una nuova attestazione, potrebbe essere portatore di un interesse personale professionale o reputazionale, risultando quindi condizionato e privo della necessaria indipendenza di giudizio.
Deve essere in ogni caso fatto notare come una tale rigida interpretazione della disposizione porterebbe ad un’incongruenza nelle norme fallimentari, poiché renderebbe impossibile per il professionista rilasciare le attestazioni particolari e interinali che sono previste nel corso delle attestazioni speciali, come, per esempio, quella prevista dall’Art. 182 quinquies comma 1, Legge Fallimentare[27].
Il legislatore del 2012, anche alla luce di alcune incertezze interpretative a valle della riforma del 2007, ha comunque chiarito definitivamente la diatriba, ha esplicitamente previsto che il professionista debba essere designato dal debitore e non dal presidente del Tribunale, in conformità con l’orientamento divenuto dominante in dottrina e giurisprudenza[28].
La precisazione inerente alla nomina da parte del debitore ha portata generale rispetto a tutte le procedure di risoluzione della crisi d’impresa, venendo peraltro replicata nell’art. 161, comma terzo, nell’art 182-bis, nell’art 182-quinquies, primo comma, e nell’ art. 186-bis Legge Fallimentare.
3. Le novità introdotte con il D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito con modificazione dalla L. 6 agosto 2015, n. 132 (ma solo relativamente all’attestatore)
Una delle principali novità della riforma è stata la reintroduzione di una soglia minima di soddisfazione per i creditori chirografari, che inevitabilmente si riflette sulla portata e sul contenuto del piano e della collegata relazione attestativa.
Il D.L. 27 giugno 2015, n. 83 ha infatti aggiunto all’art. 160 Legge Fallimentare il comma quarto che recita: “In ogni caso la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari. La disposizione di cui al presente comma non si applica al concordato con continuità aziendale di cui all’articolo 186-bis”.
Sin dai primi commenti[29], è stato osservato che la ratio della nuova previsione è quella di evitare la presentazione di proposte che prevedano una soddisfazione estremamente limitata, per non dire irrisoria, dei creditori chirografari, prevenendo il rischio di abuso dello strumento concordatario da parte del debitore, il quale potrebbe beneficiare dell’esdebitazione integrale a fronte di una soddisfazione minimale dei propri creditori[30].
Parte della dottrina[31] ha letto l’inserimento della soglia minima come incentivo all’emersione tempestiva (o, quantomeno, più anticipata) dello stato di crisi, prima che lo stesso muti in vera e propria insolvenza, non consentendo quindi il raggiungimento del livello minimo legale di soddisfazione dei creditori non assistiti da prelazione generale o speciale.
Peraltro, va evidenziato che l’intervento del legislatore – attestatosi su una percentuale dimezzata rispetto alla “vecchia” soglia del 40% del regime anteriore alla novella legislativa del 2005 -, è stato preceduto da decisioni della giurisprudenza di merito che hanno tentato di prevenire l’abuso dello strumento, affermando che proposte formulate con i poteri di ripagamento irrisorio, se accettate, avrebbero dato vita ad un accordo negoziale tra debitore e creditori privo di causa[32], con individuazione di soglie minime di soddisfazione, al di sotto delle quali la proposta doveva essere dichiarata inammissibile[33].
Fatta questa breve, ma necessaria, premessa, si può analizzare la nuova previsione dell’art. 160 Legge Fallimentare ed i riflessi che essa ha sull’attività dell’attestatore, partendo dall’elemento cruciale della “assicurazione del pagamento” che il debitore deve proporre ai propri creditori.
In via preliminare, va osservato che il termine “assicurare” sia da intendersi in senso atecnico, poiché, in caso contrario, il legislatore avrebbe inteso implicitamente eliminare dall’ordinamento il concordato preventivo puramente liquidatorio per trasformarlo in un concordato con garanzia[34], in cui il debitore assume l’obbligo giuridico di soddisfare il ceto chirografario con il pagamento di almeno il 20% del credito originario mediante un piano che preveda la liquidazione ed il realizzo degli attivi con l’eventuale integrazione monetaria da parte del debitore stesso o di un terzo, qualora non venga raggiunta la soglia minima di soddisfazione.
Ciò detto, in base ad una prima interpretazione, l’assicurazione del pagamento del 20% equivarrebbe a garantire – senza può configurare, come detto, un concordato per garanzia – la percezione effettiva da parte dei chirografari di un’aliquota minima dell’ammontare del credito originario[35].
La connotazione particolarmente forte del verbo “assicurare”, unita alla peculiare rilevanza riconosciuta all’attribuzione ai chirografari di un soddisfacimento in entità minima (nonché nella modalità di percezione sotto forma di pagamento), sarebbero tali da indurre a ritenere che “il legislatore abbia introdotto un ulteriore requisito di ammissibilità, di cui, al pari degli altri, il Tribunale è tenuto ad appurare la ricorrenza mediante un controllo di carattere sostanziale”[36].
L’idoneità della proposta a far conseguire almeno il 20% ai creditori rientrerebbe, secondo questa interpretazione, all’interno del controllo di fattibilità giuridica che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite nel 2013, il Tribunale è tenuto ad operare ai fini della dichiarazione d’ammissibilità della proposta[37].
Come noto, le Sezioni Unite hanno riservato al Tribunale il solo sindacato sulla fattibilità giuridica, che la Cassazione[38] ha declinato sotto diversi livelli di “controllo”: controllo della completezza e regolarità della documentazione prodotta dal debitore e allegata alla proposta concordataria affinché sia idonea a rappresentare in modo esaustivo la situazione economica del debitore; controllo del rispetto delle norme imperative; controllo del regolare svolgimento della procedura secondo le disposizioni della Legge Fallimentare. A queste verifiche, si andrebbe ora ad aggiungere il controllo che, attraverso l’accordo concordatario, venga raggiunto il livello di soddisfacimento minimo previsto dalla legge, non solo in sede di emissione del decreto di ammissione, ma anche al momento di emettere il decreto di omologazione e, in generale, durante l’intera procedura. Pertanto, ogniqualvolta “abbia acquisita la consapevolezza che la percentuale prevista dalla legge non sarà raggiunta”[39], il Tribunale potrà (rectius dovrà) procedere ai sensi dell’art. 173 legge fall.
E’ evidente, tuttavia, che, una simile interpretazione della norma muterebbe profondamente il ruolo del Tribunale, cui verrebbe nuovamente attribuito il sindacato di merito in ordine alla fattibilità economica e non solo giuridica della proposta, oggi prerogativa esclusiva del ceto creditorio.
Infatti, verificare concretamente che la proposta “assicuri” il pagamento di una determinata somma di denaro nei confronti dei creditori chirografari significa indagare se, nel merito, il debitore ha (o avrà) le risorse finanziarie idonee ad assicurare la soglia di fabbisogno legale dell’art. 160, ultimo comma, Legge Fallimentare[40].
In base ad una seconda e maggiormente condivisibile lettura della norma in esame[41], l’utilizzo del verbo “assicurare” rende evidente che la proposta non possa limitarsi ad una mera prospettazione ai creditori di un verosimile pagamento, dovendo invece contenere l’assunzione di un vero e proprio impegno da parte del debitore, fondato su elementi certi e riscontrabili, senza tuttavia che tale impegno si trasformi in una vera e propria obbligazione di risultato e senza che, soprattutto, possano derivare nuovi poteri del Tribunale con riferimento alla fattibilità economica del piano e della proposta[42], che viceversa deve rimanere in capo al debitore e all’attestatore.
Il Tribunale, in altri termini, deve continuare a dover condurre le verifiche che la consolidata giurisprudenza prevede in materia e da cui esula il controllo sulla fattibilità economica del piano, dichiarando pertanto l’inammissibilità di quelle proposte fondate su un piano ed un’attestazione da cui emerga ictu oculi l’impossibilità di ripagare una percentuale del 20%[43].
D’altra parte, un controllo di fattibilità giuridica “puro” dovrebbe limitarsi a verificare che il debitore proponga il pagamento del 20% e che la fattibilità della proposta venga assicurata da una relazione attestativa coerente e redatta secondo le prescritte linee guida attestative. Se, invece, per controllo di fattibilità giuridica si intende la verifica nel merito delle disponibilità del debitore alle date di pagamento previste dal piano, allora significa sindacare nel merito la fattibilità economica e non giuridica della proposta.
In ogni caso, il primo ed il secondo orientamento interpretativo che si sono formati nell’immediato periodo successivo della riforma, convergono sulla considerazione che l’assicurazione del pagamento del 20% sia presupposto di ammissibilità della proposta e del piano e che, seppur con le diversità evidenziate con riferimento ai poteri d’indagine, esso debba essere debitamente scrutinato dal Tribunale anche alla luce della relazione attestativa depositata, dovendo poi permanere sino alla pronuncia del decreto omologativo e, prima di esso, superare il vaglio delle verifiche commissariali.
Per tornare al quesito iniziale sulla dizione “deve assicurare” introdotta dal legislatore, si può convenire con le prime decisioni in giurisprudenza secondo cui “il termine assicurare presuppone un grado di certezza che, seppure relativo, trattandosi di valutazioni prognostiche (nell’art. 160, comma 4, l. fall. non si parla infatti di garantire), è del tutto estraneo alla mera previsione probabilistica, dovendo per contro collocarsi nel terreno della ragionevole e fondata sicurezza di assicurare il pagamento di (almeno) il 20% del complessivo monte crediti annoverato al chirografo”[44]. In definitiva, pertanto, “il comma IV dell’art. 160 novellato deve essere letto nel senso che in ogni caso il debitore deve proporre fondatamente il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari laddove per ‘fondatamente’ deve intendersi una prospettazione a metà strada fra il concetto di garanzia e quello della ragionevole previsione”[45].
Secondo un’altra, recentissima, pronuncia[46], l’ultimo comma dell’art. 160 l. fall., come modificato dal d.l. n. 83/2015, riferendosi alla necessità che la proposta di concordato assicuri in ogni caso il pagamento di almeno il 20% dei creditori chirografari ed in considerazione della valorizzazione della competitività della procedura concordataria, deve essere interpretato quale assunzione di “un preciso impegno obbligatorio dell’imprenditore” soggetto alla verifica del Commissario giudiziale.
In questo quadro normativo, emerge dunque che il pagamento del 20% non debba costituire l’oggetto di un’obbligazione, ma la prospettazione del risultato minimo che può essere conseguito sulla base di dati attuali e verificabili che rendano sostanzialmente “certo” che lo stesso potrà essere raggiunto.
