La Suprema Corte ribadisce, in primo luogo, il principio – già espresso dalle Sezioni Unite Cass. n. 1418/2012 – per cui è ammissibile il ricorso per Cassazione proposto dal curatore avverso la sentenza di revoca della dichiarazione di fallimento, in quanto il fallimento viene meno, con conseguente decadenza dei suoi organi, soltanto con il passaggio in giudicato della sentenza di revoca: “…in relazione alla costituzione dei rapporti processuali attinenti ai soggetti sottoposti a tali procedure, l’apertura delle stesse, con la nomina dei loro organi sulla base di un provvedimento formalmente idoneo, e la immissione di questi nel possesso e nella gestione del patrimonio, integrano complessivamente un “fatto giuridico” di per sé idoneo a radicare la legittimazione processuale, attiva e passiva, di detti organi in relazione ai rapporti giuridici che ne formano oggetto; ciò a prescindere dalla validità intrinseca del predetto provvedimento e finché questo non venga rimosso o annullato con pronuncia giurisdizionale passata in giudicato, la quale renda non più proseguibile la procedura con efficacia ex nunc (cfr. Cass. Sez. U n. 27346-09)”.
Passando poi all’esame delle eccezioni di merito, la Cassazione ritiene censurabile la decisione della Corte d’Appello che, in sede di reclamo, ha annullato la sentenza dichiarativa di fallimento, determinando la prosecuzione della procedura di concordato preventivo. L’impugnata sentenza aveva, infatti, mancato di rilevare la carenza, nelle relazioni ex art. 161 L.F., di alcuni elementi essenziali ai fini della valutazione di fattibilità giuridica del piano concordatario. In particolare, era stata omessa la disamina di un decisivo fatto storico, consistente nel pignoramento e conseguente vendita coattiva dell’unico immobile di una società controllata da quella richiedente il concordato che, nell’ottica concordataria, sarebbe dovuta essere incorporata nella controllante proprio al fine di incrementare il patrimonio utile al soddisfacimento dei creditori di quest’ultima. L’esecuzione individuale introdotta prima del perfezionamento della fusione diretta per incorporazione possiede, secondo la Corte, indubbia rilevanza, posto che la proposta concordataria era basata sulla vendita unitaria del complesso immobiliare risultante, per l’appunto, dalla fusione tra le società proprietarie. Inoltre, la sentenza impugnata aveva ignorato la posizione dei creditori della società incorporanda, i quali, invece, nel contesto di una fusione tra società diversamente patrimonializzate, potevano vedere pregiudicate le proprie aspettative di soddisfacimento e, pertanto, esercitare il proprio diritto di opposizione in grado di impedire, in definitiva, gli effetti della fusione.
A riguardo, commentando la riforma in corso di elaborazione, la Corte sottolinea proprio che nel “caso di operazioni straordinarie (trasformazione, fusione o scissione), il regime giuridico attuale non contempla, a differenza di quanto per il futuro stabilito della legge delega per la riforma organica della disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che l’opposizione dei creditori possa essere proposta unicamente nella sede del controllo giudiziale sulla legittimità della domanda concordataria”.
Di conseguenza, nella sentenza di revoca della dichiarazione di fallimento, ove si riteneva completa la relazione degli attestatori, risultava minato il giudizio finale di concreta realizzabilità della prospettazione formulata nel piano concordatario.