La sentenza della Corte di Cassazione, sez. I, 1° giugno 2010, n. 13412 interviene sulla problematica della c.d. erogazione abusiva di credito da parte di Istituti bancari e della legittimazione attiva del curatore fallimentare del sovvenuto.
Il caso è questo: una società decotta veniva tenuta artificiosamente in bonis da un Istituto bancario con finanziamenti che la facevano apparire all’esterno come soggetto solvibile, al contrario della realtà. Dichiarato il fallimento, il curatore esercitava azione di massa contro il direttore della filiale della Banca, al fine di far valere un’azione risarcitoria per i danni patiti dal ceto creditorio.
Tuttavia, nei giudizi di merito, il Fallimento è risultato soccombente per la ormai nota regola della legittimazione solo individuale all’azione volta ad accertare la fattispecie della concessione abusiva del credito: “nel sistema della legge fallimentare, difatti, la legittimazione del curatore ad agire in rappresentanza dei creditori è limitata alle azioni c.d. di massa finalizzate, cioè, alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica ed avente carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo” (Cass., S.U., 28 marzo 2006, n. 7029; Cass., S.U., 28 marzo 2006, n.7030; Cass. S.U., 28 marzo 2006, n. 7031; più recentemente v. Cass., sez. I, 23 luglio 2010, n. 17284).
Infatti, nelle ipotesi di abusivo ricorso al credito – ossia quando una Banca conceda fidi a soggetti incapaci di assicurare una normale restituzione delle somme a causa dell’insufficienza delle loro condizioni patrimoniali – sorge in capo all’Ente una responsabilità extracontrattuale, vale a dire per il danno derivante dall’affidamento ingenerato nei creditori e terzi contraenti nella presunta solvibilità dell’imprenditore.
In questa prospettiva, né l’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. né tantomeno l’azione individuale del socio e del terzo ai sensi dell’art. 2395 c.c. possono essere ricondotte nell’ambito delle azioni di massa, per due fondamenti considerazioni. Innanzitutto, il danno derivante dall’attività di sovvenzione abusiva deve essere valutato caso per caso, “essendo in concreto ipotizzabile” – scrive la sentenza annotata – “che i creditori aventi diritto di partecipare al riparto non abbiano ricevuto effettivo pregiudizio dalla continuazione dell’impresa”. In secondo luogo, la posizione dei singoli creditori può essere diversa, a seconda che siano antecedenti o successivi all’abusivo finanziamento. Di qui, non sarebbe possibile ravvisare un pregiudizio di pertinenza collettiva subito dalla totalità del ceto creditorio, legittimante l’esercizio dell’azione da parte del curatore.
E invece,la prima sezione della Cassazione, 1° giugno 2010, n. 13412, pare – in parte – superare tale orientamento.
Infatti, ferma la regola surriferita, nel solo caso in cui l’Istituto di credito e l’amministratore della società fallita siano stati condannati per concorso in bancarotta fraudolenta e ricorso abusivo al credito, il curatore è legittimato ad agire, ai sensi dell’art. 148 L.F., in relazione all’art. 2393 c.c., anche nei confronti della Banca, quale responsabile solidale del danno cagionato alla società fallita, anche senza che possa assumere rilievo il mancato esercizio dell’azione contro l’amministratore infedele.
Pertanto, la peculiarità della fattispecie in esame consiste proprio nel fatto che la condanna penale dell’amministratore e della Banca vale ad integrare la fattispecie della responsabilità dell’amministratore verso la società ex art. 2393 c.c., in concorso con la responsabilità della Banca, azione che il curatore è legittimato a far valere ex art. 146 L.F. Con la conseguenza che sorge in capo ad entrambi i soggetti un’obbligazione solidale, il cui adempimento può essere chiesto, per la sua totalità, ad uno solo dei coobbligati – in tal caso anche solo nei confronti della Banca –, non sussistendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra i coobbligati in solido.
Non si può però tacere dal rilevare un aspetto critico di questa pronuncia.
Non è dato comprendere come l’impresa, da un lato finanziata, possa, dall’altro e nel contempo, lamentarsi di un danno ingiusto: quasi che alla chiesta ed ottenuta fruizione del credito fosse sottesa una mancanza di consapevolezza, da parte dell’impresa stessa, dei possibili esiti di tali elargizioni creditizie. A ciò si aggiunga che l’Ente bancario spesso partecipa come creditore fallimentare alla massa, con la conseguenza che il curatore verrebbe ad agire contro un soggetto, la Banca, a cui l’azione di responsabilità potrebbe paradossalmente giovare, facendosi così portatore di interessi apertamente conflittuali.
In ogni caso, appare evidente la novità del decisum qui in commento, legato al fatto che tutti gli elementi dell’illecito sarebbero desumibili dalla sentenza penale di condanna per concorso in bancarotta fraudolente e ricorso abusivo al credito, legittimando così il curatore ad agire ex art. 2393 c.c.