Tale “certezza”, per quanto abbia senso discutere in termini di certezza rispetto a valutazioni necessariamente prognostiche, può derivare non solo da un piano ancorato a dati concreti e verificati, ma anche da un’attestazione “aggravata”, che non potrà limitarsi a ritenere non irragionevole la prospettazione del debitore, ma dovrà anch’essa fornire elementi oggettivi e riscontrabili che diano la ragionevole certezza circa il risultato prospettato.
La relazione attestativa dovrà quindi “verificare” il raggiungimento della soglia del 20% che, pur facendo parte della proposta, è elemento costitutivo del piano e, di riflesso, non potrà che essere anche oggetto dell’attività di attestazione.
E’ tuttavia inevitabile che la nuova formulazione dell’art. 160 legge fall. impone, ancor più di prima, che proposta, piano ed attestazione “dialoghino” fra di loro e contribuiscano a confermare al ceto creditorio – e prima ancora al Tribunale – che la soglia del 20% verrà raggiunta.
In concreto, la proposta dovrà ovviamente contenere l’espressa indicazione che il proponente “assicura” il pagamento del 20% del credito chirografario, senza che tale assicurazione assuma il connotato dell’assunzione di un obbligo giuridico di risultato, ma volendo con ciò significare che il debitore non prospetta soltanto un soddisfacimento ragionevolmente stimabile entro un range sulla base di valutazioni prognostiche, ma “propone fondatamente” di pagare quantomeno il 20%[47].
Nel piano dovranno essere portati “elementi concreti che rendano certo, in difetto di eventi assolutamente imprevedibili, che il risultato sarà raggiunto”[48]. Pertanto il debitore dovrà prospettare che grazie alla liquidità già a disposizione, grazie all’incasso di crediti di sicuro realizzo (vuoi perché, ad esempio, dovuti da soggetti ampiamente capaci finanziariamente, vuoi perché dovuti da soggetti con i quali il debitore vanta rapporti pluriennali nel corso dei quali gli insoluti sono stati nulli o molto rari, vuoi per altre circostanze oggettive e riscontrabili), grazie al sicuro realizzo delle immobilizzazioni e, in genere, degli attivi patrimoniali [49], egli sarà in grado di pagare quantomeno il 20% del credito chirografario.
L’assicurazione del pagamento di questa percentuale si riflette sul lavoro attestativo del professionista che ora dovrà sostanziarsi non solo in un giudizio di ragionevole probabilità rispetto alle previsioni della proposta, ma, qualora non vi abbia già provveduto il debitore stesso nel piano, egli dovrà sottoporre a severi stress test le valutazioni e valorizzazioni dei cespiti aziendali da liquidare e verificare, soprattutto, che esse non siano state “strumentalmente «piegate» all’esigenza di raggiungere la soglia percentuale di cui all’ultimo comma dell’art. 160”[50].
Un piano e un’ attestazione “rafforzati”, d’altra parte, “garantiscono molto di più i creditori che non un’obbligazione senza un patrimonio ulteriore che garantisca l’adempimento oltre il limite conseguibile con il patrimonio già messo a disposizione”[51].
L’attività dell’attestatore dovrà comunque continuare a svolgersi secondo gli usuari “binari” della disamina della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità o attuabilità del piano.
Con riferimento al profilo di veridicità dei dati aziendali, rilevanti e recenti pronunce giurisprudenziali, ritengono che il professionista debba relazionare sui riscontri effettuati per le singole poste e offrire un’adeguata motivazione circa la conferma o meno dei valori nominali espressi nella documentazione contabile prodotta dall’impresa[52]. Per quanto concerne l’oggetto della valutazione da parte del professionista, si ritiene innanzitutto che l’attestazione non possa limitarsi alla mera verifica di corrispondenza formale dei dati contabili con quelli rappresentati nel piano, ma dovrà rivolgersi, con maggior pregnanza di contenuti, ad una verifica delle risultanze della contabilità dell’impresa, prendendo in considerazione le attività e le passività, attuali e potenziali della stessa[53]. A tal riguardo, il perimetro di valutazione del professionista attestatore non potrà limitarsi esclusivamente ai soli dati di natura contabile, ma dovrà estendersi a tutti gli ulteriori dati ed informazioni che potranno essere utili ai fini della valutazione di fattibilità del piano.
Stante il cospicuo approfondimento che dovrà connaturare l’attestazione, il professionista non potrà prendere in considerazione tutti i dati aziendali, ma dovrà individuare un “perimetro” di verifica, e cioè la “base dati contabile” su cui il piano stesso si fonda. Tale raggio d’azione ricomprenderà dunque l’analisi di quegli elementi “che costituiscano la base di partenza del piano e siano funzionali al giudizio sulla sua fattibilità”[54].
Per quanto attiene al diverso profilo della fattibilità del piano, invece, tale verifica si realizza attraverso un “giudizio prognostico sulla concreta realizzabilità delle operazioni previste”[55] e si sostanzia nella valutazione ex ante delle concrete prospettive di successo dell’operazione di risanamento/ristrutturazione dell’esposizione debitoria[56], specie con riferimento alle modalità ed ai tempi del pagamento dei creditori[57]. L’analisi della fattibilità presuppone, in particolare, sia l’analisi delle risorse disponibili, che di quelle prevedibilmente utilizzabili nel corso del piano, alla luce della compatibilità di quanto previsto nel piano con le dinamiche del settore economico di appartenenza dell’impresa[58].
Al contrario, il giudizio circa la convenienza economica del piano proposto rientra nell’ambito del rischio di cui si devono fare carico i creditori, questo purché gli stessi abbiano ricevuto un’informazione corretta e completa sul punto[59].
A seguito della riforma del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, e, in particolare, dell’introduzione dell’assicurazione del pagamento del 20% in capo al debitore, come detto, l’attività dell’attestatore non potrà che accentuare la verifica delle ipotesi economico-finanziarie, e gli effetti di eventuali modifiche al quadro economico alla base del piano di risanamento intercorse in un momento successivo alla sua elaborazione, valutando se tale piano possa o meno conservare la propria tenuta prospettica sotto il profilo della sostenibilità economico finanziaria e, in caso di concordato liquidatorio, sulla garanzia della “copertura” del complessivo fabbisogno chirografario in misura pari alla soglia legale. In tale prospettiva prognostica, i Principi di attestazione dei piani di risanamento[60] indicano che l’attività del professionista deve essere quindi particolarmente orientata alla valutazione di eventuali errori significativi che possano incidere sulle valutazioni relative alla sostenibilità futura del piano.
L’attestatore, in caso di piano liquidatorio, dovrà procedere ad un’analisi progressiva del piano secondo prospettazioni via via peggiorative dello scenario liquidatorio di riferimento, passando da un’ipotesi di probabile realizzo e correlativa soddisfazione del ceto secondo una percentuale – ragionevolmente e prudenzialmente superiore al 20% – ma rispetto alla quale il debitore non si obbliga all’esatto ripagamento[61], ad una o più ipotesi intermedie che tengano conto del realizzarsi di eventi negativi ovvero del mancato verificarsi di eventi positivi rispetto allo sviluppo del piano, sino a giungere all’ipotesi maggiormente deteriore in cui tutti i potenziali upsides del piano non si verifichino e, per contro, si concretizzino le potenzialità negative individuate nelle somme stanziate quali fondi rischi.
Il professionista dovrà quindi attestare/assicurare non soltanto la fattibilità delle azioni programmate per la realizzazione della proposta, ma anche la fattibilità della proposta medesima in termini di pagamento assicurato ai creditori, toccando pertanto anche profili strettamente giuridici.
Grazie a questa disamina “per gradi”, l’attestatore potrà ragionevolmente confermare[62] il raggiungimento della soglia legale minima, lasciando per contro ai creditori il giudizio rispetto alla convenienza economica dello proposta concordataria rispetto all’alternativa fallimentare.
Una delle novità della riforma è stata l’introduzione all’art. 163 Legge Fallimentare delle proposte concorrenti tramite cui “uno o più creditori che, anche per effetto di acquisti successivi alla presentazione della domanda di cui all’articolo 161, rappresentano almeno il dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata ai sensi dell’articolo 161, secondo comma, lettera a), possono presentare una proposta concorrente di concordato preventivo e il relativo piano”.
Il legislatore ha altresì previsto una soglia oltre la quale il debitore che entra in concordato sarebbe al riparo da possibili proposte “ostili” di terzi sul proprio patrimonio. Infatti le “proposte di concordato concorrenti non sono ammissibili se nella relazione di cui all’articolo 161, terzo comma, il professionista attesta che la proposta di concordato del debitore assicura il pagamento di almeno il quaranta per cento dell’ammontare dei crediti chirografari o, nel caso di concordato con continuità aziendale di cui all’articolo 186-bis, di almeno il trenta per cento dell’ammontare dei crediti chirografari” (art. 163, comma 5, Legge Fallimentare).
Mentre con l’art. 161, comma 2, lett. e) il professionista attesta la fattibilità del piano, che a sua volta si fonda su una proposta di ripagamento del debitore verso i propri creditori del 20%, nel caso dell’art. 163, comma 5, l’attestatore è espressamente chiamato ad assicurare che la proposta (e non solo, dunque, il piano) pagherà effettivamente almeno il 40% (o il 30% in caso di concordato in continuità) dei crediti chirografari.
Dalla lettura della norma, l’attestatore sembrerebbe dunque gravato di oneri ulteriori, nel caso in cui sia chiamato a vagliare un piano ed una proposta idonei a “schermare” le proposte ostili.
In primo luogo, l’attività attestativa riguarderebbe espressamente anche la proposta e non solo il piano, sebbene – come visto – anche nel caso di attestazioni non sussumibili entro i casi di cui all’art. 163 comma 5, piano – proposta – attestazione debbono formare un “pacchetto” di documenti i cui contenuti e presupposti paiono difficilmente scindibili.
Ciò detto, in questo particolare caso, l’attestazione dovrà comportare “anche una valutazione della fattibilità giuridica della proposta in quanto assicurare che i creditori chirografari e quelli privilegiati, a fronte di un dato attivo e di un dato passivo, verranno pagati, almeno nella percentuale del 30 o 40 % significa valutare, ad esempio, se la proposta abbia esattamente previsto l’ammontare delle spese e dei crediti prededucibili ed abbia correttamente applicato i criteri di distribuzione delle prededuzioni sul ricavato dei beni messi a disposizione dei creditori dal debitore concordatario”[63].
