La pronuncia in commento ha ad oggetto il profilo, di particolare riscontro operativo, relativo ai criteri di determinazione del danno risarcibile a titolo di mala gestio societaria.
Nello specifico, i giudici di Cassazione – che sul punto risultano particolarmente attenti alle posizioni in precedenza adottate in sede di legittimità – dimostrano estremo buon senso confermando l’irragionevolezza di quella linea argomentativa che quantifica il danno causato dagli organi sociali, sulla base di un semplice e “algebrico” confronto automatico tra la situazione patrimoniale della società al momento dell’assunzione dell’incarico da parte degli stessi e quella invece rinvenibile al momento della dichiarazione di fallimento.
In particolare, un siffatto paragone risulterebbe, a detta della prima sezione, privo di fondamento laddove non adeguatamente supportato da un’attenta verifica del rapporto di causalità intercorrente tra le condotte gestionali patologiche e la riscontrata insolvenza. E ciò, ancor più a fronte di un’attività, quale è quella d’impresa “intrinsecamente connotata dal rischio di possibili perdite, il cui verificarsi non può quindi mai esser considerato per sé solo un sintomo significativo della violazione dei doveri gravanti sull’amministratore, neppure quando a costui venga addebitato di essere venuto meno al suo dovere di diligenza nella gestione”.