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Giurisprudenza

Responsabilità degli amministratori nei confronti dei soci e dei creditori ed esercizio dell’azione da parte del curatore fallimentare

14 Gennaio 2016

Federico Urbani, Attorney Trainee presso Orrick, Herrington & Sutcliffe LLP

Cassazione Civile, Sez. I, 4 dicembre 2015, n. 24715

Di cosa si parla in questo articolo

Nella pronuncia in esame, la Suprema Corte ha ripercorso alcuni degli elementi fondamentali caratterizzanti l’azione di responsabilità esercitata da parte della curatela fallimentare nei confronti degli amministratori di società di capitali.

Ponendosi in continuità con alcuni orientamenti ormai consolidati nelle pronunce della medesima Corte, la sentenza analizzata pone l’attenzione degli interpreti sui principi su cui si fondano la citate azioni di responsabilità, promosse dal curatore ai sensi dell’articolo 146, comma 2 della Legge Fallimentare. Tale norma prevede, in particolare, che “sono esercitate dal curatore previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori […] le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori”.

La pronuncia in commento ha anzitutto ribadito come l’azione di responsabilità esercitata dalla curatela ricomprende (meglio: può ricomprendere) in sé le due – differenti – fattispecie di cui agli articoli 2393 e 2394 del Codice Civile, norme che danno fondamento alla responsabilità degli amministratori nei confronti, rispettivamente, della società e dei creditori sociali. Entrambe le figure sono infatti mirate alla tutela e alla reintegrazione del patrimonio sociale, che, secondo l’interpretazione adottata dalla Suprema Corte, deve essere visto come “garanzia dei soci e dei creditori sociali” (in tal senso le due azioni hanno un fondamento comune e una ratio unitaria).

Conseguenza di tale assunto è il fatto che la responsabilità degli amministratori sorge nel momento in cui il patrimonio sociale risulti insufficiente per il soddisfacimento dei creditori sociali, come conseguenza di un comportamento integrante mala gestio (nel caso di specie: mancato rinvenimento di rimanenze di magazzino; sottrazione di liquidità dalle casse sociali; mancata richiesta di versamento dei decimi in relazione a un aumento del capitale sociale; incauto acquisto di un immobile gravato da ipoteca e sottoposto a procedura espropriativa).

Le eventuali azioni esercitate ex articoli 2393 e 2394 del Codice Civile hanno tuttavia differente natura: la prima è di tipo contrattuale la seconda extracontrattuale, cui discende la necessità di applicare differenti discipline in materia di: (i) onore della prova; (ii) criteri di determinazione dei danni risarcibili; e (iii) regime della decorrenza del termine di prescrizione.

Quanto a quest’ultimo elemento, maggiormente critico e dibattuto, la Corte ha chiarito che:

  • in relazione all’azione ex articolo 2393 del Codice, il termine di prescrizione decorre dal momento in cui il danno diventi “oggettivamente percepibile all’esterno e cioè si sia manifestato nella sfera patrimoniale della società”, a nulla rilevando la natura contrattuale dell’azione. Inoltre, la Suprema Corte ha ribadito che il decorrere dalla prescrizione debba sospendersi per il periodo di durata della carica dell’amministratore, ai sensi dell’articolo 2941, comma 7 del Codice Civile (nel caso di specie si è ritenuto che la prescrizione dovesse decorrere dalla data di dichiarazione del fallimento della società, momento di cessazione dalla carica dell’amministratore citato);
  • in relazione all’azione ex articolo 2394 del Codice, il termine di prescrizione decorre dal momento in cui i creditori sociali danneggiati dai comportamenti di mala gestio degli amministratori siano posti a conoscenza dello stato di “grave e definitivo squilibrio patrimoniale della società” (che potrebbe avvenire tanto precedentemente quanto successivamente alla data di dichiarazione del fallimento, operando una semplice presunzione iuris tantum di coincidenza fra tali due momenti), non dal momento di conoscenza della mera insufficienza patrimoniale. La prova della conoscenza dello stato di grave e definitivo squilibrio patrimoniale della società può essere desunta dal bilancio di esercizio, deve in ogni caso avere ad oggetto, secondo l’interpretazione della pronuncia in commento, “fatti sintomatici di assoluta evidenza” (queste le parole contenute in Cass. Civ., Sez. I, 8 aprile 2009, n. 8516).

Invece, dal un punto di vista dell’ampiezza del termine di prescrizione nulla cambia fra le due tipologie di azioni, infatti a entrambe si applica un periodo di prescrizione quinquennale, rientrando nell’alveo delle azioni giudiziarie in materia societaria.

In ogni caso, spetterà alla curatela fallimentare la decisione su quale delle due azioni sia opportuno esercitare, potendo optare per la proposizione di una di esse, ovvero di entrambe (in tale ultimo caso dando eventualmente beneficio sia alla società sia, direttamente, ai suoi creditori).

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