Ed allora, se l’attestatore fosse chiamato a vagliare anche da un punto di vista strettamente giuridico la proposta, non sarebbe affatto peregrino vedere quest’ultimo affiancato nella propria attività da un legale che offra il suo contributo professionale per i profili di competenza, ferma la responsabilità del solo attestatore nei confronti dei creditori e del debitore[64].
In secondo luogo, l’attestatore (e non solo il debitore) dovrebbe assicurare che il debitore pagherà una determinata somma in favore dei creditori chirografari.
Come forse in modo eccessivamente drastico è stato icasticamente descritto dalla Sezione Fallimentare del Tribunale di Bergamo “il professionista attestatore si deve assumere la responsabilità di attestare che, sulla base di quanto da lui potuto accertare, e salvo il verificarsi di eventi non prevedibili al momento della elaborazione della attestazione, detta misura minima sarà effettivamente e concretamente corrisposta ai creditori chirografari”[65].
Ora, nonostante la lettera dell’art. 163 Legge Fallimentare e l’impostazione rigorosa del Tribunale di Bergamo, non sembra che i compiti e la responsabilità dell’attestatore debbano essere riconfigurati in chiave maggiormente rigorosa[66], anche perché egli non può assumere in proprio l’obbligo di adempimento della proposta da parte di un terzo.
Se si vuole dare un significato differente alla norma, può forse ritenersi che, in questo caso, il legislatore abbia voluto un’attestazione particolarmente “forte”, il che significa che “il professionista, pur rimanendo nel solco dell’attestazione richiesta in ogni giudizio di fattibilità (che si sostanzia in una valutazione prognostica circa la realizzabilità dei risultati attesi riportati nel Piano in ragione dei dati e delle informazioni disponibili al momento del rilascio dell’attestazione), dovrà accentuare il grado di attendibilità della valutazione prognostica, non essendo sufficiente un’attestazione di mera probabilità di avveramento di un risultato, il pagamento del 30 o 40%, che il legislatore vuole, al contrario, che sia assicurato”[67].
Un ulteriore profilo di novità portato dalla mini-riforma che non attiene direttamente all’attestatore ma ne coinvolge di riflesso i contenuti della relazione, è senza dubbio il nuovo testo dell’art. 172, comma 1, Legge Fallimentare, ove si specifica che “nella relazione il commissario deve illustrare le utilità che, in caso di fallimento, possono essere apportate dalle azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie che potrebbero essere promosse nei confronti di terzi”.
Se la relazione ex art. 172 Legge Fallimentare del commissario, infatti, deve prospettare quale sarebbe, in concreto, lo scenario fallimentare in cui verrebbe a trovarsi l’imprenditore proponente qualora i creditori negassero l’assenso alla domanda concordataria, parimenti il piano del debitore dovrà prevedere uno “scenario B” rispetto all’approvazione della proposta. Tale scenario non dovrà far riferimento genericamente al fatto che la dichiarazione d’insolvenza avrebbe effetti deteriori per i creditori, ma dovrà fornire, dati alla mano, evidenza di come, in caso di fallimento, gli attivi a disposizione della Curatela per i riparti sarebbero inferiori a quelli disponibili, al netto delle spese di procedura, in capo al debitore in concordato e di come questo delta negativo non possa essere colmato, nemmeno tramite azioni revocatorie o di responsabilità attivate dalla curatela.
Nel caso in cui il Piano effettui questo tipi di assunzioni e rappresentazioni, l’attività attestativa non potrebbe che vagliarne l’attendibilità e veridicità, nell’ottica di fornire ai creditori ed al Tribunale un quadro veritiero e corretto dei possibili risultati in caso di fallimento o di omologa della proposta[68].
Sia infine consentita una breve digressione partendo dal dettato normativo dell’art. 186-bis, il quale prevede che un piano in continuità aziendale in tanto risulta attestabile in quanto appaia idoneo a realizzare il “miglior soddisfacimento dei creditori” – che, peraltro, parte della dottrina aveva già ipotizzato come generale canone interpretativo della procedura concordataria, non solo con riferimento alle procedure in continuità[69].
Come già osservato dai primi commentatori[70] ed in giurisprudenza[71], nel caso di concordato in continuità, l’attestazione non deve utilizzare quale termine di paragone ai sensi dell’art. 186-bis, comma 2, lett. b) anche la diversa soluzione concordataria liquidatoria, presidiata dalla soglia del 20%, ma il miglior interesse dei creditori deve essere valutato in base a quanto costoro riceverebbero in un’eventuale procedura fallimentare. Altrimenti, per un verso si “costringerebbe” il debitore ad optare per le opzioni liquidatorie e, per altro verso, si avrebbe l’effetto di introdurre indirettamente anche per le proposte in continuità la percentuale minima di soddisfacimento del 20%, che invece il legislatore, volutamente, ha lasciato libere da soglia minima.
Se dunque è vero che l’intero impianto concordatario è ora volto al “miglior soddisfacimento dei creditori”, come è possibile dichiarare inammissibile una proposta liquidatoria che, per esempio, a seguito di riclassificazione effettuate dal Commissario Giudiziale, assicuri il pagamento del 15% o del 18% dei crediti chirografari, mentre nel caso di fallimento detta percentuale verrebbe abbattuta se non azzerata?
In altri termini, una proposta concordataria liquidatoria, anche senza raggiungere il 20%, potrebe rappresentare la migliore opzione a disposizione dei creditori, nel caso, per vero frequente, in cui l’opzione fallimentare ragionevolmente condurrebbe al pagamento di una percentuale inferiore a quella proposta del debitore con il piano concordatario. In questo caso il Tribunale dovrebbe forse rimettere la decisione, come d’altra parte è stato sino alla recente riforma, esclusivamente in capo ai creditori, fermo restando che, in caso di mancato raggiungimento del 20%, costoro potrebbero agevolmente ricorrere al rimedio risolutorio.
4. La responsabilità civile e penale dell’attestatore
La peculiarità del ruolo dell’attestatore, la rilevanza della posizione ricoperta e la crucialità del suo intervento nell’ambito degli strumenti di risoluzione della crisi d’impresa non possono che comportare il risvolto della sua responsabilità, nel caso di attestazioni dolosamente o colposamente non veritiere. La disciplina della responsabilità dell’attestatore si rinviene sia dall’applicazione delle disposizioni del codice civile in tema di danno, sia da fattispecie di rilevanza penale espressamente previste dalla legge, ma è ragionevole ritenere che le novità introdotte dalla c.d. miniriforma in relazione ai doveri dell’attestatore, all’oggetto e alla portata della relazione, nonché alle tecniche attestative (per le quali si rinvia al precedente paragrafo 3) avranno un impatto rilevante e significativo anche sul piano della responsabilità del professionista.
Occorre preliminarmente evidenziare che l’attestatore può essere civilmente ritenuto responsabile nei confronti dell’imprenditore in favore del quale è stata condotta l’attività professionale. La responsabilità nei confronti di tale soggetto è di tipo contrattuale (art. 1218 c.c.), in ragione del vincolo negoziale sussistente tra imprenditore ed attestatore[72]. La responsabilità del professionista deve essere commisurata ai canoni di diligenza professionale propri di tale attività, restando inteso peraltro che le obbligazioni assunte dal professionista devono essere annoverate tra le c.d. obbligazioni di mezzi e non di risultato[73], non essendo il professionista tenuto a pervenire ad un determinato esito, ma dovendo invece mantenere nel corso della propria attività determinati standard di diligenza che, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c. devono essere proporzionati alla natura dell’attività svolta[74].
In linea generale, il canone di diligenza da seguire nello svolgimento delle attività di attestazione è quello “medio” per l’esecuzione di attività professionali, ovvero caratterizzato dalla necessaria cautela[75]. Peraltro, nel caso in cui la prestazione professionale resa sia riferita a problemi tecnici di particolare difficoltà, che potrebbero richiedere un impegno professionale superiore a quello mediamente richiesto, ed avuto particolare riguardo all’ambito economico e professionale in cui opera l’impresa, si ritiene generalmente che si possa escludere la responsabilità del professionista in presenza di colpa lieve (art. 2236 c.c.)[76]. Nel caso in cui, dunque, il professionista attestatore violi lo standard professionale di redazione delle relazioni, operando in modo negligente e contrario ai principi di cui all’art. 1176 comma 2 c.c., si concretizzerà la responsabilità contrattuale dell’attestatore nei confronti dell’imprenditore che gli ha affidato l’incarico.
Sotto un diverso profilo, il professionista attestatore potrebbe essere ritenuto responsabile anche nei confronti dei terzi. In queste ipotesi, la fonte della responsabilità del professionista (generalmente ritenuta di natura extracontrattuale, salvo quanto meglio infra illustrato) va individuata nell’affidamento che i soggetti terzi ripongono nell’attività dell’attestatore, in considerazione della rilevanza del suo ruolo e della particolare posizione assunta.
In sede concordataria la responsabilità del professionista sussiste nei confronti dei creditori anteriori all’omologazione, il cui danno conseguente può essere quantificato come la minor somma che tali creditori potranno ricavare dal fallimento successivo al tentativo di concordato – non andato a buon termine a causa dell’attestazione negligente o infedele del professionista[77] – rispetto a quanto avrebbero potuto ottenere nel caso di una tempestiva apertura della procedura fallimentare[78].
In aggiunta all’ipotesi sopra delineata, si ritiene in linea teorica sussistente anche una responsabilità del professionista attestatore nei confronti dei creditori successivi all’omologazione. In tal caso, si ritiene che l’origine del danno possa rinvenirsi in una lesione della libertà contrattuale (si presume cioè che, nel caso in cui il debitore fosse fallito in precedenza, tali creditori non avrebbero stipulato alcun contratto); la quantificazione del danno in questo caso sarebbe particolarmente complessa, in quanto risulterebbe necessario prendere in considerazione l’aspettativa tradita del creditore derivante dall’attestazione e quanto il singolo creditore avrebbe invece potuto conseguire se, a fronte di una relazione attestativa di diverso contenuto, il piano di concordato non fosse stato approvato[79]. In caso di dichiarazione di fallimento, la legittimazione all’esercizio dell’azione risarcitoria spetterà, di regola, ai terzi danneggiati e non già al curatore, il quale invece risulterebbe essere il soggetto deputato ad agire per il risarcimento subito dall’imprenditore[80].
La natura extracontrattuale della possibile responsabilità in capo al professionista attestatore è quindi riconducibile ai principi generali previsti dall’art. 2043 c.c. e, più nello specifico alla lesione del diritto di corretta informazione dei terzi[81], nonché alla lesione dell’affidamento che i terzi abbiano riposto su tali informazioni e sulle valutazioni svolte nella relazione attestativa[82].
Tuttavia, parte della dottrina[83], in senso difforme a quanto sin ora argomentato, ha ritenuto possibile ricondurre la responsabilità del professionista attestatore nei confronti di creditori terzi nella diversa categoria della responsabilità contrattuale, ritenendo applicabili ai casi sin qui prospettati le note teorie in materia di responsabilità “da contatto sociale”[84]. Secondo tale prospettazione, il professionista assume nei confronti dei creditori terzi un dovere di protezione, desumibile anche dal dettato normativo che gli impone di esprimere il giudizio sulla fattibilità del piano, avendo in oggetto la soddisfazione di tutti i creditori. In ragione dell’affidamento da questi riposto nelle valutazioni di veridicità dei dati e di fattibilità del piano svolte dal professionista, su quest’ultimo graverebbe quindi un particolare obbligo protettivo nei confronti di tutti i soggetti direttamente coinvolti dall’attestazione.
Sono state enucleate in dottrina alcune fattispecie “tipiche”, che ben riassumono le differenti ipotesi in cui potrebbe ritenersi sussistente la responsabilità professionale dell’attestatore: una errata attestazione negativa in termini di fattibilità; una errata attestazione di attuabilità di un piano non meritevole e fin dall’inizio non applicabile e conseguentemente in seguito non omologato; una attestazione positiva formatasi sulla base di considerazioni logiche non corrispondenti alle risultanze acquisite o ai dati oggettivi che sarebbero dovuti essere assunti; ed in via generale il ritardo nell’attestazione[85].
Alla luce delle nuove previsioni contenute nella c.d. mini-riforma del 2015 e relative alla portata della attestazione, potrebbero inoltre essere ravvisate ulteriori fattispecie di responsabilità. Si pensi, in particolare, a piani di concordato liquidatorio che, pur essendo stati oggetto di attestazione in relazione al pagamento della soglia del 20% dei crediti chirografari, di cui all’art. 160, ultimo comma l.f., si rivelino successivamente inidonei a garantire tale percentuale. Analogamente, in presenza di proposte concorrenti, ove l’attestatore abbia certificato il raggiungimento di una soglia del 40% o del 30% (a seconda si tratti di un concordato liquidatorio o con continuità aziendale), potrebbero emergere profili di responsabilità in relazione al mancato raggiungimento, in concreto, di tali soglie, con pregiudizio delle proposte concorrenti presentate da terzi (e responsabilità dell’attestatore anche nei confronti dei proponenti).
In altri termini, i confini della responsabilità del professionista risentono ora sia del mutato perimetro dell’attestazione (che non sembra più essere costituito soltanto dal piano, ma anche dalla fattibilità della proposta), sia del contenuto della stessa, che dovrà accentuare il grado di attendibilità della valutazione prognostica, non essendo sufficiente un’attestazione di mera probabilità di avveramento di un risultato (i.e., il pagamento della percentuale prevista dalla legge), ma essendo necessario – secondo i primi commentatori[86] – una verifica accurata del risultato, sulla base di elementi oggettivi e riscontrabili. Si tratta, dunque, di una attestazione “aggravata”, che non potrà limitarsi a ritenere non irragionevole la prospettazione del debitore, ma dovrà fornire dati oggettivi e verificabili, idonei a fornire una ragionevole certezza del risultato.
Si potrebbe dunque configurare una responsabilità del professionista nel caso in cui, pur in presenza di verifiche specifiche sulla fattibilità giuridica della proposta e del piano e delle azioni programmate per la realizzazione della proposta (e.g., in relazione a valutazioni dei beni aziendali oggetto di liquidazione, alla tenuta anche prospettica del piano sotto il profilo della sostenibilità economico-finanziaria, alla garanzia della copertura del complessivo fabbisogno concordatario in misura pari alla soglia del 20% in caso di concordato liquidatorio, ovvero delle soglie del 40% o del 30% in caso di proposte concorrenti) e in assenza di fattori o eventi negativi non prevedibili, né ipotizzabili al momento della attestazione, il risultato non sia stato raggiunto.
Sotto il profilo penale, occorre infine ricordare che il D.L 22 giugno 2012, n.83, convertito con L. 7 agosto 2012, n.134, ha introdotto nella Legge Fallimentare il reato di falso in attestazioni e relazioni del professionista nell’ambito delle soluzioni concordate delle crisi d’impresa. L’introduzione di tale fattispecie criminosa deriva dalla necessità di prevedere una specifica disciplina a tutela della correttezza delle informazioni riguardanti la condizione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore[87]. Finalità della nuova fattispecie penale risulta quindi essere quella di unificare gli strumenti di protezione e fornire la necessaria rilevanza alla centralità della figura del professionista attestatore, la cui collocazione ed il cui operato nell’ottica della disciplina penale, in assenza di una specifica fattispecie normativa, avevano creato incertezze a livello dottrinario e giurisprudenziale[88].
Il legislatore della novella del 2012[89] ha introdotto l’art. 236-bis della Legge Fallimentare, rubricato “Falso in attestazioni e relazioni”. La diposizione, in particolare, prevede che “1) Il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 67, terzo comma, lettera d), 161, terzo comma, 182-bis, 182-quinquies, 182-septies e 186-bis espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro. 2) Se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri, la pena è aumentata. 3) Se dal fatto consegue un danno per i creditori la pena è aumentata fino alla metà”.
Si ritiene che le “informazioni false” cui fa riferimento l’art. 236-bis l.f, debbano essere individuate prevalentemente nei dati aziendali, la cui veridicità il professionista è chiamato ad attestare, nonché nei giudizi prognostici che il professionista deve effettuare, ad esempio sulla necessità di proseguire l’attività d’impresa ex art. 186-bis, comma 2, l.f. per garantire la miglior soddisfazione dei creditori. A tale proposito, recente giurisprudenza ha stabilito che l’ambito di applicazione dell’art. 236-bis l.f. si estende, sotto il profilo oggettivo, a qualsiasi informazione rilevante affinché i creditori possano esprimere il proprio consenso informato[90].
Per quanto concerne il differente ambito dell’individuazione della condotta omissiva rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 236-bis l.f., sono sorti dubbi in dottrina a riguardo dell’individuazione e tipizzazione del requisito di “rilevanza”, che deve essere riconosciuto nelle “informazioni” omesse. Tale espressione può essere interpretata in una prospettiva soggettiva, includendo quindi le informazioni omesse che abbiano un rilievo ai fini della creazione della volontà dei creditori, oppure il concetto di rilevanza può essere interpretato secondo una lente quantitativa e oggettiva, configurandosi quindi come rilevanti esclusivamente le omesse informazioni che possano generare importanti conseguenze economiche sulle procedure di risoluzione della crisi d’impresa[91].
A tal riguardo può soccorrere l’orientamento espresso dall’Ufficio Studi della Corte di Cassazione, secondo cui la genericità del requisito di rilevanza per le informazioni omesse “potrebbe essere attenuata qualora si ipotizzasse che il legislatore abbia ritenuto necessario per la configurabilità del reato, che lo scostamento dalla realtà debba considerarsi “rilevante” quando risulti idoneo a falsare, nel complesso e in maniera significativa, la relazione o l’attestazione”[92]. Di conseguenza, aderendo a tale prospettazione, risulterebbe che il requisito della “rilevanza” vada valutato prevalentemente in relazione al giudizio finale della relazione o attestazione, in modo da considerare consumato il reato ex art. 236-bis l.f. esclusivamente quando l’omessa informazione rilevante abbia falsato tale giudizio[93].
In relazione all’elemento psicologico del reato, il falso in attestazioni o relazioni ex art. 236-bis l.f. risulta integrato dal dolo generico per quanto concerne la fattispecie base prevista al primo comma. Il dolo generico deve essere riferito a tutti gli elementi della fattispecie di reato e consiste, quindi, nella consapevolezza della falsità delle informazioni esposte e/o della omissione di informazioni rilevanti, e nella volontà di trasmettere o omettere di riferire tali informazioni[94]. Parte della dottrina ha inoltre affermato che attraverso l’applicazione del dolo generico nella sua forma del dolo eventuale[95], possa considerarsi realizzato l’elemento soggettivo del reato anche nelle ipotesi di negligenza e mancato rispetto della necessaria diligenza da parte del professionista nell’espletamento delle sue funzioni[96]. In particolare, tale fattispecie potrebbe configurarsi quando un professionista attestatore, invece di compiere direttamente tutte le attività a lui preposte, deleghi parte di tale attività a terzi, limitandosi successivamente a rivendicare la paternità della relazione. Anche se ignaro della violazione delle norme tecniche e dei principi di diligenza che dovrebbero essere applicati nel corso di tale attività, il professionista si assumerebbe in ogni caso in prima persona il rischio di porre in essere una condotta riconducibile all’art. 236-bis l.f.[97].
In relazione alla fattispecie prevista dal comma 2 dell’articolo 236-bis l.f., sembra invece configurabile una punibilità a titolo di dolo specifico, essendo necessaria la coscienza e volontà di conseguire un ingiusto profitto per sé e per altri. In ogni caso, ed in ossequio ai principi generali in tema di diritto penale, l’accertamento dell’elemento psicologico del reato deve essere provato caso per caso, non potendosi considerare implicito in seguito alla semplice realizzazione del fatto[98].
[1] Gli autori intendono ringraziare l’Avv. Rita Gismondi e l’Avv. Paolo Andrea Ossola per la ricerca bibliografica e la collaborazione per la redazione del presente contributo.
[2] Si fa riferimento, come intuibile, alle recenti riforme che hanno interessato il Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267 (la Legge Fallimentare) e, in particolar modo, alla c.d. mini-riforma introdotta dal D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito con modifiche dalla L. 6 agosto 2015, n. 132.
[3] Cfr. L. Nocera, Autonomia privata e insolvenza: l’evoluzione delle soluzioni negoziali dai codici ottocenteschi al contratto sulla crisi d’impresa, in Dir. Fall., 2014, 3-4, 401; E. Bertacchini, Crisi d’impresa tra contraddizioni e giuridica “vaghezza”. Riflessioni a margine del c.d. Decreto Sviluppo (d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. dalla l. 7 agosto 2012, n. 134), in Contratto e Impr., 2013, 2, 315; A. Benedetto, Crisi di impresa: i requisiti e le responsabilità del professionista “attestatore”, in Fisco, 2012, 38, 6121; M. Ferro, La privatizzazione della crisi d’impresa nella riforma concorsuale del 2005 a) il concordato preventivo, in Esecuzione forzata, 2006, 1.
[4] Cfr. G. Lo Cascio, Il professionista attestatore, in Il Fallimento, 2013, n.11, 1335.
[5] Principi di attestazione dei piani di risanamento, a cura di AIDEA, IRDCEC, ANDAF, APRI, OCRI, in www.cndcec.it; S. Borrella, D. Rossetti, L’indipendenza dell’attestatore nella legge fallimentare, in Fisco, 2012, 45, 7228.
[6] Su ruolo e responsabilità del professionista attestatore cfr. G. De Simone – L. Jeantet, L’indipendenza del professionista attestatore e la disciplina della sua responsabilità civile e penale, su www.giustiziacivile.com. D’Orazio-Filocamo-Paletta, Attestazioni e controllo giudiziario nelle procedure concorsuali, Milano, 2015; Ambosini-Tron, Piani di ristrutturazione dei debiti e ruolo dell’attestatore “Principi di attestazione “ e riforma del 2015, Torino, 2015, in particolare pagg. 6-9. D. Galletti, Il concordato con “assicurazione” non è un concordato “per garanzia dell’attestatore” su IlFallimentarista.it.
[7] E’ di recentissima approvazione il disegno di legge delega per la riforma del diritto fallimentare che ha fatto proprio il lavoro della commissione presieduta dal dott. Renato Rordorf e che tratta una vasta gamma di argomenti, tra cui si possono segnalare, inter alia: l’individuazione di misure idonee a incentivare l’emersione della crisi; l’incentivazione del concordato preventivo in continuità aziendale come strumento indirizzato alla conservazione dell’impresa; l’introduzione di una specifica disciplina nazionale dell’insolvenza di gruppo; il trattamento dei creditori privilegiati; la disciplina della divisione dei creditori in classi; la riorganizzazione del sistema dei privilegi; l’introduzione nell’ordinamento di garanzie mobiliari non possessorie, l’accelerazione dei procedimenti liquidatori e l’armonizzazione delle disposizioni sui finanziamenti e sui crediti prededucibili. Cfr. Decreto del Ministro della Giustizia del 28 gennaio 2015, in www.fallimentiesocieta.it.
[8] Nella Relazione al Disegno di Legge Delega, si legge tuttavia che: “E’ dubbio se, nel rinnovato quadro normativo che s’intende disegnare, conservi reale utilità la figura del professionista indipendente – ma pur sempre designato dallo stesso debitore – chiamato ad attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario (oltre alle altre numerose ma eventuali funzioni attribuitegli nell’ambito della procedura di concordato dalla normativa vigente). Quanto meno nelle ipotesi in cui la domanda di concordato sia lo sbocco di una precedente procedura stragiudiziale di composizione assistita della crisi o di allerta, è ragionevole ipotizzare che la suddetta funzione attestatrice possa essere stata già adeguatamente assolta dal professionista designato a seguire tale procedura”.
[9] Cfr. G. Minutoli, Quale futuro per il giudice delegato (la riforma del diritto fallimentare tra pretese di efficienza ed emarginazione della giurisdizione), in Il Fallimento, 2005, 12, 1460.
[10] Cfr. Di Marzio, dal ceppo della vergogna alle soluzioni concordate della crisi d’impresa. Nota apologetica sul nuovo ‘diritto fallimentare’, in www.ilcaso.it, II, 282/2012.
[11] V. infra.
[12] S. Borella, D. Rossetti, L’indipendenza dell’attestatore nella legge fallimentare, in Fisco, 2012, 45, 7228.
[13] L’attestatore deve essere unico, senza possibilità di frazionamento della relazione in più sezioni redatte da differenti professionisti Cfr. Trib. Mantova, decr. 17 ottobre 2013, in www.ilcaso.it, in relazione alla possibilità che la relazione sia redatta da diversi professionisti si ritiene “del tutto incoerente con lo spirito della nuova procedura di concordato che un professionista attesti la veridicità dei dati e la fattibilità del piano e un altro, dando per presupposto l’accertamento del primo, attesti che la prosecuzione dell’attività prevista nel piano è funzionale alla miglior soddisfazione dei creditori”. Secondo A. Bello, Il ruolo del professionista attestatore nel concordato preventivo, in Il Nuovo Diritto delle Società, n. 22/2015, p. 58 nt. 23, l’incarico può essere anche assunto da una società tra professionisti “purché essa abbia ad oggetto l’esercizio in via esclusiva delle attività di una professione regolamentata: i soci professionisti devono essere iscritti in uno degli albi professionali di cui all’art. 28, lett. a), Legge Fallimentare, e il socio che dovrà espletare l’incarico di attestatore dovrà essere anche iscritto al registro dei revisori legali”.
[14] A questo proposito, Cass. Civ. Sez. I, 4 luglio 2014, n. 15345, in Il Fallimento, n. 2, 2015, in relazione alla finalità della relazione del professionista attestatore nell’ambito dell’ art. 161, comma 3, Legge Fallimentare “al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte (Cass. s.u. 23 gennaio 2013, n. 1521; Cass. 9 maggio 2013, n. 1014; Cass. 27 maggio 2013, n. 13083; Cass. 25 settembre 2013, n. 21901) ha chiarito che il controllo del tribunale, ai fini della ammissibilità del concordato, ma anche ai fini della sua omologazione, va effettuato sia verificando l’idoneità della documentazione prodotta (per la sua completezza e regolarità) a corrispondere alla funzione che le è propria, consistente nel fornire elementi di giudizio ai creditori, sia accertando la fattibilità giuridica della proposta, sia, infine, valutando l’effettiva idoneità di quest’ultima ad assicurare il soddisfacimento della causa della procedura. Rientrano, dunque, nell’ambito di detto controllo, la correttezza e la coerenza delle argomentazioni svolte e delle motivazioni addotte dal professionista a sostegno del formulato giudizio di fattibilità del piano”.
[15] In tema, la citata Cass. Civ., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, prevede in relazione alla necessaria indipendenza del professionista che “pur non essendo un consulente del giudice – come si desume dal fatto che è il debitore a nominarlo -, il professionista attestatore ha le caratteristiche di indipendenza (ulteriormente indirettamente rafforzate dalle sanzioni penali previste dalla l.fall., art. 236 bis, introdotto con il D.L. n. 83 del 2012) e professionalità` idonee a garantire una corretta attuazione del dettato normativo.”. Cfr. anche G. De Simone – L. Jeantet, op.cit..
[16] Nella relazione illustrativa al D.L 22 giugno 2012, n.83, convertito con L. 7 agosto 2012, n.134, si esplicita come la mancanza di un requisito formale di indipendenza per il professionista attestatore dovesse essere considerato come uno dei più gravi disincentivi al tempestivo accesso delle imprese in crisi alle procedure di concordato preventivo e ai procedimenti di omologazione degli accordi di ristrutturazione. Relazione illustrativa disponibile in http://documenti.camera.it.
[17] In relazione ai rapporti di natura personale, Trib. Modena, decr. 12 giugno 2013, in www.ilfallimentarista.it, in cui si esclude l’indipendenza del professionista attestatore in virtù di rapporti di ordine personale con il debitore derivanti dalla condivisione di spazi di lavoro.
[18] Cfr. S. Ambrosini, Accordi di Ristrutturazione dei debiti e finanziamenti alle imprese in crisi, Zanichelli, Bologna, 2012, 123 e ss.; V. Lenoci, Ruolo e responsabilità dell’esperto. L’indipendenza e il richiamo alla disciplina sui sindaci, in www.ilfallimenterista.it; G. Bersani, Crisi di impresa: nomina, indipendenza e responsabilità penale del professionista, in Fisco, n. 36, 2012. E’ peraltro opportuno evidenziare come la presenza dei requisiti di indipendenza di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d) Legge Fallimentare debba essere valutata anche a cura del medesimo professionista incaricato che, con una sorta di autocensura, valuterà la sussistenza dei requisiti di legge in capo a sé stesso prima di accettare l’incarico In relazione ai requisiti di indipendenza di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d), il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Norme di comportamento del collegio sindacale, testo in vigore dal primo gennaio 2012, in www.cndcec.it., prevede che “tali criteri impongono al professionista di effettuare una autovalutazione circa la ricorrenza e la rilevanza di situazioni direttamente riconducibili a rapporti personali o professionali che quest’ultimo intrattenga con il committente o con altri soggetti a vario titolo interessati all’operazione di risanamento.”. Cfr. anche G. De Simone – L. Jeantet, op.cit.
[19] Secondo il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, cit. supra, la ratio di tale previsione normativa è quella di limitare possibili interferenze di ordine patrimoniale al compimento dell’incarico da parte del professionista. Mentre la previsione testuale della norma incide su rapporti, relazioni e incarichi esistenti tra i soggetti presi in considerazione nell’art. 67, comma terzo, lett. d) Legge Fallimentare, impresa e attestatore ed impresa ed eventuali associati di studio del professionista, la valutazione dell’indipendenza ai sensi del richiamato art. 2399 c.c. viene effettuata verso “altri rapporti di natura patrimoniale” che possono incidere anche indirettamente sull’obbiettività di giudizio del professionista.
[20] Ai sensi del Decreto Legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 di “Attuazione della direttiva 2006/43/CE, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE, e che abroga la direttiva 84/253/CEE”, possono chiedere l’iscrizione al Registro dei revisori legali, tra gli altri, le persone fisiche che soddisfano i seguenti requisiti: a) sono in possesso dei requisiti di onorabilità previsti dall’articolo 3, comma 1 del D. M. 20 giugno 2012, n. 145; b) sono in possesso di un titolo di laurea almeno triennale, tra quelli individuati dall’articolo 2 del D. M. 20 giugno 2012, n. 145; c) hanno svolto il tirocinio triennale previsto disciplinato dal regolamento di cui all’art. 3 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39; e d) hanno superato l’esame di idoneità professionale disciplinato dal regolamento di cui all’art. 4 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39.
[21] Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Il ruolo del professionista attestatore nella composizione negoziale della crisi: requisiti di professionalità ed indipendenza e contenuto delle relazioni, Circolare n.30/IR dell’11 febbraio 2013.
[22] Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Il ruolo del professionista attestatore nella composizione negoziale della crisi: requisiti di professionalità ed indipendenza e contenuto delle relazioni, Circolare n.30/IR dell’11 febbraio 2013.
[23] Cfr. L. D’Orazio, Le procedure di negoziazione della crisi dell’impresa, Giuffrè, Milano, 2013, 61. ss.; S. De Matteis, N. Graziano, Manuale del concordato preventivo, Maggioli, Milano, 2013, 747 ss; A. Bello, cit., p. 62.
[24] Al riguardo, cfr. i Principi di Attestazione (v. nota 33), paragrafo 8.1.4. “Fermo restando l’assenza di uno specifico obbligo di legge, nulla vieta che il soggetto affidatario dell’incarico di monitoraggio del Piano nella fase esecutiva possa essere individuato nella figura dell’Attestatore nella veste di professionista esperto della materia. Il conferimento di tale ulteriore incarico non ha effetti sull’indipendenza dell’Attestatore in relazione all’attestazione già effettuata”. Cfr. anche G. De Simone – L. Jeantet, op.cit.
[25] Cfr. Tribunale di Milano, seconda sezione civile – fallimenti, plenum del 20 settembre 2012, in www.ilfallimentarista.it:
[26] Cfr. E. Stasi, La terzietà dell’attestatore, in www.ilfallimentarista.it, 14 dicembre 2012; V. Lenoci, Ruolo e responsabilità dell’esperto. L’indipendenza e il richiamo alla disciplina sui sindaci, in www.ilfallimenterista.it; S.Borrella, D. Rossetti, L’indipendenza dell’attestatore nella legge fallimentare, inFisco, 2012, 45, 7228.
[27] A tal riguardo, parte della dottrina (S. De Matteis, N. Graziano, Manuale del concordato preventivo, Maggioli, Milano, 2013, p. 452) ha ritenuto comunque argomentabile che in questi casi tali attestazioni possano essere rilasciate dallo stesso attestatore che si sia occupato in precedenza delle relazioni ex artt. 161 Legge Fallimentare e 182-bis Legge Fallimentare. Sul punto cfr. anche G. De Simone – L. Jeantet, op.cit.
[28] Cfr. Trib. Ravenna, decr. 13 settembre 2011, in www.ilcaso.it, in cui si prevede che il piano attestato di risanamento di cui all’articolo 67, comma 3, lett. d), Legge Fallimentare ha natura contrattuale, per cui la nomina del professionista che ne deve attestare la ragionevolezza non può che spettare al debitore; Trib. Verona, decr. 27 luglio 2011 in www.ilcaso.it, in cui è previsto che “l’individuazione degli “esperti” di cui all’art. 67, comma 3, lettera d) va effettuata direttamente dal soggetto privato (imprenditore)”. Sul punto si veda anche la completa ed esaustiva trattazione della materia da parte di Trib. Roma, decr. 23 febbraio 2011, in www.ilcaso.it, in relazione alla nomina del professionista attestatore ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. d) Legge Fallimentare
[29] F. Lamanna, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto ‘contendibilità e soluzioni finanziarie’ n. 83/2015: un primo commento. Parte II: le modifiche riguardanti il concordato preventivo. ‘Proposte/piani’ ed ‘offerte concorrenti’, in ilfallimentarista.it, 29 giugno 2015;
[30] Il caso maggiormente eclatante è quello di Trib. Roma, 16 aprile 2008, in Dir. Fall. 2008, II, p. 150 che prevedeva una soddisfazione del ceto chirografario pari allo 0,0003%.
[31] F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015, edito da Il Civilista, 2015, p.15.
[32] Trib. Roma, 16 aprile 2008, cit.
[33] Secondo Trib. Bergamo (4 dicembre 2014 su ilFallimentarista.it) la soddisfazione minimale per i crediti chirografari doveva attestarsi (almeno) al 3% del credito originario, con commento di L. Jeantet e A. Parziale, La controversa questione della percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari nel concordato preventivo, mentre per Trib. Modena (3 settembre 2014, su ilFallimentarista.it) la percentuale minima saliva al 5%. Secondo una diversa corrente giurisprudenziale (Trib. Lecco, 10 luglio 2015, su ilFallimentarista.it; Trib. La Spezia, 19 settembre 2013, n. 9672; Trib. Palermo, 4 giugno 2014) non occorreva fissare a priori una percentuale minima da offrire ai creditori, ma la causa concordataria doveva essere apprezzata “in concreto, sulla base della peculiarità sulla base della peculiarità dello specifico regolamento negoziale e dell’assetto di interessi effettivamente perseguito dalle parti”, avendo soprattutto riguardo alla prognosi satisfattiva in sede fallimentare.
[34] A. Farolfi, Concordato preventivo: le novità di agosto, in ilfallimentarista.it.
[35] E. Sabatelli, La novellata disciplina della domanda di ammissione al concordato preventivo, su ilFallimentarista.it; L. Panzani, Le alternative al fallimento. Il concordato e gli accordi di ristrutturazione dopo il D.L. 83/2015, in Il Nuovo Diritto Delle Società, 21/2015, p. 14, nt. 2; D. Galletti, È ancora attuale dopo la riforma ‘d’urgenza’ il tractatus misteriosoficus delle Sezioni Unite?, in ilfallimentarista.it. Secondo F. Pedoja, Note minime a margine del Convegno di Vicenza del 15 gennaio 2016, su www.fallimentiesocieta.it,”il concetto di “assicurazione” è evidentemente un concetto giuridico che equivale nella sostanza a quello di obbligo”
[36] E. Sabatelli, Appunti sul concordato preventivo dopo la legge di conversione del D.L. N. 83/2015, su www.ilcaso.it.
[37] L. Panzani, ibidem. Ancora più esplicito,D. Galletti, cit. “il Tribunale dovrebbe a mio avviso essere investito del potere di controllare, anche ex officio, che il piano concordatario possa concretamente conseguire l’obiettivo minimo legale del 20% nei concordati liquidatori”. Secondo F. Pedoja, Note minime, cit., la verifica del 20% sarebbe parte del giudizio di fattibilità giuridica della proposta e del piano: “detta previsione costituisce condizione di ammissibilità secondo la previsione dell’art. 160, co. iv, l.f.; la previsione pertanto di una percentuale minima costituisce oggetto di un giudizio di fattibilità giuridica rimesso al tribunale e non certo un giudizio di fattibilità economica rimesso ai creditori secondo la distinzione prevista dalla nota sentenza delle sezioni unite 2013”.
[38] Cassazione 30/04/2014, n. 9541; Cass. 23/06/2011, n. 13818.
[39] E. Sabatelli, La novellata disciplina, cit.
[40] E. Sabatelli, La novellata disciplina, cit., mitiga la drastica conclusione asserendo che il Tribunale “annoverata l’effettiva percezione della percentuale minima fissata dalla legge fra i requisiti di ammissibilità della proposta” dovrebbe “collocare la propria verifica nell’area del controllo della legittimità sostanziale della domanda e non in quella del controllo del merito”. La tesi non convince appieno.
[41] G. B. Nardecchia, Le modifiche alla proposta di concordato, in ilcaso.it; V. Zanichelli, Il ritorno della ragione o la ragione di un ritorno?, in ilcaso.it., afferma che il termine “assicurare” “presuppone un grado di certezza che, seppure relativo, trattandosi di valutazioni prognostiche (nell’art. 160, comma 4, l. fall. non si parla infatti di garantire), è del tutto estraneo alla mera previsione probabilistica, dovendo per contro collocarsi nel terreno della ragionevole e fondata sicurezza di assicurare il pagamento di (almeno) il 20% del complessivo monte crediti annoverato al chirografo”. S. Ambrosini,Il diritto della crisi d’impresa nella legge n. 132 del 2015 e nelle prospettive di riforma, suilcaso.it, p. 15
[42] S. Ambrosini,ibidem.
[43] Id, Il diritto della crisi d’impresa, cit., p. 14.
[44] Trib. Pistoia, 22 ottobre 2015, suilcaso.it.
[45] Trib. Firenze, 11 novembre 2015, su ilcaso.it.
[46] Trib. Ravenna, 27 novembre 2015, su IlFallimentarista.it
[47] Secondo S. Ambrosini, Il diritto della crisi d’impresa, cit., p. 8 la percentuale di soddisfacimento dei creditori menzionata dal debitore nel ricorso potrà continuare ad essere indicata in un range “a condizione che la “forbice” sia ragionevolmente contenuta”, anche se la percentuale deve considerarsi vincolante soltanto nei limiti del 20% “oltre che nei casi in cui il debitore incautamente si impegni in modo esplicito al raggiungimento di una determinata percentuale”. Nello stesso senso G. Nardecchia, Le modifiche alla proposta di concordato, op. cit., p. 12. Fermamente contrario invece F. Lamanna, L’inammissibilità di una promessa di pagamento nel concordato preventivo entro un “range” tra un minimo ed un massimo, su IlFallimentarista.it.
[48] V. Zanichelli, Il ritorno della ragione, op. cit., p. 6.
[49] V. Zanichelli, ibidem“ciò equivale a dire che il piano e la conseguente proposta non potranno più essere affidati ad una generica previsione di una ripresa del mercato o a valutazioni fatte sulla base di parametri svincolati dal mercato reale: ad esempio, se si prospetta che un immobile sarà venduto entro un certo tempo e ad un determinato prezzo, non varranno più affermazioni generiche o il mero richiamo a valori statistici, ma si dovranno portare elementi concreti, quali rogiti recenti di immobili con le stesse caratteristiche ceduti al prezzo ipotizzato, promesse irrevocabili di acquisto, garanzie di interventi di terzi per integrare l’insufficiente realizzo, et similia”.
[50] S. Ambrosini-A.Tron,Piani di ristrutturazione, op. cit., p. 6.
[51] V. Zanichelli, Il ritorno della ragione, op. cit., p. 6
[52] G. De Simone – L. Jeantet, op.cit. Cfr. anche Cass. Civ. Sez. I, 31 gennaio 2014, n. 2130, in www.ilcaso.it, in relazione alla veridicità dei dati aziendali come presupposto per il giudizio di fattibilità del piano di concordato “i dati aziendali non sono quelli risultanti dalle scritture contabili, la cui regolare tenuta («per un biennio o almeno dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata»), dopo la riforma, non è più prevista tra le condizioni di ammissibilità del concordato. I dati aziendali si devono, pertanto, individuare in quelli risultanti dai documenti che devono essere prodotti unitamente al ricorso (art. 161, comma 2, lett. a, b, e d). Ne consegue che, ove a seguito dell’inventario redatto dal commissario (l.fall., art. 172), emerga la diversa consistenza materiale o giuridica degli elementi patrimoniali o l’incongruenza della relativa determinazione operata dal professionista, viene meno l’indispensabile presupposto informativo per le valutazioni riservate ai creditori.”; Trib. Roma, decr. 4 Novembre 2011, in www.ilcaso.it, a riguardo dell’analisi della veridicità dei dati aziendali prevede che “il professionista deve necessariamente relazionare sui riscontri effettuati per le singole poste e offrire un’adeguata motivazione sulla conferma (o meno) dei valori nominali espressi dalla società nella sua documentazione contabile: ciò per consentire all’organo giudicante – ed ancor prima ai creditori estranei (anche a tal fine convocati) – un’autonoma verifica sull’adeguatezza e sulla coerenza logica dell’iter argomentativo posto in essere.”
[53] A questo proposito in dottrina cfr. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, CEDAM, Padova, 2013, 108; in giurisprudenza, cfr. App. Torino, 20 luglio 2009 , in Il Fallimento, 2010, 961.
[54] Cfr. A. Guiotto, L’attestazione negli artt. 67 e 182 bis: profili comparativi, in Il Fallimento, 2014, 10, 1034, si vedano anche i Principi di attestazione dei piani di risanamento, a cura di AIDEA, IRDCEC, ANDAF, APRI, OCRI, in www.cndcec.it, 21 e ss.
[55] Cfr. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, CEDAM, Padova, 2013, 1082.
[56] Trib. Benevento, decr. 23 aprile 2013, in Il Fallimento, 2013, “nel concordato preventivo, con specifico riguardo all’attestazione di veridicità dei dati aziendali, il giudizio dell’attestatore non può limitarsi a una mera dichiarazione di conformità, ovvero di corrispondenza formale dei dati utilizzati per la predisposizione del piano a quelli risultanti dalla contabilità, ma, al contrario, tale giudizio comporta che il professionista accerti e attesti che i dati in questione siano “effettivamente reali”.
[57] In relazione all’analisi della fattibilità del piano da parte del tribunale, e con riferimento particolare al concordato preventivo cfr. C. Trentini, Fattibilità economica del piano e controllo del tribunale dopo l’approvazione: la Cassazione ribadisce che il controllo spetta ai creditori, in Il Fallimento, 2015, 174, in cui si individua la ratio del giudizio sulla fattibilità rilasciato dal giudice: “lo scrutinio della causa concreta del concordato e il conseguente giudizio di fattibilità dello stesso rappresenta, in questa ottica, lo strumento attraverso il quale mantenere “saldo il compito centrale di tutela degli interessi dei terzi, non chiamati ad esprimere il proprio voto sulla proposta concordataria ma destinati a subire gli effetti della sistemazione della crisi”.
[58] Cfr. G. Lo Cascio, Il professionista attestatore, in Il Fallimento, 2013, 1331.
[59] In relazione all’assunzione del rischio di fattibilità economica sui creditori informati per mezzo della relazione del professionista, cfr. Trib. Prato, decr. 30 aprile 2014, in www.ilcaso.it “benché la durata del piano concordatario incida sulla possibilità di formulare prognosi attendibili, non è corretto fissare in linea generale un termine di durata oltre il quale ritenere il piano comunque non attendibile o viziato da margini di rischio talmente elevati da renderlo inadeguato. La valutazione in questione deve, infatti, essere effettuata in base al caso concreto ed alle caratteristiche del piano proposto, con la precisazione che il controllo del tribunale deve essere effettuato in termini di ragionevolezza del rischio assunto e di probabilità di successo, non certo di certezza del risultato”. Ferme restando le coordinate generali illustrate sopra, il quadro normativo attuale non fornisce indicazioni rilevanti per desumere in modo specifico e puntuale quale sia l’ambito di attività del professionista e le attività richieste a tale figura: per meglio comprendere dal punto di vista pratico i compiti di tale soggetto, dunque, occorrerà fare riferimento ai risultati raggiunti dalla dottrina ed affermati in giurisprudenza. Tra gli strumenti a disposizione dell’interprete, meritano una citazione particolare i Principi di attestazione dei piani di risanamento, a cura di AIDEA, IRDCEC, ANDAF, APRI, OCRI, in www.cndcec.it, 33 e ss. che assurgono a veri e propri strumenti di soft law e di orientamento, come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza: a questo proposito, Trib. Genova, decr. 7 luglio 2014, in www.ilcaso.it, ha affermato che, pur privi di efficacia normativa, i Principi di attestazione dei piani di risanamento possono essere ritenuti un valido orientamento per valutare le qualità delle attestazioni
[60] Cfr. nota 57.
[61] Infatti “il debitore ha la facoltà, non l’obbligo, di assicurare l’adempimento della proposta per la quota eccedente il pagamento del 20% dell’ammontare dei crediti chirografari” (G. Nardecchia, Le modifiche alla proposta di concordato, op. cit., p. 12).
[62] In ogni caso, come giustamente osservato in dottrina(D. Galletti, Il concordato con “assicurazione” non è un concordato “per garanzia dell’attestatore”, su IlFallimentarista.it), l’impegno nei confronti dei creditori “non può che riguardare il debitore, il quale non a caso si deve “obbligare ad assicurare” non l’attestatore, il cui ruolo invece non è mutato”.
[63] G. Nardecchia, Le modifiche alla proposta di concordato, op. cit., p. 23.
[64] Molto chiaro, in tal senso, E. Galletti, I molteplici equivoci di una formula ambigua e, forse, inutile: la fattibilità economica e giuridica, su IlFallimentarista.it, secondo cui “chi riceve il mandato di occuparsi della predisposizione di un concordato allora si assume una responsabilità piena, che involve tutte le problematiche relative, tanto giuridiche quanto economiche; se l’avvocato non dispone delle competenze economiche, o il commercialista di quelle giuridiche, essi sono semplicemente responsabili di colpa “per assunzione”, non esentati da censure. Ciò è tanto più vero per l’attestatore, il quale se non rileva un vizio di fattibilità “giuridica” non mette a disposizione dei creditori, e del Tribunale (nei confronti del quale le Sezioni Unite lo vorrebbero come una sorta di “consulente”), un fattore che determina l’impossibilità di attuazione del piano. L’attestatore che non disponga delle competenze giuridiche necessarie dovrà munirsene, in modo autonomo, oppure utilizzando le competenze di cui già disponga il debitore, purché spieghi per quali ragioni le ritiene attendibili, ossia se la metodologia applicata da tali professionisti sia adeguata (come avviene nella prassi per l’avvalimento del lavoro delle società di revisione); allo stesso modo di come dovrà fare per tutti quei fatti, di carattere tecnico ma extraeconomico od extraziendale, che per essere valutati necessitino del medium di competenze specifiche. […] Vi è dunque una eterointegrazione legale del contenuto di tali contratti, conforme alla funzione di tutelare gli interessi rilevanti, che non tollera notomizzazioni. Solo per le attività “riservate” per legge la responsabilità sarà esclusiva del soggetto abilitato (ad es. per l’avvocato che ometta di compiere un atto del processo)”.
[65] Trib. Bergamo, circolare operativa n. 2/16 in data 3 marzo 2016, su Il Fallimentarista.it, p. 8, enfasi aggiunta. Così anche M. Vitiello, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: le possibili soluzioni alle primissime questioni interpretative, su IlFallimentearista.it: “come anticipato, tra gli elementi che determinano l’inammissibilità della proposta concorrente c’è la circostanza che la proposta assicuri il pagamento dei crediti concorsuali nella misura minima del 40% o, nel concordato con continuità, del 30%. La legge subordina l’integrazione della fattispecie alla specifica attestazione, sul punto, del professionista. Ciò significa che il professionista attestatore si deve assumere la responsabilità di attestare che, sulla base di quanto da lui potuto accertare, e salvo il verificarsi di eventi non prevedibili al momento della elaborazione dell’attestazione, detta misura minima sarà effettivamente e concretamente corrisposta ai creditori chirografari” M. Vitiello, I contenuti della proposta di concordato dopo la miniriforma del 2015, su IlFallimentarista.it, 2016.
[66] Così S. Ambrosini, Il diritto della crisi d’impresa, cit., p. 33, G. Nardecchia, Le modifiche alla proposta di concordato, op. cit., p. 24.
[67] Così, G. Nardecchia, ibidem.
[68] Così S. Ambrosini, Il diritto della crisi d’impresa, op. cit., p. 32.
[69] A. Patti, Il miglior soddisfacimento dei creditori: una clausola generale per il concordato preventivo?, inIl Fallimento, 2013, n. 9, p. 1099.
[70] S. Ambrosini, ibidem; G. Nardecchia, op. cit., p. 20; M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie ed incerte contaminazioni ideologiche, suilcaso.it.
[71] Trib. Pistoia, 22 ottobre 2015, suilcaso.it.
[72]Cfr. S. Fortunato, La responsabilità civile del professionista nei piani di sistemazione delle crisi d’impresa, in Il Fallimento, 2009, 893.
[73] Cfr. M. Ferro, La legge fallimentare, Commentario teorico-pratico, CEDAM, Roma, 2014, 934 ss.
[74] L’articolo 1176, comma 2 c.c. prevede che “Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
[75] In relazione alle obbligazioni di mezzi e non di risultato si rimanda a quanto previsto dalla Suprema Corte in relazione alle obbligazioni del professionista avvocato in Cass. Civ., 18 aprile 2011, n. 8863, in www.leggiditalia.it: “ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rileva non già il conseguimento del risultato utile per il cliente, ma il modo come l’attività è stata svolta avuto riguardo, da un lato, al dovere primario del professionista di tutelare le ragioni del cliente e, dall’altro, al parametro della diligenza fissato dall’art. 1176 c.c., comma 2, che è quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione.”.
[76] L’articolo 2236 c.c. prevede a questo riguardo che: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o di colpa grave”. Cfr. a questo proposito anche Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, CEDAM, Padova, 2013, 1082.
[77] In relazione alla rilevanza dell’attestazione del professionista per la formazione della volontà dei creditori, cfr. Cass. Civ, Sez. I, 30 luglio 2012, n.13565 in www.leggiditalia.it, per cui “la relazione giurata del professionista iscritto nel registro dei revisori contabili – la cui qualificazione è assicurata dal possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. D) – non puo` essere ridotta al rango di mero allegato, accessorio ed estrinseco alla proposta; di cui forma invece parte integrante, dotata com’è di naturale vis persuasiva, suscettibile, se non rispondente al reale contenuto della proposta, di ingenerare un errore-vizio nel consenso dei creditori”.
[78] Cfr. M. Ferro, La legge fallimentare, Commentario teorico-pratico, CEDAM, Roma, 2014, 929 ss..
[79] Cfr. A. Caravita, Nuovo concordato preventivo: la responsabilità dell’attestatore, in Supplemento Altalex Quotidiano, 2013, 14.
[80] Cfr. M. Ferro, La legge fallimentare, Commentario teorico-pratico, CEDAM, Roma, 2014, 929 ss.
[81] Si rimanda a Trib. Bergamo, decr. 9 ottobre 2014, in www.ilcaso.it, in relazione alla lesione del diritto ad una piena informazione dei creditori nell’ambito di un concordato preventivo ai sensi dell’art. 161 l.f. “In termini di principio, non v’è dubbio che il tema dell’effettivo valore dei beni ceduti alla massa dei creditori con lo scopo di realizzare la causa del concordato preventivo (la soluzione/gestione della crisi attraverso il soddisfacimento di tutti i creditori in un lasso di tempo ragionevolmente breve) inerisca alla cd. fattibilità economica del piano ed in quanto tale sia devoluto alle valutazioni che la massa dei creditori esprime con il voto, favorevole o sfavorevole, alla proposta (Cass., Sezioni Unite, n. 1521/13)”.
[82] Da quanto sopra consegue, tra le altre cose, che l’onere della prova gravi sul creditore o sul terzo danneggiato e che esso debba provare in particolare tre elementi: la condotta dell’attestatore caratterizzata da dolo o colpa; il danno, coniugato differentemente nelle tre ipotesi sopra descritte; ed infine il nesso causale tra la condotta ed il danno. Come intuibile, anche i termini di prescrizione per far valere il diritto dovranno ricondursi alla fattispecie della responsabilità extracontrattuale (5 anni).
[83] A questo proposito, M. Ferro, La legge fallimentare, Commentario teorico-pratico, CEDAM, Roma, 2014, 929 ss.; P. Pajardi, A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Giuffrè, Milano, 951, 2008; P. Pajardi, Codice del fallimento, Giuffrè, Milano, 1902, 2013; S. De Matteis, N. Graziano, Manuale del concordato preventivo, Maggioli, Milano, 2013, 452 e Fortunato, La responsabilità civile del professionista nei piani di sistemazione delle crisi d’impresa, in il Fallimento, 2009, 894.
[84] Cfr. B. Blasco, La responsabilità da contatto sociale qualificato e suoi rapporti con gli obblighi ti protezione, in Diritto e processo, 12, 2011, “La responsabilità da “contatto sociale qualificato” è una particolare forma di responsabilità, nata proprio per venire incontro alle nuove e molteplici esigenze, tipiche della moderna società, relative al risarcimento dei danni, aldilà dello schema, certamente troppo riduttivo, che vede la tradizionale bipartizione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. L’espressione “contatto sociale qualificato”, viene a indicare una relazione che intercorre tra due o più soggetti che, in quanto implicante l’ingerenza nella sfera giuridica altrui, comporta il sorgere di doveri di collaborazione e protezione volti a salvaguardare le aspettative ingenerate”. La tesi della responsabilità da contatto sociale è stata recepita da rilevanti pronunce giurisprudenziali di legittimità, tra cui Cass. Civ. Sez. III del 14 luglio 2009, n.16382, in www.leggiditalia.it, per cui, in relazione alla responsabilità del mediatore non mandatario, “risulta preferibile, riguardando la stessa una figura professionale, applicare la più recente previsione giurisprudenziale di legittimità della responsabilità “da contatto sociale” (su cui, tra le altre, Cass. S.U. n. 577/2008; Cass. n. 12362/2006 e Cass. n. 9085/2006, con specifico riferimento al medico ed alle sue prestazioni prescindenti da un rapporto contrattuale); infatti, tale situazione è riscontrabile nei confronti dell’operatore di una professione sottoposta a specifici requisiti formali ed abilitativi, come nel caso di specie in cui è prevista l’iscrizione ad un apposito ruolo, ed a favore di quanti, utenti-consumatori, fanno particolare affidamento nella stessa per le sue caratteristiche (si pensi, ad esempio, alle c.d. agenzie immobiliari dalle particolari connotazioni professionali ed imprenditoriali).”.
[85] E’ bene sottolineare che nei casi citati alla valutazione del professionista attestatore può concorrere un diverso e alternativo giudizio da parte dell’organo giudicante, nei limiti di una valutazione di fattibilità giuridica delle circostanze oggetto di valutazione. A tal riguardo, si veda sopra con riferimento alla sentenza di Cass. Civ. Sez. Unite, 23 gennaio 2013, n. 1521, già richiamata nelle precedenti note.
[86] Si vedano, sul punto, V. Zanichelli, Il ritorno della ragione o la ragione di un ritorno?, in www.ilcaso.it, 4 novembre 2015; F. Lamanna, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto ‘contendibilità e soluzioni finanziarie’ n. 83/2015: un primo commento. Parte II: le modifiche riguardanti il concordato preventivo. ‘Proposte/piani’ ed ‘offerte concorrenti’, inilfallimentarista.it,29 giugno 2015.
[87] Cfr. T. Guerini, La responsabilità penale del professionista attestatore nell’ambito delle soluzioni concordate per le crisi d’impresa, in Diritto Penale Contemporaneo, n. 2,2013.
[88] Cfr. V. Spinosa, Il c.d. Decreto Sviluppo nel sistema della legge fallimentare: i rapporti tra nuove procedure concorsuali e profili di responsabilità penale, in Diritto Penale Contemporaneo, n. 2, 2013.
[89] Tale disposizione è stata introdotta tramite l’art. 33 della Legge n. 134 del 7 agosto 2012, di conversione con modificazioni del D.L 22 giugno 2012 n. 83 e recentemente modificata dalla c.d. miniriforma del 2015 con l’introduzione del riferimento all’art. 182-septies.
[90] A questo proposito, Trib. Torino, decr. 20 maggio 2014, in www.ilcaso.it, ha previsto che è corretto instaurare il procedimento di revoca dell’ammissione al concordato e dichiarazione del fallimento nel corso di una procedura ex art. 173 l.f. che abbia ad oggetto la divergenza tra commissario e liquidatore rispetto alle prospettive finanziarie dell’impresa in stato di crisi. In questo caso la valutazione del Tribunale dovrà valutare la correttezza dei procedimenti logici e tecnici adottati dal professionista attestatore in relazione alla valutazione di fattibilità del piano. In particolare, con riferimento al concordato con cessione dei beni ex art. 182 l.f., il decreto prevede che “Se l’attestazione “espone informazioni false ovvero omette di fornire informazioni rilevanti”, la condotta si qualifica come reato proprio dell’attestatore, procedibile d’ufficio (art. 236-bis l.f.). È coerente con tale qualificazione penalistica che la materia, anche agli effetti della procedura di concordato, ricada nella sfera di controllo del tribunale, ergo non possa ritenersi riservata al solo consenso informato dei creditori; dato e non concesso che abbia una qualche parvenza di credibilità un “consenso informato”, magari espresso per silenzio assenso (art. 178 co. 4 l.f.), su dati di fatto che il tribunale ha verificato essere falsi.”.
[91] Cfr. G. Bersani, La responsabilità penale del professionista attestatore ai sensi dell’art.236 bis L.F. fra analisi dottrinali e prime applicazioni giurisprudenziali, in www.ilcaso.it., 2015.
[92] Cfr. Centro Studi Suprema Corte di Cassazione, rel. n. III/07/2012, in www.cortedicassazione.it.
[93] Cfr. G. Sandrelli, Le esenzioni dai reati di bancarotta e il reato di falso in attestazioni e relazioni, in www.ilfallimentarista.it, n. 2, 2013; F. Tetto, Le false o fraudolente attestazioni del professionista ex art. 161, comma 3, l.fall.: alla ricerca di un’evanescente tipicità penalmente rilevante, inIl Fallimento, 2012.
[94] Cfr. M. Monteleone, La responsabilità penale e civile dell’attestatore nei procedimenti di composizione della crisi d’impresa, in Osservatorio sulle Crisi d’Impresa, in www.osservatorio-oci.org.
[95] Si rimanda per una esaustiva descrizione del dolo eventuale a Cass. Pen. Sez. Un., 18 settembre 2014, n. 38343, in www.leggiditalia.it, in cui viene, inter alia, individuato che “Il dolo eventuale designa l’area dell’imputazione soggettiva dagli incerti confini in cui l’evento non costituisce l’esito finalistico della condotta, né è previsto come conseguenza certa o altamente probabile: l’agente si rappresenta un possibile risultato della sua condotta e ciononostante s’induce ad agire accettando la prospettiva che l’accadimento abbia luogo.”.
[96] Cfr. G. Bersani, La responsabilità penale del professionista attestatore ai sensi dell’art.236 bis L.F. fra analisi dottrinali e prime applicazioni giurisprudenziali, in www.ilcaso.it., 2015., secondo cui tale posizione assume particolare rilevanza in considerazione del fatto che, sussistendo una vasta disponibilità di istruzioni tecnico-pratiche elaborate dalle sezioni fallimentari dei Tribunali e dagli ordini professionali, risulta difficile ritenere che un professionista che non abbia applicato la necessaria diligenza nello svolgimento delle proprie mansioni nell’ambito di una procedura di risoluzione della crisi d’impresa, lo abbia fatto per mera negligenza e in assenza di una precisa volontà o previsione delle conseguenze che sarebbero derivate da tale comportamento.
[97] Cfr. R. Fontana, La responsabilità penale del professionista attestatore, in www.ilFallimentarista.it, 2014.
[98] Cfr. S. Fiore, Nuove funzioni e vecchie questioni per il diritto penale nelle soluzioni concordate della crisi d’impresa, in Il Fallimento, n. 9, 2013, 1193 ss..